Ralf Dahrendorf in Erasmiani (Laterza, 2007) spiega, con grande penetrazione psicologica e filosofica, le cause del successo conseguito nel XX secolo dalle dottrine e dalle pratiche totalitarie.
Era un fascino sottile, che ha attratto le grandi masse insieme a pensatori, artisti e scrittori di varia radice culturale. Il sottotitolo del libro reca infatti “Gli intellettuali alla prova del totalitarismo” nell’indicazione di alcune linee portanti dello studio. Impressionanti sono le pagine che rivelano dichiarazioni e atteggiamenti di Adorno e di Heidegger (che esaltava il legame della “comunità nazionale” realizzati da Hitler) rispetto al nazismo oppure di Koestler (salvo il successivo ripensamento) come dei coniugi Welb di fronte al comunismo. Il fattore nazionale fu determinante nello stabilire in vari paesi simpatie verso l’idea diffusa dal fascismo e come le speranze nella redenzione dallo sfruttamento spinsero a credere nell’utilità dell’esperienza sovietica.
Illusioni che condurranno poi a drammatiche svolte, a tragici errori. L’autore sottolinea come lo stesso concetto di “libertà”, variamente interpretato, abbia ingenerato confusione e contraddizioni.
Raynmond Aron sosteneva che anche chi pretende di essere osservatore obiettivo è tenuto a precisare la propria posizione, il proprio punto di vista. Non sempre però è facile restare sul terreno del “razionalismo”, tanto più che - come osservava Popper - lo stesso razionalismo scaturisce da una opzione, una visione morale che può essere anche irrazionale. E quale è in proposito il ruolo delle passioni? Contestando il pensiero di Hume, Popper sostiene che l’unica speranza per l’umanità è la capacità di soggiogare le nostre passioni attraverso la pur limitata razionalità di cui siamo capaci. E il richiamo ad Erasmo è legato alle virtù liberali di cui il pensatore di Rotterdam fu precursore.
Dahrendorf si sofferma anche sui rapporti tra il pensiero di Erasmo e quello di Lutero, oggetto di tanti studi, di cui il più noto risale a J. Huizinga. Ma chi sono gli erasmiani? Egli cita soprattutto Isaiah Berlin e Hanna Arendt, ai quali aggiunge Aron e Norberto Bobbio (di cui tuttavia non manca di rilevare un atteggiamento di opportunismo verso Mussolini), oltre a Popper, Orwell e Adorno. Sul pensiero di questi filosofi sono bellissime pagine nelle quali l’A. svolge una rigorosa analisi, soffermandosi sulle prove cui essi sono stati sottoposti durante le due guerre mondiali. Molti importanti scrittori e politici sono nati proprio a cavallo tra fine Ottocento ed inizio ‘900, soggetti quindi a tutte le suggestioni del tempo. E ciò spiega anche i repentini cambiamenti o conversioni: viene citato il caso di Mussolini, socialista in gioventù.
Ampio rilievo è dato alla figura di Vaclav Havel, protagonista della primavera di Praga del ’68 e di alcuni illustri esuli, nonché alla constatazione che gli “erasmiani” da lui citati hanno resistito alle tentazioni del totalitarismo ma che non sono stati “combattenti della resistenza” e ne spiega le circostanze. Capitoli a sé sono dedicati all’esperienza dell’Inghilterra con particolari su numerosi personaggi, nonché degli Stati Uniti, soffermandosi sulle posizioni di Kennan e di Galbraith. Come si vede, un panorama approfondito su comportamenti e debolezze di tanti intellettuali. La fine del comunismo sovietico nell’98 (a cui erano andate molte adesioni in quanto considerato un fenomeno di modernizzazione che - secondo Dahrendorf - solo con Stalin assunse caratteri totalitari) ha riaperto possibilità e “grandi speranze”, come ha scritto Gellner. La conclusione non è ottimistica, anzi nel 2006 sono apparsi pericolosi segni di contro-illuminismo. Una lettura coinvolgente e suggestiva, da non perdere.