In gennaio è previsto che la Corte Costituzionale si pronunci sul quesito-cardine del referendum abrogativo del “Porcellum”, la vigente legge elettorale che ha scippato gli elettori del diritto-dovere di scegliersi i propri rappresentanti in Parlamento, il più grosso regalo all’antipolitica che sta delegittimando i partiti e le istituzioni.
L’esito non è affatto scontato perché il referendum prevede l’abrogazione dell’intera legge nel presupposto che automaticamente, per evitare un vuoto di disciplina, venga riesumata la legge elettorale precedente. Ritornerebbe quindi in auge il Mattarellum, con il 75%dei seggi eletti con l’uninominale ed il restante 25% col proporzionale, ma è proprio questo ritorno al passato che mette in dubbio l’approvazione della Consulta stretta in mezzo a due fuochi: tra chi dà per scontato l’abolizione della legge in toto, e conseguentemente il ritorno alla precedente, e chi pensa che sia inammissibile proprio perché nulla autorizza la riviviscenza di una legge abrogata.
Certo che sulla decisione peserà il numero impressionante di cittadini che in pochi giorni ha sottoscritto il referendum esprimendo il rigetto verso una legge che li ha espropiati di un loro sacrosanto diritto. Certo è che le forze politiche responsabili dovrebbero anticipare il verdetto della Consulta con un accordo di massima impegnandosi a tradurlo in legge qualunche sia la pronuncia della Corte Costituzionale.
Le possibilità di accordo vedono in rotta di collisione le convenienze dei singoli partiti ma decisivo sarebbe l’accordo tra le forze maggiori, tenendo nel debito conto gli interessi degli auspicabili alleati. Per semplificare potremmo dire che il PDL, versione Berlusconi, vuole tenersi stretto il più fedele alleato del passato, quella Lega che aspira a rimanere, determinante per un ritorno in maggioranza, evitando l’alleanza con l’UDC che ne ridimensionerebbe il peso politico di condizionamento.Non meraviglia che il segretario del PDL, Alfano persegua l’alleanza con l’UDC aspirando ad una nuova versione del PDL (in concorrenza con Berlusconi) in formato popolare europeo, alla cui casa-madre aderiscono sia il PDL che l’UDC.
Per quanto riguarda il PD, una pronuncia congressuale guarda al modello francese di uninominale a doppio turno che garantirebbe alle forze minori una rappresentanza grazie al primo turno (il cosiddetto diritto di tribuna), mentre riserverebbe al secondo turno la scelta del governo tra le maggiori forze politiche. In un crescendo rossiniano nel PD si sta facendo strada (primo D’Alema ultimo il capogruppo alla Camera Franceschini) la schiera di coloro che ritengono necessario il passaggio al proporzionale alla tedesca innalzando la soglia al 5% per evitare un’ulteriore frammentazione delle forze politiche. Una scelta rivolta ad intercettare in primo luogo l’UDC ed i suoi aggregati minori del centro anche per affrancarsi dai forti condizionamenti di Di Pietro e di Vendola.
Perché prevalgano le larghe intese, le convergenze sono possibili solo con la rinunzia da parte di ciascuno o di una quota parte delle proprie convenienze. Il rischio maggiore è la tentazione delle oligarchie dei partiti, addossandone ad altri la responsabilità, di non mollare il proprio potere di determinare gli eletti a costo di confermare il “Porcellum” col codicillo di elezioni anticipate.
Un amaro uovo di Pasqua per i cittadini che vanno incontro dall’inizio dell’anno a misure drastiche di contenimento del loro potere d’acquisto. Un dato è certo: il Paese aveva ed ha bisogno di quelle larghe intese senza le quali nessuna coalizione da sola è in grado di affrontare misure impopolari che verrebbero sfruttate dai suoi avversari. Di questa consapevolezza si è fatto carico il Capo dello Stato con l’investitura di Monti e del suo governo facendosi forza della debolezza del sistema politico ed in particolare dei partiti più grandi, malfermi sulle loro gambe per le divisioni interne.
Si stanno giocando i tempi supplementari della cosiddetta “Seconda Repubblica” e potrebbero essere esiziali per un Paese a rischio fallimento in una tensione internazionale che si scarica sui paesi più deboli.