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Come "Il dottor Zivago" giunse in Italia


martedì 27 novembre 2007 di Arturo Capasso

Argomenti: Letteratura e filosofia


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Nel novembre del 1957 apparve la prima edizione mondiale de Il dottor Zivago, che in pochi mesi ebbe una tiratura vertiginosa e fu tradotto in molte lingue. Un vero trionfo per la giovane casa editrice Feltrinelli.

Come si ricorderà, ci fu anche un film con attori bravi ed una musica struggente.

In vari incontri letterari, in numerosi interventi su giornali e alla radio si riparla del libro e del dramma del suo autore, Boris Pasternak, che nel 1958 dovette rifiutare il premio Nobel per la letteratura.

Belle e sentite parole, ma poco si dice - in verità- su come il dattiloscritto fosse arrivato in Italia, o lo si dice in modo approssimativo, se non fuorviante.

Fu il giornalista Sergio d’Angelo a far visita al grande scrittore e a prendere in consegna l’opera. Ritengo perciò quanto mai opportuno riproporre ciò che egli scrisse in un articolo apparso su “Sovietica” nell’ottobre del ’68: “Il caso Pasternak dieci anni dopo”.

”Da un paio di mesi io mi trovavo nell’URSS, inviatovi dal Partito comunista italiano (del quale feci parte fino all’anno successivo) e lavoravo appunto alla redazione italiana di Radio Mosca

Nelle ore libere da questo impegno mi occupavo spesso di autori e libri che potevano interessare Feltrinelli (giovane editore di Milano, comunista, con molti mezzi e ambiziosi programmi), che mi conosceva da tempo, anche per qualche traduzione che avevo fatto per lui, e mi aveva affidato l’incarico di segnalargli le cose più interessanti della letteratura sovietica contemporanea.

L’annuncio del dottor Zivago, si capisce, non poteva lasciarmi indifferente.

Se mi fossi procurato una copia del dattiloscritto del romanzo della sua prima pubblicazione nell’URS, Feltrinelli avrebbe potuto partire con vantaggio sugli eventuali concorrenti in Occidente. Per questo, senza aspettare troppo, mi recai a Peredelkino, il villaggio dove viveva Pasternak.

Era una bella giornata. Lo scrittore, che stava facendo qualcosa nel giardino della sua casetta, mi accolse con cordiale semplicità. Ci sedemmo all’aperto e conversammo a lungo.

Quando venni allo scopo della mia visita, egli mi apparve subito sorpreso (fino allora, evidentemente, non gli era mai balenata l’idea di stabilire rapporti con un editore straniero), e rimase esitante, pensieroso, durante tutto il colloquio che si svolse sull’argomento.

Comunque non era convinto che il suo romanzo sarebbe stato effettivamente pubblicato nell’URSS: pensava piuttosto il contrario. Gli chiesi se qualche collaboratore della competente casa editrice avesse espresso un giudizio negativo, una obiezione di fondo. No, questo non c’era stato.

E allora io insistetti sul fatto che la pubblicazione del romanzo era stata preannunciata ufficialmente, che il clima politico non era più quello di una volta, che la sua sfiducia mi appariva del tutto ingiustificata.

Alla fine aderì alla mia richiesta: chiese il permesso per qualche istante, entrò in casa e ritornò con il dattiloscritto. Ma la momento del saluto, mentre mi accompagnava al cancello, volle, sia pure scherzosamente, ribadire la sua opinione: “Voi - disse - siete invitato fin d’ora alla mia fucilazione”.

Pochi giorni dopo, a Berlino, il dattiloscritto è consegnato a Feltrinelli. La traduzione è affidata a Pietro Zveteremich.

Non vorrei sbagliarmi, ma fu proprio Zveteremich, che avevo incontrato a Roma per un’intervista sul disgelo, a parlarmi di d’Angelo.

Le autorità sovietiche vengono “informate” della imminente pubblicazione del romanzo.

Allertano i dirigenti comunisti ed interviene persino Palmiro Togliatti presso Feltrinelli: questo libro non s’ha da pubblicare.

Ma i tempi dei signorotti ormai erano passati e Giangiacomo Feltrinelli disse di no.

“Vivere una vita non è attraversare un campo”.

Aveva proprio ragione, Jurij Andreevic Zivago.

 

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