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L’amnistia di Togliatti (Mondadori, 2006)

LA DISCUSSA AMNISTIA DI TOGLIATTI

NELLA DOCUMENTAZIONE DI FRANZINELLI
sabato 9 settembre 2006 di Carlo Vallauri

Argomenti: Politica
Argomenti: Storia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Mimmo Franzinelli


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Nel ritornante dibattito su fascismo ed anti-fascismo ha un capitolo a sé la vicenda che ora Mimmo Franzinelli espone in L’amnistia di Togliatti (Mondadori, 2006). Appena proclamata la Repubblica nel ’46, il Guardasigilli leader del PCI propose al Consiglio dei Ministri, ed ottenne con l’assenso di De Gasperi e degli altri membri del governo tutti componenti dei partiti del CLN, una amnistia diretta a “perdonare” sul piano legale tutti gli italiani che avevano compiuto reati connessi a fatti di guerra. Quindi il provvedimento di clemenza - che era stato attentamente studiato dai consulenti di Togliatti - rimise in libertà sia i partigiani, che nel corso di azioni belliche o post-belliche di diverso tipo, avevano commesso fatti ritenuti dalla legge e quindi dai giudici come delitti, sia gli appartenenti ai corpi della RSI, responsabili di analoghi reati, ed in effetti questa seconda categoria di amnistiati diede luogo a particolari contestazioni, perché le norme furono poi applicate dalla magistratura con un sostanziale atteggiamento di “favor rei”. E fu quindi proprio questo secondo aspetto a provocare forti risentimenti, sino a spingere alcuni partigiani (non più di qualche centinaio, malgrado il numero si sia poi moltiplicato nelle cronache dei giornali) a riprendere la via della montagna, illudendosi che la loro scelta, anche questa volta, avrebbe trovato molti proseliti. Al contrario, benché non mancassero critiche alla legge da pare di dirigenti di partiti di sinistra, il singolare ritorno di fiamma di esaurì presto, mentre invece rinasce - e non poteva essere altrimenti a un anno e mezzo dalla fine della guerra civile - con gli odi e i risentimenti ancor caldi come sarà evidente con il proseguimento di eccidi, conseguenza delle lotte degli anni precedenti in Emilia, compiuto per lo più a danno di persone estranee ai fatti scatenanti ma colpiti solo perché piccoli proprietari in una terra dove si confidava ancora nella purga redentrice della rivoluzione.

L’argomento merita tutta la considerazione di quello che è stato cioè uno specchio vivo delle passioni del tempo e l’A. - storico già noto per altri documentati studi su fascismo e dintorni - riesce infatti a fornire una esauriente testimonianza delle ragioni che condussero all’adozione dell’amnistia. Vengono riportati contenuti del testo legislativo (formalmente decreto presidenziale, perché in quel periodo il governo si era dotato dei pieni poteri legislativi avendo preferito non accordarli alla Costituente, fattore spesso sottovalutato a proposito di quella delicata fase politico-istituzionale), e le susseguenti ripercussioni - amare ed inquietanti - di una serie di misure certamente utili per ristabilire criteri di legalità in un paese devastato per due anni da opposti eserciti stranieri e dilaniato da una lotta senza requie tra fascisti ed antifascisti, verso i quali era andato progressivamente allargandosi il favore popolare, quale espressione dello schieramento della libertà contro l’oppressione nazista.

Chi ha vissuto quelle esperienze anche se da giovanissimo, sa bene che - nelle condizioni interne ed internazionali - con una nuova forma costituzionale appena scelta dal popolo attraverso una maggioranza ridotta, il susseguirsi di tante tragedie politiche e familiari fece prevalere l’opportunità di chiudere quel clima di contrapposizione assoluta e frontale. In effetti l’amnistia contribuì - con tutti gli aspetti negativi che conteneva perché non sembrava restituire effettiva giustizia a tutti coloro che avevano sofferto e subito ingiustizie - ad avviare verso un clima di superamento del passato, una speranza per la parte politica più tradizionalista ma che anche i più tenaci assertori della fermezza ritennero di condividere. Lo stesso Togliatti ne rivendicò la validità, precisando che si trattava di allargare le basi popolari dello Stato repubblicano. In tal senso furono indirizzati d’altronde, da parte dei comunisti, vistosi tentativi per approcci non solo con ex-fascisti del ventennio, ma soprattutto con i “repubblichini” onde sottrarli ad un eventuale recupero da parte delle destre. La specificità degli eventi accaduti, con responsabilità negli opposti schieramenti, la crudeltà di tanti efferati delitti, il tradimento verso valori civili e patriottici addebitati dall’una parte all’altra, alimentavano una spirale d’odio. Da questo punto di vista, e quindi in una valutazione obiettiva, non si può disconoscere che quella scelta fosse, per vari aspetti, previdente. Troppo disinvolta ne sarà l’interpretazione. Va riconosciuto che i difetti non erano nella legge di amnistia, bensì nell’applicazione molto larga che ne fecero i giudici, compresa la Suprema corte di Cassazione. Scelba tenne a precisare, in un successivo dibattito parlamentare, che egli aveva suggerito - senza successo - di non estendere le norme agli omicidi. In effetti il colpo di spugna non era nel decreto presidenziale in sé bensì venne operato da quella magistratura, a cui Togliatti e il suo successore Gullo non tardavano a dare i più ampi riconoscimenti. Quando le proteste di intensificarono era ormai troppo tardi.

Tornare ora allo stesso tema può servire a scopo di conoscenza approfondita - come ben sa fare l’A. -, servirebbe poco se qualcuno ne volesse trarre spunto per rinfocolare risentimenti in relazione ad eventi più recenti, di altra natura e di diverso respiro. Ad ogni stagione le sue pene.