Anche dall’abito talare è possibile avvicinarsi al saio del poverello d’Assisi riducendo al minimo ogni insegna che sottolinei un livello superiore, come ha fatto il nuovo Papa rinunciando alla mozzetta, la mantellina che sottolinea il rango papale, o scegliendo l’anello d’argento piuttosto che d’oro.
Certo sono scelte significative che rappresentano un invito ed un monito per tutti i pastori della Chiesa. Una svolta non formale quella del nuovo Papa che ha realizzato novità epocali per la Chiesa cattolica. Partiamo dall’assunzione del nome Francesco, la prima volta nella storia dei Papi, un nome che da sé solo costituisce un programma rivoluzionario.
In primo luogo la scelta dei poveri, non solo ad esser loro umanamente vicino, ma a spendersi per loro in tutte le occasioni al fine di un riscatto materiale e morale, denunciando le diseguaglianze che consentono a minoranze di disporre della maggioranza delle ricchezze disponibili.
Il secondo motivo per ispirarsi a Francesco d’Assisi è quello di farsi riconoscere come apostolo della pace, in grado di far crescere la solidarietà tra i popoli ed impedire i sogni di egemonia che ghettizzano le minoranze etniche e religiose in tante parti del mondo, attentando alla loro stessa sopravvivenza, come accade quotidianamente ai cristiani d’Africa. Naturalmente un perseguimento della pace che non si limita a soccorrere i più deboli quando i conflitti sono già in corso, ma si propone di prevenire e rimuovere le cause profonde che li incubano.
Il terzo motivo ispiratore dell’assunzione del nome Francesco è quello della salvaguardia del creato e della sua armonia. Inutile sottolineare la grande attualità di un rapporto diverso col creato, che non generi i mostri crescenti della esasperazione di tutti i fenomeni atmosferici. Un esempio per tutti il buco d’ozono che provoca lo scioglimento di ghiacciai eterni e la crescita devastane dei livelli marini.
L’altra novità assoluta è l’elezione al soglio di Pietro di un gesuita, appartenente ad un ordine concepito spesso in passato come il braccio secolare del papato. Una garanzia quella della provenienza dalla Compagnia di Gesù che da tempo si connota nella capacità “di cogliere i segni dei tempi” di roncalliana memoria e di accettarne la sfida, evitando ogni antistorico arroccamento.
Infine un altro motivo di assoluta novità è l’elezione di un rappresentante che viene “dalla fine del mondo”, come ha tenuto a sottolineare lo stesso Papa Bergoglio, cioè da quel continente dell’America latina che registra la maggioranza tra tutti i cattolici del mondo, ma è anche il più esposto all’erosione delle sette.
Per uno come me che ha avuto esperienza politica, l’emozione è stata forte come quando fu eletto il Papa polacco Giovanni Paolo II, perché al di là del giudizio geopolitico si intuì che la scossa al monolite comunista sarebbe stata esplosiva, come puntualmente è accaduto.
Ho provato un’emozione analoga dinnanzi all’elezione di Papa Francesco, perché la geopolitica c’entra dal momento che il nuovo pontefice si connota come portatore del riscatto dei popoli sudamericani, contribuendo a dare un volto non più eurocentrico alla Chiesa, sottolineandone la sua universalità ed evitandone lo schiacciamento sull’Occidente, causa prima degli eccidi in tante parti del mondo laddove la penetrazione della Chiesa al servizio dei poveri è vista come una longa manus dell’Occidente, una modalità diversa di colonizzazione.
Con queste novità assolute nella storia della Chiesa è prevedibile che prenderà nuovo slancio l’ecumenismo, che ha sempre registrato in Assisi e nello spirito del suo poverello la punta di diamante in grado di scalfire chiusure e pregiudizi.
In conclusione l’auspicio della comunità cristiana e di tutti gli uomini di buona volontà è che San Francesco assista nel suo immane compito di rinnovamento, dentro e fuori della Chiesa, il Papa che assumendone il nome ne ha fatto il programma del suo pontificato.
