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1968 La Primavera di Praga

Cecoslovacchia, dopo il riflusso - A 40 anni dall’invasione sovietica
sabato 23 febbraio 2008 di Arturo Capasso

Argomenti: Celebrazioni/Anniversari
Argomenti: Mondo
Argomenti: Storia


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Nell’agosto del ’68 i sovietici invasero la Cecoslovacchia. In quei giorni mi trovavo a Praga ed inviai numerose corrispondenze; riporto quella apparsa su Sovietica nell’ottobre del 1968. I russi sono ancora vostri fratelli? « Un uomo può scegliersi gli amici, ma i fratelli deve tenerseli, non ha scelta ».

L’onda dell’est è entrata improvvisa nel cuore del Paese, in ogni casa. Poi s’è ritirata, lasciando dei morti, qualche edificio distrutto, molte strade rotte, tutti gli animi sdegnati e perplessi.

Sono venuto a Praga per sentire quali effetti il colpo di mano di Mosca ha riportato sul popolo: mai propaganda antisovietica fu più efficace ed immediata. Ho voluto rendermi conto delle intenzioni dei cechi di avvicinarsi all’Occidente: il net sovietico ha reso il desiderio più forte ed urgente.

Il Paese si stava aprendo ad orizzonti finalmente meno tetri, pieni di prospettive mai intraviste in un ventennio di regime rosso, anzi direi infrarosso: quel potere che agiva senza farsi vedere, ma con una presenza tragica, continua.

Che fare? Aspettare, sperare, non collaborare. Alla Fiera di Brno le maestranze della città non hanno voluto prestare la propria opera per l’allestimento dei padiglioni appartenenti ai « Paesi Fratelli ».

Sono dovuti ricorrere ad operai specializzati fra i propri soldati. S’è sparsa la voce che anche la Romania era stata invasa dalle truppe rosse. La notizia è stata smentita dopo alcune ore, ma in quel lasso di tempo la gente è stata presa da una forte angoscia: una sventura si accumulava ad altra sventura.

Lo stato di trauma psicologico in cui è piombato il popolo è grave. Il momento è pieno di punti interrogativi; ogni ceco sa che ha dimostrato di sapersi opporre validamente all’autocrazia del Cremlino. Sa che la Cecoslovacchia — come diceva il Bismarck — è un ripieno coperto di pelle: difficile a digerirsi per chi prova a mangiarlo. Ma si domanda pure fino a quando i nervi potranno mantenersi tesi. Vorrebbero avere meno di quel poco che hanno, ma con la certezza di svegliarsi ogni mattina nel proprio letto.

Una signora mi ha detto: « Ho due figli, uno dì diciotto e l’altro di ventidue anni, in che periodo tragico sono mai capitati questi ragazzi? Perché da noi ogni generazione deve essere infelice e protagonista di brutti momenti? »

Un anziano ha bisbigliato più ottimisticamente: « Da noi si dice: Non è un albero che cresce fino al cielo ».

Sono stato in Cecoslovacchia già due volte ed ho sempre avuto di fronte gente estremamente chiusa, ancor più dell’Unione Sovietica. Il satellite anche in questo era più ortodosso del pianeta intorno al quale ruotava. Ora non più. Un parlare franco, di attacco sofferto, un sentirsi un blocco verso l’altra parte, a tutti i livelli. Ho chiesto ad uno: Ritiene che i russi dopo quello che hanno fatto sono ancora vostri fratelli? Mi ha risposto: « Un uomo può scegliersi gli amici, ma i fratelli deve tenerseli, non ha scelta ». Ora

                      I girasoli
                      non sanno
                      dove voltare
                      la testa.
                      Il sole è nascosto
                      dietro le nubi
                      come
                      quei carri
                      dei nostri  fratelli
                      nascosti
                      dietro le siepi
                      fra arbusti
                      e ruscelli.
                      Fratelli per forza
                      Il povero Abele
                      dovette subire.
                      I girasoli
                      non sanno
                      dove voltare
                      la testa.
                      Non osano.

Ex Oriente lux!

All’Unione Giornalisti tutto è tornato come prima, dopo i giorni dell’invasione. Anche lì, come per le strade, furono rimossi ai vari piani i cartelli indicatori. Si lavorò lo stesso, clandestinamente , con mezzi di fortuna.

Anche il mio interlocutore — P. K. — è tornato al posto di prima, con maggiore responsabilità. Ai giornalisti come agli scrittori è infatti affidato uno dei compiti più delicati: bilanciare le esigenze di liberalizzazione del popolo con quelle di moderazione del governo sotto la pressione del Cremlino.

« Dobbiamo fare di tutto per normalizzare la situazione e chiedere il ritiro dei soldati. Secondo quanto stabilito a Mosca, dovranno andarsene prima dalle città, poi dai sobborghi, infine dalla campagna. Dovrebbero rispettare gli accordi ».

Gli chiedo: È stato detto che tali accordi sembrano piuttosto elastici, ambigui; cosa ne pensa?

« Ritengo che il comunicato finale possa essere seguito alla lettera ».

Altra domanda: Al momento degli accordi di Cierna e di Bratislava i russi avevano già progettato l’invasione?

« Difficile dirlo. Dubcek dopo Bratislava ripetè più volte che si sarebbe fatto di tutto per rispettare quanto aveva firmato.

L’invasione è stata inattesa. Una violenza di tal genere non l’avremmo mai immaginata. Proprio a noi che avevamo tradizione di fratellanza coi russi! I polacchi sono sempre stati loro nemici; gli ungheresi nella Seconda Guerra Mondiale hanno combattuto contro di loro e nel ’56 a Budapest ci fu veramente una controrivoluzione. Ma da noi no. Dopo venti anni di socialismo abbiamo abolito la borghesia e non c’è conflitto di classi.

Noi ci siamo battuti e ci battiamo per un socialismo diverso, democratico. Da gennaio ad agosto abbiamo cercato di dimostrare che il partito deve essere un organo diverso dal governo. Prima era tutt’uno. E questo produceva — come del resto adesso in Urss — un doppio potere nelle stesse mani. Il partito dà le direttive al governo, non si deve identificare in esso. Questo noi volevamo, e gli amici sovietici non l’hanno capito. Chissà, forse col tempo si renderanno conto dell’ errore di essere venuti da noi ».

Ci sono precisi impegni con gli altri Paesi socialisti, soprattutto l’accordo economico Comecon e l’altro di comune difesa — Patto di Varsavia; ma i cechi vogliono la possibilità di riprendere i loro rapporti con l’Occidente, perché venti anni di socialismo non hanno dato i risultati sperati.

Si tratta d’una revisione dottrinaria e politica, dettata da esigenze sentite. Per alcuni si vuole una libertà che agisca ed operi solo nell’ambito del sistema, che rimane socialista e che non vuole mutare. Per altri il fenomeno di liberalizzazione porta necessariamente ad un aperto sistema pluripartitico, con l’assoluta libertà di pensiero, fermo restando il principio di economia socialista

Ma la stessa presenza di più partiti non può essere accettata dai teorici marxisti-leninisti, perché si ritiene che gli interessi dell’unica classe di operai e contadini sono ampiamente rappresentati e difesi nell’unico partito, che è il comunista. Si deve rilevare che tale teoria trascura la realtà, perché nell’unico partito il potere dovrebbe venire dalla base, dai famosi soviet o consigli, mentre dal ’17 in qua e sempre venuto dall’alto e la piramide s’è capovolta.

I sovietici, dunque, non hanno voluto capire la nuova formula socia-lismus e humanismus, si sono allarmati per l’abolizione della censura alla stampa, radio e televisione, sono stati sorpresi dalla faciltà di apertura verso l’Occidente. Hanno cercato di arrestare il nuovo corso prima con il monito della lettera di Varsavia, poi con due accordi, che non sappiamo se dilatatori, infine con la forza.

Il processo di liberalizzazione s’è fermato, s’è macchiato di sangue, ma non dovrebbe più tornare indietro. Tutto è possibile, la partita non è ancora finita.

Il 28 ottobre, festa dell’indipendenza e cinquantenario dello Stato ceco, è prossimo. Sotto il nazismo ci fu una grande silenziosa sfilata, quasi una carica alla resistenza. I cechi ebbero ragione. Quello che preoccupa la classe responsabile è il timore che le cose possano precipitare da un momento all’altro. Tutto ha l’aria di essere provvisorio.

Gl’intellettuali hanno paura. La polizia segreta ceca non ha collaborato coi sovietici. E se fosse costretta a farlo? Chi può si organizza: ho visto gente tenere le valìgie pronte per scappare, coi passaporti già vistati dal proprio Ministero degl’Interni e da qualche Ambasciata occidentale.

Gl’intellettuali hanno raggiunto una posizione di privilegio e sanno che una « purga » potrebbe eliminarli, come fin troppe volte è avvenuto nel mondo socialista.

Un progrom potrebbe scoppiare all’improvviso; le frontiere sono aperte. Qualcuno mi ha detto che si vogliono fare uscire i rappresentanti della intellighentzìa per due ragioni: sbarazzarsi di nemici fastidiosi e dire agli operai: vedete, loro hanno voluto la riforma e poi se ne sono andati, lasciandovi nei guai.

Molti ritengono che se ci sarà un altro scontro, questa volta sarà diverso. Sul muro nero di un edifìcio incendiato dai russi nella via Vinohradskà c’è scritto col gesso: ex Oriente lux.

Il caso ha voluto che in quel palazzo ci fosse una grande collezione di libri antichi.

I mesi della riforma

Da gennaio ad agosto del ’68 la Cecoslovacchia è presa da un’ondata di eventi politici; sembra una forza imprigionata per anni che finalmente riesce a liberarsi. Il Comitato Centrale del PCC all’inizio dell’anno decide di separare le funzioni del Presidente della Repubblica da quelle del Primo Segretario del PC. Gli scrittori cominciano a pubblicare il settimanale Literarni listy (29 febbraio). Inizia quel processo di liberalizzazione della stampa, radio e tv che culminerà nell’abolizione ufficiale della censura (26 giugno). Sorgono nuove associazioni, circoli culturali, in molte organizzazioni centrali e periferiche c’è il cambio della guardia.

Alle riabilitazioni si alternano le dimissioni. Il 5 aprile il plenum del CC dopo una sessione di cinque giorni approva il nuovo programma del PC. Questi avvenimenti hanno un processo preordinato o casuale? Sono dei mesi particolari che lasciano sorpreso l’osservatore, soprattutto perché per anni non c’era stato niente di nuovo. Il Paese appare un vulcano che all’improvviso comincia un’eruzione inattesa e perciò imprevedibile.

Torniamo ora alle dimissioni. È lungo, troppo lungo l’elenco di chi man mano si dimetteva o era costretto a farlo. Dal giornalista di secondo rango al Presidente Novotny. Sappiamo quante pressioni fossero state fatte su di lui; in una lettera all’Assemblea Nazionale, datata 22 marzo, scrive:

« Questa è per notificare che ho deciso di dimettermi dalla carica di Presidente della Repubblica Socialista Ceca. Ho preso tale decisione dopo attenta considerazione, con riguardo alla situazione interna ».

Com’è possibile pensare che tanta gente messa da parte se ne stesse tranquilla? Quanti di loro uscendo da un ufficio si son dovuti portare collaboratori personali, galoppini al proprio servizio? Molti dei dimessi si saranno recati a Mosca ed avranno avuto contatti con agenti sovietici. Mosca deve essere stata sollecitata dagli ex gregari a riportare la situazione allo status quo; una conferma indiretta è data da due passaggi della famosa lettera di Varsavia, inviata dai « Fratelli »:

« Forze antisocialiste e revisioniste rovinano tutta l’attività del Partito Comunista, stanno guidando una campagna contro i quadri, stanno discreditando onesti comunisti che sono devoti al Partito... Sappiamo che in Cecoslovacchia ci sono forze capaci di difendere il sistema socialista ed eliminare gli elementi antisocialisti ».

Ecco perché i russi dopo quarantotto ore erano negli uffici più riservati dì Praga e presso le associazioni di scrittori e giornalisti, sapendo che là c’era « il seme della mala pianta ».

Sì, la schiera dei dimessi avrà pianto per la città colma di ferro straniero, ma sarà stata lieta di vedere che finalmente si erano mossi dalla Russia per giudicare i suoi giudici.

Si voleva giustizia. Per fortuna giustizia fu fatta solo a metà. Ma non per fortuna, per volere di tutto un popolo.

S’era visto che Dubcek stava finalmente imponendo una sterzata coraggiosa e necessaria al carro traballante.

Non bisogna dimenticare che nel ’48 la Cecoslovacchia era il Paese industrialmente più avanzato fra quelli che avevano intrapreso la formazione di un socialismo marxista. In pochi anni, con Gottwald presidente e Zapotocky primo ministro, avvenne la trasformazione. La scuola fu messa sotto controllo, l’industria nazionalizzata, l’agricoltura collettivizzata, la distribuzione rivoluzionata, la Chiesa controllata.

Per questo lento suicidio gli artefici dovevano agire in modo indisturbato: occorreva avere il pieno controllo. Anche quando il socialismo fu stabilizzato e le classi eliminate, il potere rimase nelle stesse avide mani. I vecchi metodi amministrativi incepparono la vita del Paese, degenerando in un ginepraio burocratico. I diritti democratici furono calpestati, la legge apertamente violata; l’abuso di potere colpì innocenti cittadini, facendo cadere l’intero popolo nella paura, nello scetticismo, nella delusione.

Qualche voce di opposizione fu subito messa a tacere.

Finalmente le sessioni di dicembre ’67 e gennaio ’68 tenute dal CC riuscirono a rompere la prima barriera della critica. Tutto cominciò allora.

Ideologia e pratica

San Venceslao per i cechi ha un’importanza eccezionale. Rappresenta il simbolo di tutto un popolo che, come quel cavaliere del nono secolo, vuole la pace.

A San Venceslao si affianca nella tradizione ceca Giovanni Huss.

Un uomo eccezionale, che a trentadue anni era già rettore dell’Università di Praga, si batté da una parte per una Chiesa che si ricollegasse al primitivo carattere di povertà e dall’altra per la formazione di un Paese che si sentisse finalmente una nazione, eliminando l’influsso della gerar-chia ecclesiastica e della borghesia tedesca.

L’imperatore Sigismondo invitò Huss ad incontrarsi coi capi della Chiesa al Concilio di Costanza, che si svolse nel novembre del 1414. Arrivato a Costanza, il clero lo imprigionò e il 6 luglio lo mandò al rogo.

Quando Dubcek e Svoboda si recarono a Cierna e a Bratislava, tutti temevano che si ripetesse la stessa tragedia. L’epilogo triste stava avvenendo a Mosca; i capi di uno Stato sovrano prelevati con la forza, furono costretti a trattare con una eccezionale pressione psicologica.

Cosa ha ricavato l’Urss dall’intervento in Cecoslovacchia? Bisogna distinguere, per cercare di capire, la doppia posizione del Cremlino nell’attuale momento:

a) Ruolo di guida nel comunismo internazionale

Più volte Mosca aveva ribadito che ogni Paese ha il diritto di scegliersi la sua via al socialismo, considerando particolari sviluppi storici, politici e sociali. Era stato altresì riaffermato il principio della non interferenza negli affari di ciascuno Stato. Persino la lettera di Varsavia inviata dai "Fratelli" dichiarava:

« Non abbiamo intenzione di intervenire negli affari interni del vostro Partito e del vostro Stato, né di violare i principi di indipendenza ed uguaglianza fra i Partiti Comunisti e i Paesi socialisti ».

L’intervento è stato una mossa sbagliata, perché ha mandato all’aria una dottrina in sostanza pacifista, col rispetto di ciascun Paese socialista

Le conseguenze immediate sono la non più credibilità di tale teoria e la ulteriore frattura nel blocco d’obbedienza moscovita. Come si sa, i Partiti Comunisti dei vari Paesi — tranne qualche rara eccezione — si sono dichiarati contrari all’intervento

L’hanno fatto per salvare la faccia all’interno di ciascun Paese e per non modificare la loro polìtica di via nazionale al socialismo. Ovviamente ci saranno delle deviazioni e delle crisi di coscienza.

Ma bisognerebbe venire a Praga, parlare, vivere con questa gente. Allora le crisi sarebbero più numerose, anche per coloro che non vogliono sentire, non vogliono vedere, non vogliono parlare.

b) Supremazia imperialislica (e ruolo dì guida fra le forze del Patto di Varsavia).

Un satellite di grande importanza strategica stava uscendo fuori dall’orbita: gli uomini che lo guidavano avevano sì una formazione marxista-leninista con passato antinazista, ma non davano più completa sicurezza. C’era poi la pressione dei fuorusciti, c’erano i « Fratelli » che per prestigio, per odio, per interessi particolari non volevano lasciarsi scappare di mano Dubcek e compagni.

Allora la tragica mossa. La quale, sotto questa tetra luce, ha una sua logica. Ma non si parli di « aiuto »

I carri armati salirono verso il monumento sacro di San Venceslao, ma i giovani li fermarono coi loro corpi; uccisero un ragazzo di quattor dici anni che aveva in mano delle margherite.

II museo alle spalle del monumento è anche sacro; oltre duemila pallottole lo colpirono. Volevano occupare la radio: i giovani misero dei tram ed autobus di traverso, per sbarrare l’accesso. Quando seppero che i carri sarebbero passati lo stesso, si misero dentro, aprirono le camicie strette sul petto e dissero: sparate

Quel giorno ci furono numerosi morti.

A Brno il generale che comandava le operazioni fece sapere che, se avesse trovato resistenza, avrebbe cannoneggiato la città. Tuttora nei sobborghi ci sono accampamenti di truppe. S’è tanto parlato di controrivoluzione.

Qualcuno mi ha fatto rilevare che, se ci fosse stata una controrivoluzione, non sarebbero mancate le armi e queste sarebbero state sicuramente impiegate, almeno dopo le prime uccisioni.

I soldati russi furono costretti a lunghi percorsi, pensavano di essere arrivati a Riga, erano stanchi, avevano i nervi a fior di pelle. Ma tutto questo fa parte di un assalto a un Paese sovrano. Il vecchio capo vuole rimettere in ginocchio il suddito che, in questo caso, non è stato infedele, ma che anzi giura voler restare restare il migliore.

Come s’è visto, nella seconda interpretazione non si può affatto parlare di «aiuto a un Paese Fratello ». E pura fantapolitica, è ipocrisia. Furono più onesti i nazisti. Loro avevano una dottrina di « spazio vitale », nonché di « supremazia ariana »: agirono in conseguenza.

Qualcuno mi ha detto che i tedeschi si comportarono meglio: rispettarono i monumenti, gli uomini, le donne.

Per strada ci sono ancora scritte: « Ivan va a casa »; « aiuto = aggressione?»

Quei giorni i soldati russi sequestravano anche le radio a transistor. I ragazzi avevano il metro di metallo a mo’ di antenna e la scatoletta vicino all’orecchio. I russi di corsa a sequestrarli. Al metro sostituirono delle mattonelle con cartone catramato ed altri aggeggi: i russi a bloccare, a smontare.

Ad uno di loro chiesero: Se i cinesi venissero un giorno al Cremlino, cosa diresti?

Il soldato non rispose.

L’aspetto economico

II problema permanente della Cecoslovacchia è stato la mancanza di materie prime. Fin dal ’18, anno della fondazione dello Stato, l’industria leggera rappresentava la fonte maggiore del reddito nazionale. I cristalli, le pelli, le calzature, i tessuti e gli strumenti di precisione erano un vanto del Paese, che aveva una mano d’opera altamente qualificata.

Oltre il 75% dei prodotti era esportato in Occidente, da cui si importavano le materie prime.

Con la Seconda Guerra Mondiale l’industria leggera fu convertita in industria di guerra. Dal ’45 al ’48 si ha un periodo particolare di transizione: l’industria bellica comincia ad essere riconvertita in quella leggera , gli scambi riprendono in pieno, il governo — che ha una forte percentuale di comunisti e socialisti — attua la nazionalizzazione delle industrie-chiave, lasciando libere le altre.

In agricoltura sono effettuati grossi espropri e organizzate cooperative volontarie. Il settore distributivo conserva la sua struttura.

In questo periodo di economia mista, che ad alcuni ricorda la NEP sovietica, sono fatte delle riforme sociali (istruzione gratuita, pensioni, assistenza malattie) e si ha un tentativo di pianificazione a medio termine.

Nel ’47 il governo studia un piano di cinque anni, con obiettivi ben precisi: sviluppare l’economia del Paese coi prodotti tradizionali, tenendo conto dei nuovi criteri tecnologici ed allargando gli scambi coi Paesi socialisti, sulla base di assoluta libertà, e per le materie prime, vecchia carenza.

La Cecoslovacchia vuole restare un libero Stato mitteleuropeo.

Purtroppo il piano rimane sulla carta, perché nel ’48 i comunisti si impadroniscono del potere. Si effettua la completa nazionalizzazione dell’industria e la collettivizzazione delle campagne, secondo il modulo sovietico dei kolkos e sovkos.

Nel gennaio del ’49 nasce il Comecon; quasi contemporaneamente inizia la triste guerra fredda e s’abbassa la cortina di ferro.

Mosca vuole che i Paesi dell’Est non abbiano più contatti con l’Occidente, ma che sviluppino fra loro una economia autonoma.

Come s’è rilevato all’inizio, la maggior parte dei prodotti cechi andava all’Occidente. La perdita di tanti sbocchi vitali fu un vero disastro. Il Paese voleva andare per la sua strada, conservando i vecchi rapporti; purtroppo alla terza sessione del Comecon — gennaio 1951 — gli altri membri imposero il loro volere.

L’affossamento economico

L’opposizione non ci può essere, perché a comandare si trovano Gottwald e Zapotocky, fantocci di Stalin.

Vediamo che cosa i « Paesi Fratelli » sono capaci di fare: Avendo in massima parte un’economia arretrata di tipo agricolo, impongono alla Cecoslovacchia di costruire macchine agricole ed estrattive, di preparare progetti per complessi industriali. Inoltre, il Paese deve provvedere alla formazione di una propria industria estrattiva, perché gli aiuti dall’Unione Sovietica tardano a venire.

Il quadro presenta così un Paese prospero nell’industria leggera e obbligato a formare un’industria pesante, senza averne bisogno.

Tutto ciò che i « Fratelli » davano era ben poca cosa rispetto a quello che prendevano. L’autarchia nell’ambito del Comecon era fatta con un continuo dissanguamento della Cecoslovacchia, che dovette rinunciare per sempre ad applicare la vecchia quanto saggia teoria dei costi comparati di David Ricardo.

C’è di peggio: i membri del Comecon hanno ormai raggiunto un certo livello di sviluppo industriale e non hanno più bisogno del macchinario ceco. Pertanto c’è un supero di prodotti, difficile a collocarsi. Interviene ancora una volta l’ideologia: la vecchia guardia offre macchi-nari, armi ed assistenza tecnica ai Paesi del terzo mondo con operazioni creditizie a lungo termine.

I risultati sono ancor più deficitari. All’interno, poi, la mancanza di incentivi alla produzione e di forme concorrenziali completano l’affossamento economico.

Così alla progettata liberalizzazione politica si affianca necessariamente quella economica.

Gli esponenti del nuovo corso vogliono eliminare le imprese passive, anche se ciò implica un serio pericolo di disoccupazione temporanea ed eventuali contrasti sindacali.

Desiderano riprendere i contatti con l’Occidente, avviare ancora una volta l’industria tradizionale, ma con decisivi ammodernamenti, perché tutto il settore è vecchio di sessanta - ottanta anni.

Vogliono nuove forme di direzione nelle imprese.

Ma è vero che hanno chiesto aiuto all’Occidente?

« L’Unione Sovietica non può darcelo, perché abbiamo bisogno di progresso tecnologico. Abbiamo chiesto all’Urss di pagare i suoi debiti col grano, che siamo costretti a comprare dal Canada ».

Per venti anni è stato un continuo sfruttamento, un commercio a senso unico, un vero salasso.

Ma ora, col coraggio della disperazione, hanno detto basta.

I «Paesi Fratelli» non hanno gradito, non hanno accettato la loro sacrosanta richiesta.

E perciò li hanno chiamati contro rivoluzionari.

P.S.

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