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Mostra di Antonello da Messina a Rovereto


sabato 1 febbraio 2014 di Achille della Ragione

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Fino al 12 gennaio al sono state esposte venti opere di Antonello da Messina; dalla tenera Madonna Benson agli enigmatici ritratti maschili ed altrettante opere di artisti con lui interagenti, dal figlio Jacobello al grande Van Eyck.

Dal dopoguerra ad oggi è la 4^ mostra che gli viene dedicata, dopo le 2 di Messina (1953 e 1981) e quelle di Roma del 2006 alle Scuderie del Quirinale. Perché una nuova mostra su Antonello dopo appena sette anni da quella delle Scuderie del Quirinale, curata da un grande specialista del Rinascimento veneto come Mauro Lucco? Perché, secondo un consumato maestro degli studi di storia dell’ arte qual è Ferdinando Bologna, la mostra del Quirinale saltava a piè pari il nodo della formazione di Antonello tra Messina, Palermo e Napoli.

Chi ha seguito il dibattito su Antonello sa che nella ricostruzione della sua figura si fronteggiano due visioni in parte opposte, ma di fatto complementari: da un lato la considerazione della densa circolazione di committenze. commerci, opere, artisti, che nel Quattrocento passa dalle Fiandre alla Borgogna alla Spagna, per approdare all’Italia della Palermo e della Napoli tardo-Angioine e Aragonesi; dall’altro l’enfasi posta su un Rinascimento per eccellenza italiano, fiorito in Toscana e presto sviluppatosi su tutto il vasto bacino padano, da Milano a Venezia. Bologna vede nella mostra di Lucco l’omissione “delle radici mediterranee” di Antonello.

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Antonello nasce a Messina nel 1430 e si formò tra Napoli e la Sicilia. Allievo di Colantonio, maggior artista napoletano della generazione procedente, Antonello aveva potuto conoscere le collezioni della corte angioina che radunavano pittura fiamminga, spagnola e provenzale. Viaggiò a Napoli, Venezia, Milano, Roma, Urbino, fino ad acquisire una conoscenza stratifica e complessa che lo porterà a diventare uno dei protagonisti di quella straordinaria invenzione che fu il Rinascimento italiano.

Tante cose della vita di Antonello non si conoscono ancora; tanti documenti che furono scoperti da due studenti siciliani alla fine del 19° secolo andarono perduti nel terremoto del 1908. Per la durata della sua vita i calcoli odierni coincidono con le notizie vasariane: quarantanove anni. Dunque una nascita intorno al 1431 e una morte certa, documentata dal testamento, avvenuta nel 1479. Neppure la data della morte è conosciuta con precisione, ma cadde tra il 14 febbraio del 1479, quando «infirmus jacens in lecto, santus tamen Dey gracia mente», e l’11 maggio dello stesso anno, giorno in cui il testamento fu aperto e letto.

Il testo del vecchio catalogo completo dei “Classici dell’arte” Rizzoli su Antonello fu affidato alla penna di Leonardo Sciascia, che scrisse: «Ed è curioso come giudizi sui siciliani e rappresentazioni sull’uomo siciliano conservino, a distanza di cinque o di dieci o di venti secoli, una loro validità e verità: da Cicerone a Scipio di Castro […], da Antonello personaggio, e pittore di personaggi, a Pirandello a Brancati a Lampedusa […]. Ma il fatto è che questa apparenza, questa illusione, sorge dalla realtà siciliana, dal “modo di essere” siciliano: e dunque ne è parte, intrinsecamente».

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Le sue immagini di Cristo hanno insieme la grottesca maschera nordica del dolore e una dolce rassegnazione infinita, mediterranea. Il San Sebastiano di Dresda ha la maestosità di Piero, la forza romana di Mantegna, prospettive stupende di linee che si congiungono al cielo turchese. Il corpo del santo, statua e uomo insieme, scende dolcemente dall’alto con impercettibili curve. La scena è surreale: il martirio avviene davanti a un’assolata piazza, sotto gli occhi di dame al balcone, e sopra arcate. Ma tutto richiama il volto d’Endimione antico, di giovane in posa che quasi sembra confondere la stanchezza del modello con l’attesa della morte del martire Sebastiano. C’è una vita sotterranea di caratteri e di persone e la sorvegliata presenza di una realtà precisa, insistente, prepotente. Ma il volto che sta dentro il triangolo chiuso di un velo azzurro, nel capolavoro della Madonna Annunciata, vibra di una verità umana che non è solo uno dei culmini figurativi del Quattrocento. È il mirabile ritratto di una stupenda donna siciliana, la cui distanza, la cui metafisica lontananza toccano anche qui una corda bassa di verità osservata, di presenza reale. Come di parole appena interrotte dopo un sussurro.

Ai saggi introduttivi è sostituita una lunga intervista di De Melis a Ferdinando Bologna, il curatore della mostra, il quale da oltre 60 anni rappresenta un grande esempio di serietà degli studi, di inesausta energia e di vis polemica.

 

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