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CURIOSITA’ ROMANE

Galleria Paolo Antonacci Roma
sabato 5 dicembre 2020



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Cari Amici, nel ringraziavi per aver seguito numerosi le vicende di via Alibert dove si trova attualmente la nostra galleria, eccoci adesso ad occuparci del teatro d’Alibert e del palazzo Raffaelli

È strabiliante pensare a quante persone illustri e legate in qualche modo all’arte hanno transitato per la breve ma importante via Alibert: dal principe Alessandro Torlonia che immaginiamo diretto al suo Teatro, al fotografo Macpherson che qui aveva lo studio, agli architetti e argentieri Luigi e Giuseppe Valadier che nel palazzo ad angolo con via Margutta ebbero la loro fonderia, senza dimenticare Franz Liszt e persino Gioacchino Murat in onore del quale fu organizzata una spettacolare festa nel teatro Alibert. Ma ci piace soffermarci sull’operato del celebre mosaicista Giacomo Raffaelli che qui aveva abitazione e botteghe: immaginiamo quanti sublimi capolavori furono creati in questi stessi locali dove siamo noi oggi e che arricchiscono collezioni private e pubbliche in diverse parti del mondo. Per chi volesse visitare questi storici luoghi, saremo lieti di accompagnarvi.

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Teatro d’ Albert o delle Dame

Teatro d’Alibert o delle Dame

Costruito probabilmente dall’architetto Matteo Sassi per il conte Antonio d’Alibert nel 1716, ma subito dopo ingrandito e migliorato da Francesco GalliBibiena, il Teatro d’Alibert o delle Dame, con i suoi 900 posti di platea e i sette ordini di palchi, fu per tutto il Settecento il più grande e il più bello di tutti i teatri romani, pur non avendo un vero e proprio prospetto. Vi si accedeva infatti da via Alibert o dal cavalcavia che da via del Babuino, attraversando il palazzo Fede, raggiungeva direttamente il primo ordine di palchi. Il successo del teatro fu tale che a volte la fila di carrozze in attesa di “parcheggiarsi” sul retro del teatro giungeva a piazza di Spagna, causando veri ingorghi di traffico.

Da Metastasio a Goldoni, da Piccinni a Mercadante e Donizetti, tutto il repertorio dell’epoca fu qui rappresentato.Attori come Farinello (Carlo Broschi) o Farfallino (Giacinto Fontana), che interpretavano ruoli femminili, furono idolatrati dal pubblico internazionale.

Famosi furono anche i balli in maschera e le feste in occasione delle visite a Roma di ospiti illustri come quella di Gioacchino Murat nel 1804 per il quale venne allestito un addobbo scenografico con un grande baldacchino ornato di aquile e api, opera di Giuseppe Valadier.

Dopo un periodo di declino, il teatro fu acquistato nel 1847 da Alessandro Torlonia e interamente ricostruito dall’architetto Nicola Carnevali, che ne migliorò gli accessi, realizzando anche un cavalcavia su via Alibert per collegare il primo ordine di palchi direttamente alla biglietteria e al guardaroba situati di fronte, in un altro palazzetto sempre di proprietà Torlonia.

Questo cavalcavia sarà oggetto di una lunga causa con il confinante Giacomo Raffaelli, che alla fine riuscirà a vincere e a fare abbattere il cavalcavia. Era il 1860. Tre anni dopo l’intero teatro verrà distrutto da un incendio doloso. Nell’incendio non andò però distrutta la parte dell’edificio affittata ad appartamenti, che non subì gravi danni e continuò ad essere proprietà del principe Torlonia come ancora attesta lo stemma sulla facciata.

Sulle sue ceneri, nel 1872, Baldassarre Pescanti, il nuovo proprietario, farà costruire dall’architetto Galanti uno “Stabilimento di Bagni con annesso Albergo Aliberti”, iniziando una tradizione alberghiera che ancora oggi continua. Nel palazzetto di fronte di proprietà Torlonia al n. 14, era il famoso studio – salotto del pittore fotografo Robert Mcpherson. Nel 1871 nel Ridotto del Teatro trovò sede l’Associazione Artistica Internazionale trasferitasi da quella della Dogana Vecchia a Piazza del Popolo. Il palazzetto e la restante proprietà Torlonia verranno ceduti gratuitamente dal principe ai padri Lasalliani della Congregazione delle Scuole Cristiane, che nel 1886 vi faranno costruire da Ciriaco Salvadori la chiesa dedicata a san Giovanni Battista de La Salle; il complesso chiuse di fatto la via che originariamente si spingeva fino al Pincio, quasi in parallelo a via di San Sebastianello.

Palazzo Raffaelli

L’architetto Giuseppe Valadier abitava, attraversando via Alibert, nel palazzo Fede in via del Babuino 89 e prima di lui vi abitò il padre Luigi che qui vi si trasferì con tutta la famiglia e che “nel rimessone annesso”adiacente, su via Margutta, istallerà la sua fonderia dalla quale uscirono tanti capolavori tra i quali spicca il campanone di San Pietro. Nell’androne del palazzo una targa marmorea ricorda la visita di Pio VI.

Il Valadier terminò nel 1823 il palazzo Raffaelli accorpando varie unità abitative comprese tra via del Babuino 92-93 e via Alibert 18-23, di proprietà del noto mosaicista Giacomo Raffaelli, che le aveva acquistate dalla Repubblica Romana nel 1798: tre case che erano state confiscate dalla Repubblica al Convento della SS. Trinità de’ Monti. Una di queste fin dal Seicento era una locanda, nota come “Le tre chiavi di Avignone”, frequentata soprattutto da francesi, e in seguito come “WandreGoest”, con una clientela fiamminga e inglese. Il Valadier costruì per il mosaicista una abitazione particolare che doveva rispondere all’esigenza del committente di realizzare una vera “industria di mosaico e di smalti”. A questo scopo l’architetto progettò il piano terra, poi allargato fino a via Alibert 15-17 nel 1827, come una galleria di ambienti destinati a laboratori, mentre i locali interni erano adibiti a magazzino e officina. Su via del Babuino invece si apriva la bottega per la vendita ed ai piani superiori abitava tutta la famiglia Raffaelli, che resterà proprietaria dello stabile fino a metà Novecento. Qui nacquero un’infinità di gioielli, scatole, tabacchiere, ornate di scene classiche, di motivi mitologici, paesaggi e costumi, piazze e rovine di Roma tutto quel repertorio caro agli stranieri del Grand Tour.

Nelle botteghe su via del Babuino continueranno ad esserci negozi di mosaici e di antiquari: Antonio e Alessandro Jandolo prima, Augusto e Ugo Jandolo dopo. In seguito ci sarà la galleria di Chiurazzi, fonditore di Napoli. Dal 1933 il Romanista Eugenio Di Castro e in seguito i suoi figli, Nicola ed Angelo. Ma vi saranno presenti anche artisti come gli scultori Pietro Chiapparelli e Alessandro Paoloni, il fotografo Luigi Rocca e il negozio di Belle Arti di Luigi Morelli.

Francesca Di Castro

Per approfondimenti: F. Di Castro, Via Margutta. Cinquecento anni di storia d’arte, Roma 2006; F. Di Castro, Storie e segreti di Via Margutta, Roma 2012.

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