Helmut Quaritsch ha raccolto nel 1999 i documenti (ora pubblicati da Laterza Risposte a Norimberga, 2006) che Carl Schmitt, uno dei massimi ideologi dello Stato nazista, presentò in sua difesa nei tribunali alleati. In effetti il giurista si iscrisse al partito di Hitler solo dopo che questi, seguendo la procedura prevista dalla Costituzione del 1919, era stato chiamato al governo e si era rafforzato attraverso il successivo plebiscito popolare, pur non avendo - al momento dell’assunzione del potere attraverso una “rivoluzione legale” - la maggioranza dei consensi popolari.
Ed è utile - ai fini della comprensione di quella che poi è stata la rapida conversione al “totalitarismo” del regime - seguire la difesa che lo studioso imbastì a sostegno delle sue tesi. Innanzitutto la “continuità” tra democrazia di Weimar e insediamento al potere dei nazisti, grazie all’utilizzazione di strumenti istituzionali conformi alle norme in vigore. Va tenuto presente che l’accusa più grave mossa a Schmitt era quella di aver formulato e preparato la cosiddetta teoria dello “spazio” in base alla quale al Reich spettava tutto ciò che rientrava nella sua “sfera”, anche se a danno di altri popoli o minoranze. Schmitt riduce questa potenziale ideologia della “conquista” ad una semplice “opinione”. D’altronde i giudici di Norimberga erano chiamati a valutare i crimini contro la pace e l’umanità e, specificamente, gli atti di aggressione compiuti dalla Germania e quindi i crimini cui erano chiamati individualmente a rispondere i gerarchi nazisti all’interno del paese e nei paesi conquistati. E l’ideologo-giurista (accreditato presso tutte le accademie internazionali) ha buon gioco a dimostrare che egli si era limitato ad esercitare funzioni previste da norme emanate durante la democrazia, né aveva attribuzioni o compiti specifici di controllo e di potere in Germania e tanto meno fuori di essa. Quindi l’imputato tiene a rivendicare la differenza della sua posizione rispetto a quella dei nazisti - civili e militari - già condannati a Norimberga prima del procedimento intentato contro di lui.
Ma l’interesse del libro non è solo negli argomenti addotti da Schmitt quanto dalla evidente torsione di tutti gli argomenti addotti contro di lui in altrettante motivazioni per essere scagionato, sostenendo la costituzionalità “legale” dei metodi nominalmente utilizzati per dar vita allo Stato totalitario. L’analisi svolta da Schmitt spiega meglio dei trattati sociologici, il carattere proprio del totalitarismo hitleriano, ben oltre le classificazioni di scuola, e che d’altronde riferendosi a schemi non toccano la realtà. Altro elemento venuto in luce durante il processo è la differenza che il tribunale alleato fece tra invasione di Belgio, Olanda, Danimarca e Norvegia - paesi neutrali -, palese violazione di precedenti trattati, rispetto al conflitto contro la Francia, in quanto, sul piano ufficiale, era stato il governo di Parigi a dichiarare la guerra, dopo l’invasione della Polonia da parte di Hitler. E la teoria del “grande spazio” è ridotta dal suo inventore ad un “concetto razionale” diverso da quello proprio del dittatore: differenziazione puramente teorica, ma, secondo l’interessato, addirittura “inconciliabile” con la dottrina nazista. E proprio norme riconosciute dal diritto internazionale - di cui si era ritenuto “maestro” - vengono richiamate anche per ulteriore differenziazione in quanto egli - a differenza di Alfred Rosemberg riconosciuto colpevole a Norimberga - non aveva enunciato alcuna dottrina in merito al trattamento degli ebrei. In effetti egli, benché postulante di onori, non aveva ottenuto particolari riconoscimenti o cariche, e questo è stato il motivo reale che gli ha permesso di sottrarsi a condanne come quelle irrorate ad esponenti del Reich riconosciuti colpevoli in quanto avevano sistematicamente preparato gli apparati tedeschi per mettere in atto la guerra di aggressione e crimini contro l’umanità in tutta Europa e particolarmente nei campi di distruzione e durante l’occupazione di altri paesi, dalla Russia all’Ungheria, nella fase finale della guerra. Se andiamo al fondo del ragionamento di Schmitt troviamo l’interrogativo che egli ha posto: forse Rousseau è l’artefice dei crimini commessi in Francia durante il Terrore? Un espediente di scarsa efficacia ai fini procedurali
Come scrive Quaritsch, è la mentalità legalistica la copertura di cui si serve l’imputato: sono le conseguenze del “positivismo giuridico”, saldamente radicato nella cultura tedesca, in base al quale l’obbedienza derivata dal regime era stata una scelta condivisa da milioni di tedeschi. Errore “vergognoso”, ammette lo studioso, ma è l’unica concessione che egli fa, abbandonando per un attimo l’atteggiamento quasi “compassionevole” mostrato ai suoi accusatori, aggiungendo “non trovo giusto rimestare ancora nella vergogna che abbiamo sofferto”, trovando persino nei richiami alla cultura classica metafore per disperdere la sua responsabilità in un generico “stato di necessità”. Da questo punto di vista, pagine “istruttive”, anche per il lettore di oggi, e che il curatore ha saputo collocare nel suo contesto effettivo.