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Quel viaggio nella Cina di Mao

E’ una Cina arcaica, coi suoi monumenti, la Grande Muraglia, le enormi statue che portano alle tombe dei Ming Sono ....
venerdì 28 settembre 2007 di Arturo Capasso

Argomenti: Mondo
Argomenti: Storia


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Nota. Parti separate di questo lungo articolo sono apparse su Il Fiorino, Scena Illustrata e Prospettive. Sono stati pubblicati in parte su Settanta, Agenzia giornalistica Agit - per l’edizione in italiano, francese, spagnolo – l’Eco d’Italia – Montevideo e Buenos Aires, Tribuna del Popolo di Detroit e l’Italo-Americano di Los Angeles.

Gli articoli sono del 1973, poco dopo la storica stretta di mano fra Mao e Nixon.

L’articolo è molto lungo e suddiviso nei seguenti capitoli raggiugibili direttamente cliccando su questo indice.

- Si parte
- La porta della Cina con molte foto originali
- Pechino con molte foto originali
- La metropolitana
- La sede della radio-televisione
- La Grande Muraglia con foto originali
- La seconda gamba
- Incontro con Chu En-lai con molte foto originali
- La terra e i contadini
- Che cosa ha portato Mao?

Le foto allegate a questo articolo sono originali dell’epoca e sono dell’autore. In alto a sinistra è mostrata la copertina del libro "la lunga marcia" pubblicato a Pechino nel 1972 (124 pagine e una piantina in bianco e nero).

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E’ una Cina arcaica, coi suoi monumenti, la Grande Muraglia, le enormi statue che portano alle tombe dei Ming Sono rappresentate le tre componenti essenziali dell’ordine universale: Il cielo, la terra e l’uomo, secondo la millenaria tradizione religiosa di quel Paese

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Una sorta di trattore

E c’è una Cina proletaria che va a piedi, in bicicletta, su trattori, piccoli mezzi. Andare, comunque andare: era il principio della seconda gamba. Sotto la uniformità dei giacconi e dei colbacchi ci sono volti dolci di bimbi felici, di operai che aspettano pazienti, di gente impegnata in lavori antichi.

Il 25 Ottobre del 1935 si concluse a Yenan la Lunga marcia. Chi lo ricorda ancora ?

A Hong Kong troviamo immagini di vita frenetica, con enormi e terribili palazzi sulla costa. Quel modello sarà ben presto accolto e sviluppato dai nuovi capi di Pechino, con buona pace delle tradizioni millenarie.

I miei primi contatti con i cinesi di Mao li ho avuti all’Università di Mosca.

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La carta d’identità in Cina dell’autore

Nel ’61 vi trascorsi un intero anno accademico, quale borsista del nostro Ministero. Li vedevo, questi cinesi, andare sempre in gruppi, le ragazze si tenevano per mano. Quando a sera si faceva la coda all’ultimo piano per portarsi in camera qualcosa da mangiare, loro compravano sempre una bottiglia di kefir e un pezzo di pane nero.

Tutti gli altri, a cominciare dagli stessi sovietici agli arabi, prendevano formaggi, mortadella, birra, pesce secco. I cinesi no. Erano estremamente frugali. Anche i loro abiti si presentavano in modo semplice: pantaloni e casacca. Ne erano un centinaio. Si rivolsero al loro Governo con la seguente richiesta: avendo notato di poter vivere a Mosca con la metà dello stipendio percepito, volevano che fosse ridotto del 50 per cento l’ammontare a loro destinato. In tal modo c’era la possibilità per un ugual numero di studenti di venire dalla Cina e studiare in Urss.

Simile richiesta rappresentava una maturità politica eccezionale.

Mi venne così il desiderio di visitare quel Paese: oltretutto alcuni amici italiani erano già stati a Pechino, facendo un lungo viaggio con la Transiberiana.

Andai più volte all’ambasciata cinese: un grosso parallelepipedo sui Monti Lenin.

Mi fu risposto, con molto garbo, che non potevo avere il visto. Allora le cose fra i due Paesi Fratelli si mettevano male; sarebbero andate sempre peggio. Dopo dodici anni sono riuscito ad entrare in Cina

Si parte

TORNA SU Il volo AZ 6774 dell’Alitalia inizia da Fiumicino alle ore 18. Alle 5,50 del mattino c’è una sosta a Bombay. L’aeroporto indiano è di grande importanza, giacché vi effettuano scalo tecnico molte compagnie aeree che collegano il Sud Est asiatico, il Giappone, l’Indonesia e l’Australia con il continente europeo.

Nel ’56 giunsi su una nave mercantile nell’allora India Portoghese, Goa.

Dovevo proseguire per Bombay, ma i due Paesi (India e Portogallo) erano in guerra. Giunto alla frontiera , fui cortesemente invitato a tornare indietro. La fantasia vola nel tempo.

Scrissi allora, preso dalla suggestione del paesaggio: «Più lontano si vedono le capanne ricoperte di foglie di palme secche. Capanne a volte piccole a volte grandi, tutte circondate da alte palme. Si va pian piano verso il mare: la fresca acqua bagna il corpo e lo rinvigorisce. Si guarda lontano alle onde furiose, alla placida sabbia, agli alberi, alle case, ai pescatori. L’acqua si ritira con forza e la fine sabbia rispecchia uomini e cose. Lentamente è assorbita e il tutto scompare come in un sogno. A sera, quando il sole comincia a nascondersi e prende un colore giallo, tutti tornano dal lavoro. Portano pale e sono vestiti di giallo quelli chi vengono dalle miniere. Altri, donne e bambini, e ancora uomini, portano gli attrezzi da lavoro. Camminano adagio, in silenzio ».

... Riprendiamo il volo, un altro scalo è previsto a Bangkok.

L’aeroporto è controllato da poliziotti piccoli, di statura minuta.. Hanno grossi elmetti e mitragliatrici a canna mozza. La Tailandia, dopo un periodo di confusione, sembra avere finalmente un Governo.

All’interno, nella giungla, ci sono gruppi di guerriglieri. Pare che la loro presenza sia sulla metà del territorio. Non riesco a sapere se i vari gruppi di guerriglia sono legati in un fronte unico.

Chiedo: Quali sono le prospettive per questo Paese?

Risposta: II futuro non si decide qui, si decide altrove.

Chiedo ancora: Dove?

Risposta: Nel Vietnam. Bisogna vedere come andrà a finire là.

Dopo tre ore di volo si arriva ad Hong Kong. Il tempo di lasciare le valige in albergo, pieno di confort europeo, con l’aggiunta della cortesia orientale: un bel cesto di frutta con i saluti dell’addetto alle relazioni pubbliche del Mandarin Hotel.

E poi in giro per la città, tuffandomi in un mondo tanto diverso.

In una specie di mostra all’aperto c’è uno stand dove una quindicina di ragazze montano delle piccole radio a transistor. Sono molto giovani, lavorano velocemente. Compro una radio, costa millecinquecento lire.

Effettuo un’escursione in barca, grazie ad un elegante brigantino messo a disposizione da un funzionario dell’ambasciata francese.

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La porta della Cina

C’è un mondo in fortissimo movimento: grattacieli in costruzione, ponti, dighe, gallerie sotterranee, supermercati con prodotti europei, ricche gioiellerie, ristoranti con donne in topless, sale da ballo, club di golf, centinaia di navi nella baia.

E poi migliaia di bancarelle con castagne, banane, trippa, zuppe calde, frittelle, patate, bibite. Gente in continuo movimento, cinesi, europei, indiani. Un pulsare di vita che sembra momentaneo. Se uno vede un uomo correre, sa che prima o poi dovrà fermarsi: o perché la corsa è finita, o perché scoppierà.

Quale è il futuro di questo pezzo di terra? Hong Kong: l’ultima occasione del mondo occidentale per mostrare una vita fatta di corsa, di sfruttamento del suolo, del panorama, dell’aria e del mare. Quando i cinesi di Mao verranno su questo ultimo lembo di colonialismo, potranno mostrare come la civiltà nostra è stata guidata da interessi e da stimoli di accumulo. Faranno visitare questa città come adesso avviene per la Città proibita di Pechino, l’insieme dei famosi Palazzi imperiali Ming e Ch’ing.

Per ora, il trauma lo subisce il visitatore che da Hong Kong passa a Pechino. Forse non ci potrebbe essere camera d’attesa migliore. Proprio per una spiegazione dialettica: dalla vecchia tesi si passa all’antitesi che è tesi di un mondo diverso. Una vita più semplice, con un signiicato veramente più umano.

La colonia britannica è l’insieme di due grossi centri:l’isola di Hong Kong con la capitale Vittoria e la penisola Kow-Loon legata all’isola da un tunnel sottomarino di oltre un chilometro.

I grattacieli sorgono lungo la baia, si staccano dalle montagne declinanti verso il mare, si rincorrono in una affannosa corsa all’altezza, allo splendore, alla vita. Tenere la grossa Cina proprio attaccata dà il senso del transitorio, e perciò più prezioso.

L’Inghilterra è la vecchia Signora che gioca le sue ultime carte. Ha riconosciuto la Cina di Mao, tollera che ci siano scuole di comunisti per fare studiare i figli della patria socialista, strizza l’occhio alla banca di Stato cinese, il porto continua il traffico di miliardi di dollari all’anno.

Altra valuta pregiata è versata dal milione di turisti (americani, giapponesi, europei, asiatici ed australiani) che ogni anno visitano la Colonia.

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Pechino

Un grosso thermos da due litri, con scene di cigni che si bagnano nel fiume, una tazza-caraffa, un barattolo col tè, un piatto con caramelle ed un altro con banane, mele, mandarini. Infine, un piattino con sigarette e fiammiferi Sul tavolo, delle matite, una penna con pennino nuovo ed una boccettina d’inchiostro. Poi grossi letti, due poltrone di pelle nera, un comò. Dei centrini ricamati sugli schienali delle poltrone. Un pettine grosso, dei bicchieri con una bottiglia d’acqua per la notte.

Chi di noi non è stato almeno una volta a fare visita ad una vecchia zia?

La camera del Min zu hotel di Pechino suscita uguale impressione.

E’ straordinario come questi Paesi delo arco socialista che si sono affermati per nuove forme di vita, siano tanto fortemente ancorati al passato. E’ proprio vero che il futuro ha un cuore antico. I volti dei viandanti sono puliti, gente vestita alla buona, in modo pratico, con giacche imbottite, colbacchi di pelliccia e scarpe felpate. Ognuno va per i fatti suoi, in modo estremamente serio. Non ci sono ubriachi, non ci sono donne o uomini in cerca di qualcosa. Anche i ragazzi che si rincorrono e giocano a saltar la corda lo fanno con aria semplice, ma con grande importanza.

A migliaia visitano il Palazzo Imperiale, anzi l’insieme dei Palazzi nella « Città proibita ».

Questo è anche rivoluzione, se bisogna intendere il termine come capovolgimento globale di tradizioni, di modelli comportamentali. E’ stata una carica che gli uomini del partito hanno accumulato in anni di attesa, di preparazione.

Forse Chiang Kai-Shek non sapeva di rendere un gran servigio al comunismo cinese quando prese a inseguire le truppe di Mao, decise ad uscire dal Kiangsi rompendo il forte accerchiamento del Kuomin-tang.

La Lunga Marcia ha dato la carica ad un nucleo, ha lievitato masse di adepti. Erano in 130.000 quando - alla fine dello ottobre ’34 - andarono via. L’unico piano: allontanarsi da Chiang. Portavano donne e bambini, filatrici e macchine da cucire. Marciarono per 368 giorni, percorsero 6.875 miglia.

Erano stanati, mitragliati, decimati. Ma lungo il percorso trovavano rinforzi. Scalarono più di venti monti, attraversarono circa trenta fiumi. Arrivarono solo in 30 mila. Chiang aveva già ucciso la moglie di Mao. Il futuro presidente porterà la seconda moglie e cinque figli. Di questi, tre furono lasciati con dei contadini, tanti erano i disagi, e non furono più trovati.

Golden Sun In Beijing

La lunga Marcia si concluse il 25 ottobre 1935 con l’arrivo nel nord Shensi, a Yenan.

Essa, come dicevo all’inizio, ha dato una carica eccezionale al nucleo di rivoluzionari. Il partito comunista cinese si ritiene invincibile. Forze ostili - anche di gran lunga più grandi - possono essere sconfitte. Il nemico è sempre una Tigre dì Carta. E, come durante le celebrazioni popolari, !e tigri di carta sono bruciate per mostrarne l’effettiva inconsistenza, così dicasi per ogni nemico del comunismo cinese, al di dentro o al di fuori.

Questo spirito ideologico è ampiamente esportato in Asia, Africa, America Latina.

I Cinesi ritengono che il loro esempio può e deve essere ripetuto- basta solo credere fermamente nella causa. Mi sono soffermato su tale episodio della recente storia cinese, perché solo in tal modo si possono comprendere alcuni fenomeni che hanno caratterizzato l’allargamento del potere comunista.

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La metropolitana

A Pechino le strade sono larghissime, percorse da frotte continue di ciclisti e pedoni. Solo di tanto in tanto qualche grossa auto di rappresentanza ufficiale riesce a farsi largo fra la folla suonando brutte trombe e muovendo la sua mole come un pachiderma. Fra qualche anno, con l’incremento di auto, anche per l’apertura continua di nuove ambasciate, i pedoni dovranno mettersi l’animo in pace e non camminare più in mezzo alla strada.

Non sembra che per il momento ci fosse bisogno di una rete sotterranea per smaltire il traffico. E invece l’hanno fatta, ne sono lieti, ci portano lo straniero.

La costruzione della metropolitana di Pechino è iniziata nel 1965 ed è stata completata nel ’69. Ha una lunghezza di 23 chilometri, i treni una velocità oraria di ottanta chilometri. Le sedici stazioni sono percorse giornalmente da circa settantamila viaggiatori, che pagano un biglietto di venticinque lire.

Sono messe in risalto le attuali deficienze: risulta rumorosa, durante la stagione delle piogge c’è caldo umido, le luci sono scarse. Chiedo a quale modello si sono rifatti, mi si risponde che è tutta cinese. Però, quando percorro un breve tratto, rilevo che le stazioni sono molto simili a quelle sovietiche.

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La sede della radio-televisione

E’ un grosso edificio imperial-stalinista. All’interno del salone delle conferenze ci sono cinque grossi ritratti: Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao.

Il Presidente, secondo una conversazione avuta col sinologo americano Edgar Snow nel 1970, si sarebbe dichiarato contrario al culto della personalità; quindi i suoi ritratti pare che stiano diminuendo. La radio e la televisione sono formati da tre organismi: il primo è la radio centrale popolare che opera per l’interno con cinque programmi e settanta ore di trasmissione. Il secondo organismo è la radio Pechino per l’estero; in ben trenta lingue “sono illustrate le esperienze del popolo nella edificazione del socialismo, sono trasmesse notizie sulla vita di tutti i popoli del mondo, è illustrata la lotta che si svolge in tutto il mondo per l’indipendenza, la pace, la democrazia”

Il terzo organismo è rappresentato dalla televisione: circa centomila apparecchi ricevono tre ore di trasmissione al giorno. Per la televisione a colori non è vero che hanno già scelto il sistema Secam, i francesi hanno detto una bugia. Attualmente si stanno sperimentando i due sistemi.

Ho chiesto con quale criterio vengono fissati i programmi dei vari settori. La risposta è stata precisa, immediata: “Seguiamo le direttive di Mao: sforzatevi di migliorare le nostre trasmissioni per servire il popolo cinese ed i popoli di tutto il mondo” Siamo in presenza d’un vero regime di strumentalizzazione. Dall’Urss e da Formosa giungono diverse trasmissioni di dissenso. In un primo momento è stato detto che non vengono ascoltate e, in un secondo momento, che gli ascoltatori non credono a quelle storie.

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La Grande Muraglia

Per raggiungere la Muraglia occorrono circa due ore di auto da Pechino. La giornata è fredda. Pur essendo presto, il traffico è già intenso. Vario è il movimento di trattori, carri e biciclette. Squadre di operai sono oltre i bordi: installano cavi in trincee profonde un metro. Il lavoro è coordinato da capi-squadra, che danno i tempi con delle bandierine. C’è nebbia fitta, il fondo è ghiacciato.

Abbondano i carri trainati da piccoli muli, a due, tre, quattro. Trasportano di tutto: fieno, ferro, fascine, bidoni, mattoni, canestri, sacchi. La manutenzione della strada è tenuta da gruppetti di donne con rastrelli, scope e badili. Il freddo è intenso, ma il lavoro procede regolarmente.

Solo di tanto in tanto si scorgono dei piccoli falò con gente intorno. Le case sono basse, quasi non si vedono. D’altra parte, anche in pieno centro di Pechino sembra di stare in una immensa campagna: la città è l’opposto delle nostre metropoli, non ci sono ammassi di cemento, lo inquinamento non esiste. Solo i grossi edifici di stile imperial-socialista rappresentano un tentativo mal riuscito d’integrazione su modelli europei.

Continui filari d’alberi spogli, spolverati di bianco. Il sole comincia a filtrare pallidamente e dà un effetto iridescente. Passano greggi di pecore e capre basse. Due maialetti impauriti con grosse macchie bianche si dirigono verso un casolare. E ancora carri, con uomini dai lunghi cappotti di montone e colbacchi sul capo. Fumano la pipa, parlano fra loro, procedono in silenzio.

Nella campagna sono al lavoro dei soldati con badili, altri con martelli pneumatici. La radio trasmette una marcetta, il corso di ginnastica, musica popolare. E vanno, con carri trainati da muli o trattori primitivi. Si muovono, tutti. Sono spinti dalla speranza o rassegnazione? Non lo so.

La Grande Muraglia si erge in tutta la sua imponenza, come un enorme serpente strisciante sulle alture più alte. Finalmente si arriva. Si sale, l’aria diventa sempre più fredda. Ma si va su con piacere: dopo tanti anni questa ascensione può essere finalmente compiuta.

Nel IV Secolo a.C. i piccoli Stati cinesi si costruirono delle mura per proteggersi dagli attacchi dei vicini e degli Unni. Dopo un secolo la dinastia Tsin unificò il Paese e le mura settentrionali furono collegate fra loro, formando così la Grande Muraglia. E’ lunga seimila chilometri, inizia ad est, al Passo Shanhaikuan. Attraversa cinque province (Hopei, Shansi, Ningsia, Shensi, Kansu), una municipalità (Pechino) e una regione autonoma (Mongolia interna).

Le mura, alte sette metri e larghe sei, sono intervallate da una torre a due piani. Recentemente sono stati compiuti lavori di restauro nella zona di Pataling. Oltre, ci sono grosse frane, effetto di un abbandono secolare. Un cartello in cinese, russo ed inglese invita a non procedere.

Queste mura lasciano il visitatore assorto e pensoso: senza di loro gli Unni non avrebbero trovato l’ingresso sbarrato e non si sarebbero incamminati verso l’Europa.

Oggi il mondo - forse - avrebbe una configurazione socio-politica diversa...

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La seconda gamba

Nel 1949, quando il partito comunista cinese prese il potere in tutto il Paese e fu proclamata la Repubblica, i pianificatori si trovarono di fronte a problemi enormi, vecchi di millenni.

Il Paese aveva bisogno di tutto, l’industria pesante era quasi inesistente, quella leggera basata solo su forze artigiane, l’agricoltura si sviluppava tra il troppo grosso latifondo e il troppo piccolo appezzamento. Che fare? Si poteva attendere anni ed anni? Decisero di cominciare subito: il vecchio sarebbe stato l’inizio, man mano sarebbe stato inserito il nuovo.

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Camion

Intanto bisognava procedere col vecchio e col nuovo, con l’industria pesante e quella leggera, con l’agricoltura tradizionale e quella industrializzata: nacque così lo slogan che invitava a camminare su due gambe. Il principio è stato applicato, i frutti si vedono.

E’ stato necessario fare questa premessa, per capire il motivo di tanti complessi che sembrano - e sono - al di fuori del tempo. Ciò è possibile anche per un altro motivo: essendo lo Stato l’unico datore di lavoro ed unico acquirente, i costi sono fissati dallo stesso; non c’è regime concorrenziale basato su leggi di mercato; da noi un’impresa non aggiornata avrebbe vita grama.

Il Presidente del Comitato Rivoluzionario delle acciaierie di Pechino dà il benvenuto agli ospiti.

Il Comitato si compone di alcune decine di persone: una metà rappresenta gli operai, tecnici e dirigenti, il 10 per cento l’esercito e il 40 per cento il Partito. La fabbrica ha mezzo secolo di vita; da allora non sono state effettuate innovazioni tecnologiche

Nel ’58 c’è stato un ampliamento e dalla sola produzione di ghisa si è passati all’acciaio. Dal ’69 al ’71 si è costruito nelle vicinanze un’altra fabbrica per i semi-lavorati. Fu fatta su richiesta delle acciaierie di Pechino al Ministero della Metallurgia. Rientrava già in un piano di sviluppo, ma i tempi furono accelerati I trentamila occupati sono così ripartiti: 86 % uomini e 14 % donne.

Gli operai rappresentano il 90%, i tecnici e i dirigenti il 10 %. I salari non sono uguali per tutti e sono ripartiti in otto categorie; vanno da un minimo di 35 yuan ad un massimo di 110. Lo yuan oscilla intorno alle trecento lire italiane, ma il costo della vita è molto basso.

Come vengono stabiliti i salari? In modo piuttosto semplice: secondo le capacità di produzione.

Pare che non ci sia differenza fra giovani e vecchi. Anzi, a tal riguardo si è stati espliciti: l’anziano prende di più perché ha maggiore esperienza. Le paghe dei tecnici sono le più alte: raggiungono i trecento yuan, mentre i dirigenti non superano i duecento. Le ore di lavoro sono otto, per sei giorni. Ho chiesto se ci sono ferie. La risposta è stata: «c’è vacanza quando è festa». E cioè: a) 1° gennaio, anno nuovo; b) anno nuovo secondo il calendario lunare cinese: tre giorni (varia dal 21 gennaio al 18 febbraio); c) 1° maggio, festa del lavoro; d) 1° ottobre festa nazionale (due giorni). In totale, le feste sono sette. La domenica, è giorno di riposo per le imprese che non lavorano a ciclo continuo.

Ho chiesto poi a chi vanno gli utili. Risposta: «Allo Stato».

Mi sono spinto oltre, fino ad essere indiscreto:
- E se non ci sono utili? La risposta è stata immediata: «Allora significa che qualcosa non funziona o che c’è cattiva amministrazione. Bisogna provvedere». Ho cercato poi di sapere come vengono prese le decisioni, ovvero chi impartisce - in ultima analisi - le disposizioni al Comitato Rivoluzionario.

Anche qui l’interlocutore è stato pronto, direi candido: « II Partito ».

La fabbrica è grossa, vecchia, fumosa. Gli uomini che stanno vicino agli altiforni sembrano presi da stampe di decenni addietro, quando il sindacalismo cercava il suo spazio vitale nella società moderna. Ma, come ho detto prima, tutto questo ha senso per il carattere eccezionale del Paese.

L’asilo è ben organizzato. I 610 bambini sono divisi in 24 classi ed hanno 118 persone come corpo insegnante e sorveglianti. Hanno cantato delle canzoncine molto dolci, si sono esibiti in un vero «show» con danze graziose. Si rappresentavano: i! piccolo guardiano, la piccola partigiana, la piccola brigata. I volti erano belli tondi, gli occhi a mandorla luccicanti. Le manine erano mosse con garbo, la voce del coro ben intonata.

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Incontro con Chu En-lai

Quando s’è saputo che saremmo andati da Chu En-Lai, s’è creata una certa emozione, soffusa ad intima soddisfazione. E’ nell’aria, nei risvolti della politica internazionale e in quella interna che Chu è l’erede di Mao.

Lo segue da più di mezzo secolo, ha vissuto con lui momenti di sconforto e di trionfo, è riuscito sempre a venir fuori da situazioni che avrebbero potuto comprometterlo per congiure di palazzo.

Non è stato un colloquio, né un’intervista. E’ stata un’udienza.

Nell’entrare nell’austero palazzo del Congresso Nazionale Popolare - dove ci sono saloni e saloni di filtro, guardie del corpo e grande, intima discrezione - ho ricordato lo spettacolo al teatro dell’Opera, dove la platea era piena di gente alla buona, con addosso cappotti e cappelli.

Veramente il fatto culturale è andato alle masse, c’è una prova di democrazia popolare.

Ma qui, no. Il personaggio Chu è troppo importante per essere - come dire - a portata di mano di ogni buon cinese. I vari paraventi, i numerosi passaggi, ricordano il palazzo imperiale: penso che sia nel costume di ogni capo cingersi d’una certa impenetrabilità.

L’udienza è stata cordiale, siamo sfilati ad uno ad uno e Chu ci ha stretto la mano. Poi abbiamo fatto la foto ricordo, su un palchetto a cinque scalini. Il Primo Ministro era al centro, noi tutti intorno, sinceramente contenti per una foto storica.

Chu si mette in luce nel 1919, quando assieme a Mao Tse-tung, Ch’en Tu-hsiu e Li Ta-chao fonda la Società per lo studio del Socialismo. Ci sono dentro gruppi di varia estrazione: socialisti, anarchici, marxisti e membri del Kuomintang. Nel maggio del 1920 segretamente sarà fondato il partito comunista cinese e il 1° luglio dell’anno seguente si terrà il Primo congresso in una scuola per ragazze nella zona francese di Shangai. Ma già dal ’20 deve riparare in Francia, dove svolgerà un grosso ruolo nell’organizzazione comunista. Torna a Canton, nel ’27 riesce a sfuggire al massacro voluto da Chiang Kai-shek..Partecipa alla Grande Marcia e fin dal ’49 è Primo Ministro.

La sua abilità politica lo ha portato sempre al fianco del Presidente. Come ho già detto, quasi certamente prenderà il suo posto. Non bisogna dimenticare, però, che ha settantacinque anni.

Chu En-Lai s’è detto lieto degli sviluppi di collaborazione fra i nostri due Paesi. Ha ricordato i vecchi rapporti, ha detto che tanti secoli fa l’Impero Romano era qui chiamato Ta-Cin, cioè Grande Cina. Ha voluto avere notizie sul nostro sviluppo economico, s’è ricordato della visita a Napoli, delle nostre autostrade, delle campagne e degli agglomerati.

Uscendo da quel grosso palazzo, mi sono apparse le immagini di due personaggi, tanto in alto e poi caduti. Ho ricordato Liu Shao-chi, la principale vittima della rivoluzione culturale, definito il Khruscev della Cina. Era il numero due del Partito e capo dello Stato; dall’agosto del 1966 non ha svolto alcuna attività. E poi ho ricordato Lin Piao, scelto da Mao nel ’66 come suo successore. C’è un antico adagio cinese che dice: « Non dimenticare il passato, esso è maestro del futuro».

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La terra e i contadini

La campagna cinese vista dall’aereo è unica. Non c’è un pezzo abbandonato, incolto. Si scorgono migliaia di piccoli agglomerati, che formano una immensa ragnatela. Ad ogni intreccio di fili c’è un insieme di piccole case. L’ottanta per cento della popolazione cinese è contadina. Di tutta la Cina, la parte più popolata è l’orientale. Perciò centinaia di milioni di cinesi vivono in questa colossale ragnatela. E’ questa - credo - la forza della Cina: i milioni di nuclei sparsi ne fanno una potenza strategicamente inespugnabile.

Bisognava conquistare i contadini per prendere il potere. L’operazione richiedeva un lunghissimo lavoro di trama. La pazienza e la saggezza hanno premiato il Partito Uno dei motivi della vittoria maoista fu la distribuzione della terra ai contadini, come inizialmente era avvenuto per i contadini sovietici, col decreto sulla terra (Dekret o zemle). Con la presa del potere (1949) la distribuzione avvenne nelle terre liberate. Era già stata effettuata nelle zone controllate dai comunisti durante la guerra civile.

Tre sono i documenti che disposero la politica agraria: 1) La legge di riforma agraria del 30 giugno 1950. Rappresenta una versione più ampia dei «Principi della legge agraria» (ottobre 1947); 2) Decisioni inerenti alla differenza di classe nella campagna; 3) Norme sull’organizzazione delle associazioni contadine. Ne scaturì una precisa classificazione:proprietari terrieri, contadini ricchi, contadini medi, contadini poveri, braccianti. Il Partito tolse la terra alle prime due, non si oppose alla sopravvivenza dei contadini medi, fu generoso con le ultime due categorie . Una recente opera vista a Pechino «II distaccamento rosso femminile» narra di un dispotico proprietario fondiario di nome Nan Pa-tien. La figlia di un contadino povero - chiamata Wu Ching-hua - è incatenata a un palo. Lao Szu, aguzzino del proprietario, ha l’ordine di venderla.

L’opera va avanti per sei atti, alla fine Na Pa-tien viene fucilato, la fanciulla trova !a sua ragione di vita nell’attività del Partito; la vecchia classe cede il posto a quella nuova, rivoluzionaria.

Pare che molti proprietari abbiano fatto la stessa fine, dopo il ’49. I contadini più poveri, che ormai si sentivano sollevati da una situazione annosa di disagi, diedero una fattiva mano alle truppe, per non far tornare i vecchi proprietari. Quello atavico « timor reverentialis » era ormai scomparso. Non più privilegi di censo, ognuno doveva contare su se stesso, su quello che sapeva fare. Allora finiva una rivoluzione e ne cominciava un’altra.

II frazionamento del terreno in milioni di proprietari - prima braccianti e contadini poveri - inizialmente diede frutti positivi: c’era la gioia mai provata di arare in proprio. Ben presto, però, sorsero dei grossi problemi: irrigazione, vendita del prodotto, organizzazione generale. Pertanto, nel dicembre del 1951 il Partito esaminò la possibilità di forme cooperativistiche e di mutuo soccorso. Un anno dopo già il 40 % dei contadini aveva accettato tale suggerimento

Si attraversava un periodo di transizione; purtroppo la campagna cominciava a scappare di mano. Fu rilevato che non si poteva meccanizzare il settore agricolo senza una definitiva ristrutturazione: questo processo portava inevitabilmente alla collettivizzazione. Nel 1958 cominciò a funzionare nella Provincia di Honan la prima comune, chiamata Sputnik. Si trattava di una grossa unità operativa. L’idea base doveva essere la scorciatoia al comunismo, giacché la vita del contadino era organizzata su principi comunisti. I risultati furono vistosamente negativi.

In sostanza risultò valido il principio d’un grosso centro operativo ed amministrativo, fu anche opportuna l’idea di lasciare alla comune l’iniziativa di opere di bonifica, di costruzione ponti, strade, teleferiche. Ma il contadino, malgrado i continui martellamenti della propaganda, voleva restare quello che era sempre stato. Egli voleva la sua casa, il suo focolare, il suo fazzoletto di terra, anche se estremamente piccolo.Le autorità corsero ai ripari. Il modello scaturito, che è senza dubbio più aderente alla natura del contadino, si avvicina al colcos sovietico, ma è più completo.

Nel distretto di Shangai sorge la comune Tang-Weng. E’ spesso visitata da stranieri, il che lascia supporre che trattasi d’una unità modello. E’ stata fondata nel 1958 e si suddivide in undici brigate con 120 squadre, di produzione. E’ molto grande: si estende su una superficie di 1.187 ettari. Comprende 5.400 famiglie con 23.000 abitanti. La produzione principale è rappresentata dai cereali e dal cotone.

Ho visitato anche un’attrezzata segheria: su un grosso mezzo andavano su e giù degli operai che tenevano a bada tronconi di legno; regolavano il pezzo che dopo poco sarebbe passato vicino all’acciaio dentato. Ci sono altri capannoni dove si fabbricano cestini, piccoli mobili, arnesi vari.

Il settore allevamento mi sembra particolarmente curato: lunghe stalle per maiali, ben tenute e piuttosto funzionali. E poi grossi recinti con anatre e galline.

Dei pescatori in tute di gomma tirano le reti: la pesca è ricca di enormi carpe; le più piccole vengono rimesse in acqua. In tal modo il patrimonio ittico non viene compromesso.

Torniamo ai cereali. Pare che negli ultimi anni l’incremento di produzione sia stato continuo. Si raggiungono 11.490 chilogrammi per ettaro. Pur essendo una quota eccezionale, i dirigenti della comune non si dimostrano soddisfatti: altrove si è arrivati ai 15.000 kg. Rispetto al 1957 la produzione è del 113%; rispetto al 1949 del 208%. In questa comune sono stati scavati nove canali con 32 stazioni di pompaggio. Il terreno è irrigato al 95%.

L’autocritica comprende altre voci: la meccanizzazione non è a ritmo elevato, alcuni lavori sono eseguiti ancora con metodi tradizionali, non tutte le brigate hanno uguale rendimento.

Come ho accennato, le attuali comuni hanno dato ai contadini un « minimum » indispensabile, rimandando - almeno per il momento - la collettivizzazione totale.

Così il 7% del terreno è dato ai contadini perché possano coltivarlo in proprio. Sono pochissimi metri, una quindicina. La famiglia, che in un anno guadana 734 yuan (in media), ha la possibilità d’arrotondare il proprio reddito .Infatti,si può allevare un po’ di pollame e portarlo al mercato libero.

La formula è però vincolata al sistema di prezzi determinati dallo Stato; non c’è pertanto libera contrattazione.

Sotto l’aspetto educativo la comune Tang-Weng ha quattro scuole medie e 22 elementari.

Gli studenti sono 5.400. C’è un ospedale con medici e infermieri per un totale di 27 addetti. Inoltre, per ogni brigata c’è un ambulatorio con tre medici diplomati e un infermiere. Dal 1969 è stato introdotto un tipo di mutua per l’assistenza medica. Ogni membro paga due yuan all’anno.

Questa gente vive bene? E’ contenta del proprio stato? Difficile dirlo.

Bisognerebbe parlare direttamente coi contadini. Una cosa è certa: la campagna è coltivata con amore, con quel rapporto affettivo uomo-terra che scompare sempre più dalle nostre zone parti. Bisognerebbe poi stare sul posto a lungo e osservare il fenomeno di mobilità verso l’esterno.

Se un giovane vuole studiare in città, se una famiglia vuole cambiare residenza, chi lo decide? Con quale metodo? Con l’introduzione delle comuni il villaggio tradizionale non ha più ragione d’esistere. II Partito ha il sistema per controllare l’enorme settore della vita cinese: l’agricoltura.

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Il pericolo giallo

II viaggio in Cina è stato breve per emettere dei giudizi. Posso solo fare qualche considerazione. Abbiamo visitato enormi centri abitati, abbiamo sorvolato infiniti nuclei residen ziali e campagne ben coltivate. Ci siamo spinti in brigate e comuni, rendendoci conto di come è organizzato il settore agricolo E poi abbiamo visitato fabbriche tessili, acciaierie, mostre industriali. Ci sono state escursioni alla Grande Muraglia, alle Tombe Ming, al meraviglioso Lago di Hang-chow.

La Cina di oggi può essere compresa solo se si formula seriamente il discorso della seconda gamba, inserito in un contesto più ampio: l’assoluta mancanza di normali leggi di mercato, la grande arretratezza sociale da cui si è partiti. Si lavora a ritmo intenso: otto ore al giorno per sei giorni. Non ci sono ferie, le feste sono sette in un anno. Non è riconosciuta alcuna tredicesima, i salari riescono appena a soddisfare le esigenze di ciascuno. In molti settori è richiesto un lavoro supplementare, non retribuito. Ma non dimentichiamo che sono 750 milioni, che non c’è disoccupazione, che finalmente la scodella di riso è assicurata per tutte le quattro stagioni. Ora non è più necessario affogare, cioè mettere in acqua fino a produrne la morte, le proprie figlie come si faceva un tempo perchè non sarebbe stato possibile sfamare un’altra persona.

Sono caduti i vecchi sistemi che regolavano i rapporti tra padri e figli, fra uomini e donne.

La rivista Nuova Gioventù, fondata nel 1915 da Ch’en Tu-hsiu, futuro fondatore del PCC, fu la prima a lanciare tali nuovi programmi. Da un gruppo di professori, di alunni e da un assistente libraio (Mao), nascerà la nuova Cina. Il fronte sarà duplice: rinnovamento interno e liquidazione dei colonialisti.

Questi godevano di privilegi eccezionali:avevano il diritto di commerciare lungo le coste, navigare nelle acque interne, costruire fabbriche, aprire miniere, battere moneta, avere propri uffici postali.

Ma – fra tutti - primeggiava il diritto d’extraterritorialità. Il potere era frantumato, la corruzione generale. Il dislivello fra le classi enorme.

La città che ho visitato per ultima - Shangai - porta ancora i segni di quella situazione.

In molti alberghi la camera è una super «suite»: ingresso, salone di rappresentanza con veranda, sala da pranzo con grosso tavolo, camera da letto con ampie mensole, poltrone e tavoli, sala da bagno e camera guardaroba. Un vero lusso.

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Che cosa ha portato Mao?

Il Paese ha finalmente un potere centrale. C’è una sicurezza di vita all’interno. La ripresa è lenta, ma continua. Per la prima volta la Cina ha una sua voce in campo internazionale. Le visite dei massimi responsabili di alcuni Paesi d’Occidente e d’Oriente ne sono una conferma.

Il Partito ha saputo ben individuare le due leve per essere popolare e arrivare al successo: esercitare una pressione sulla massa dei contadini (80% della popolazione) e dalla campagna passare a controllare la città. Secondo, focalizzare quel grande spirito nazionalistico che era in ogni cinese. La guerra contro il Giappone ne fu una prova.

Al Partito si affiancò sempre un esercito che per la sua condotta era un modello di comportamento, tanto più che quello del Kuomintang si presentava corrotto e vessatorio.

Fin dalla guerra rivoluzionaria agraria (1927-1937) l’esercito popolare di liberazione, noto allora come esercito rosso, attuò le seguenti norme:
- a) Tre regole di disciplina:

  1. ) In qualunque azione obbedire agli ordini.
  2. ) Non prendere alle masse neanche un ago o un pezzo di filo.
  3. ) Consegnare tutto il materiale catturato al nemico.

- b) Otto raccomandazioni:

  1. ) Parlate cortesemente.
  2. ) Pagate e vendete a prezzo onesto.
  3. ) Restituite ciò che prendete in prestito.
  4. ) Pagate o sostituite ciò che avete danneggiato.
  5. ) Non picchiate e non insultate la gente.
  6. ) Non danneggiate i raccolti.
  7. ) Non prendetevi libertà con le donne.
  8. ) Non maltrattate i prigionieri.

E’ risaputo che centinaia di migliaia di combattenti per Chiang passarono a Mao.

Ho conosciuto uomini che dalla campagna erano venuti in città a lavorare come semplici operai; dopo il 1949 hanno avuto la possibilità di studiare, diventare tecnici diplomati.

Mi rendo conto che ciò poteva succedere sotto un qualsiasi altro regime. Ma chi è beneficiato, chi vede migliorare la propria situazione, diventa uno zelante sostenitore del sistema. Quando poi i casi sono milioni, il sistema diventa per forza di cose popolare, pronto anche ad essere esportato. Il modello cinese, che ha portato un Paese arretrato verso uno sviluppo sociale e culturale, può essere un motivo di penetrazione nei Paesi del Terzo Mondo o, come eufemisticamente si dice, «in via di sviluppo». Non so, sinceramente, quali argomenti hanno le democrazie occidentali per arginare tale avanzata. I metodi sono stati tante volte messi in risalto, e sono diventati vuota accademia. Ma il pericolo giallo esiste. Siamo capaci di trovare una forza morale, finalmente valida e robusta?

Saprà anche l’Occidente costruire la sua Grande Muraglia?

P.S.

E’ una Cina arcaica, coi suoi monumenti, la Grande Muraglia, le enormi statue che portano alle tombe dei Ming Sono rappresentate le tre componenti essenziali dell’ordine universale: Il cielo, la terra e l’uomo, secondo la millenaria tradizione religiosa di quel Paese

E c’è una Cina proletaria che va a piedi, in bicicletta, su trattori, piccoli mezzi. Andare, comunque andare: era il principio della seconda gamba......


 

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