a cura di
Silvana Carletti (Dir.Resp.)
Carlo Vallauri Giovanna D'Arbitrio
Odino Grubessi
Luciano De Vita (Editore)
On line copyright
2005-2018 by
LDVRoma
Ultimo aggiornamento
27 marzo 2025
e
Sito realizzato con il sistema
di pubblicazione Spip
sotto licenza GPL
|
|
|
|
Potere e contropotere (Fazi, Roma, 2006, prefazione Gore Vidal)
LA SVOLTA DEL COMUNISMO ITALIANO E LA DIFFICILE TRANSIZIONE DEMOCRATICA
nelle riflessioni di Occhetto
martedì 18 aprile 2006
di Carlo Vallauri
Argomenti: Storia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Achille Occhetto
Segnala l'articolo ad un amico
|
Tra i dirigenti comunisti post-berlingueriani certamente Achille Occhetto aveva la formazione e le qualità e la chiarezza per guidare la svolta della Bolognina che ha condotto il PCI dalle angustie verso una più libera prospettiva. Lo stesso Berlinguer, nella scia del memoriale di Yalta e di Longo, l’aveva indicata, prima nel ’76 con il riconoscimento della NATO quale strumento di protezione e non più come nemico da combattere e poi nell’81 con l’esplicita ammissione della fine dello spinta propulsiva della rivoluzione bolscevica. Cresciuto infatti in un ambiente familiare aperto al contagio democratico, Occhetto decide l’atto determinante della vita sua e di milioni di compagni, consapevole che si trattava ormai di una scelta non rinviabile accettata dalla maggioranza del partito proprio perché, al di là dei nomi, dei simboli e delle parole, era l’evidente completamento di una crisi rinviata, con l’imposizione togliattana del ’56 ma ormai maturata criticamente.
È quindi molto interessante leggere in Potere e contropotere (Fazi, Roma, 2006, prefazione Gore Vidal) come - preso atto dell’impossibilità di una autoriforma del comunismo - si sia sviluppata l’esigenza di muoversi secondo le linee d’altronde già fatte proprie nell’ispirazione della Costituzione repubblicana del ’48. Un lungo retaggio di passività, di timore incomprensibile vivendo in uno stato democratico, finalmente superato dall’atto di Occhetto.
E quindi seguiamo nel libro i passi successivi con il tentativo di porsi alla guida di un fronte popolare di centro-sinistra in un paese lacerato da una lunga esperienza di consociativismo, fonte di malessere finanziario, inflazione e corruzione. La difficoltà di dar vita ad una unitaria forza socialista di sinistra derivava dalle rotture troppo brusche provocate in precedenza con l’effetto, nelle elezioni del ’94, del voto degli italiani in favore dell’alleanza Berlusconi-Fini-Bossi.
Occhetto ha ripensato a tutta quell’esperienza con considerazioni amare quanto lucide che però, essendo sopraggiunte a fatti ormai consumati, non gli hanno consentito di mantenere una posizione di primo piano cui legittimamente aspirava. Molto interessanti le considerazioni sulle attuali modalità di gestione del partito al fine di “uscire dal pantano” della situazione italiana, caratterizzata da mutazioni genetiche circa il ruolo dei partiti, con la prevalenza di una mentalità aziendalistica in un regime oligarchico trasversale che induce a ripensare la democrazia e cercare nuove forme della politica. Richiamata Hannah Arendt e la religiosità laica, Occhetto chiude con la nota citazione di Gramsci “il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà”, criterio che ha caratterizzato anche il suo disinteressato impegno politico, un aspetto da non dimenticare e che adesso gli suggerisce riflessioni intelligenti circa l’uso del potere.

|
|
|