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Jordaens e l’Antichità

Il Mito in pittura
sabato 15 dicembre 2012 di Elvira Brunetti

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Per riscattare l’importanza di un pittore poco conosciuto rispetto a Rubens e Van Dyck, giganti del barocco fiammingo, il museo reale delle Belle Arti di Bruxelles ospita una mostra fino 27 gennaio veramente interessante per riformulare un giudizio più equo sull’artista di Anversa. Al contrario di una comune retrospettiva, l’esposizione vuole evidenziare l’aspetto umanistico di Jordaens, considerato fino ad ieri “Pittore di Baccanali” e discepolo servile del Maestro di Anversa.

Jacques o Jacob Jordaens (1593-1678) possedeva nel suo “Cabinet d’amateur” opere d’arte classica in particolare copie di sculture antiche. Una specie di Camera delle Meraviglie, dove talvolta anche la scienza esponeva i suoi mostri, come si evince da alcuni quadri posti all’inizio del percorso espositivo. Il benvenuto infatti lo dà al visitatore un suo autoritratto nella forgia di un agiato collezionista borghese con in mano una statuetta (Fig.01). Esisteva ad Anversa una Roma virtuale. Non c’era bisogno di andare in Italia quando sul mercato locale si trovavano le riproduzioni delle opere classiche e contemporanee.

Gli eccessi e le nudità piacevano alla borghesia dell’epoca, stanca di vedere rappresentati stereotipi religiosi, ma c’era il fossato dell’illecito da superare. Fu così che già nel Rinascimento si fece appello al Mito. La fervida immaginazione artistica tolse i veli ai corpi femminili con la giustificazione di rappresentare un mondo fittizio popolato di uomini, donne, divinità e creature ibride. Tutto ciò per mostrare i piaceri della vita e le gioie del mondo terreno, senza bisogno di un’attesa ultraterrena per godere. Ovviamente nel dinamismo del Barocco esaltante la libertà delle forme e la profusione di ornamenti tali forze vitali sono uno stimolo per la gioia degli occhi di un mercato ricco e autoreferenziale sempre più esigente.

Dopo la morte di Rubens infatti Jordaens incrementò la sua produzione artistica e aumentò la sua reputazione.

Nel XVII secolo inoltre fioriscono le dottrine filosofiche e le massime moraleggianti. L’erudizione umanistica spinge i pittori ad usare il mito anche in questa veste, quella cioè del significato utile all’umanità. E Jordaens esegue un certo numero di dipinti che sono sottili denunce dell’ipocrisia pagana. Dai dispetti infantili ai litigi tra le varie divinità. Nel quadro “Mercurio ed Argo”(Fig.02), episodio tratto dalle favole di Esopo, l’infedeltà di Giove causa la trasformazione di Io in una mucca; la gelosia di Giunone spinge il saggio Argo dai cento occhi sulle sue tracce; ma Giove, a cui niente sfugge, invia Mercurio a distrarre coi suoi canti e racconti il vecchio pastore che si addormenta e viene ucciso. Ed ecco che l’impotenza della regina dell’Olimpo diventa generosità e poesia. Affinché la ragione trionfi sull’inganno del piacere, i cento occhi, per volere della dea, vengono collocati sulle piume del suo animale preferito: il pavone. L’opera è stata eseguita da Jordaens nel 1620, trenta anni dopo Diego Velazquez e Salvator Rosa trattano lo stesso soggetto, ma in modo completamente diverso.

Burlesco è il senso di un’altra favola, ugualmente rappresentato in un dipinto che il pittore produsse in diverse versioni: “Il satiro ed il contadino”(Fig.03). Un buon uomo invita a pranzo a casa sua un satiro, il quale fugge sconcertato, perché vede in un primo momento, per strada, che l’uomo soffia sulle sue mani per riscaldarle e poi a casa vede che dalla sua bocca esce ancora un fumo, ma questa volta è per raffreddare la pietanza.

Straordinario è l’impatto visivo di fronte al naturalismo violento della scena che rappresenta il mito di Prometeo (Fig.04), un colosso michelangiolesco legato per terra ad una roccia con la testa all’ingiù rispetto all’osservatore e l’immenso rapace con una superba apertura alare nell’atto di rodergli il fegato. L’unico quadro in mostra del pittore veramente drammatico. Evidente è l’influenza della scuola caravaggesca, presente tra l’altro proprio ad Utrecht.

Ardite note di classicismo attraversano la sua robusta e colorita trama pittorica, che si possono ravvisare in alcuni dipinti della mostra. In “Pan e Siringe”(Fig.05) nessuno può negare quel candore immacolato del corpo femminile in netto contrasto con la grossolanità rozza e animalesca di Pan che vuole sedurla, ma lei invoca aiuto e si trasforma in pianta.

E poi naturalmente i due capolavori dell’esposizione e dell’artista: “Omaggio a Cerere”(Fig.06) dal museo del Prado e “L’Allegoria della Fertilità”(Fig.07), circa 2m x 3m, opera stanziale del museo, restaurata per l’occasione e giudicata dal curatore della mostra tra i 10 capolavori della pittura internazionale. Entrambe le opere risalgono allo stesso periodo, gli anni venti, il periodo iniziale in cui l’influsso della cultura classica era più importante rispetto ad esempio a “Il trionfo di Bacco” del 1645, più rubensiano. Ambedue trattano un tema di ridente prosperità, l’abbondanza e la fecondità, ma nel primo tutti i personaggi dai bambini ai vecchi sono vestiti e rendono grazie alla divinità; mentre nel secondo ci sono donne nude e satiri che mangiano l’uva. I due pregevoli brani di natura morta diventano un importante corollario.

Come non pensare ai nudi di quel delicato pittore del secolo d’oro della pittura napoletana, Pacecco de Rosa, che tra gli anni Quaranta e Cinquanta realizza le sue migliori opere, permeate di un classicismo e di un purismo senza pari. Un utile confronto fra i due tipi diversi di immagine femminile; quelle nordiche rappresentano in genere donne più in carne, bionde e rubiconde.

Jordaens in alcuni dipinti offre la sua collaborazione in genere ad artisti di natura morta, per esempio, ad Ian Bruegel il giovane, in un piccolo ma preziosissimo quadro presente in mostra. Secondo alcuni studiosi sarebbe proprio il Nostro il collaboratore di Adriaen Van Utrecht per la figura della cuoca nel quadro facente parte della Collezione della Ragione (Fig.08).

“Il Trionfo di Bacco”(Fig.09) è un classico esempio del suo lavoro più richiesto sul mercato. Di modeste dimensioni, tant’è che mal si distinguono le varie figure. Una moltitudine di nudi procaci e voluttuosi sfila in un corteo campestre in mezzo ad una natura lussureggiante. La stessa nella quale sono immersi i corpi sempre nudi di donne nella serie di quadri dedicati al Bagno di Diana, a Diana e Callisto, a Diana e Atteone. Un altro dipinto di una bellezza smagliante per quel bianco smaltato dei nudi sensuali, armonicamente inseriti, quasi fluttuanti, nell’atmosfera bucolica è “Il ratto d’Europa”(Fig10), che ci rimanda inevitabilmente a quello di Luca Giordano, eseguito però alla fine del Seicento.

Nell’ampia sala dal buio centrale e le luci sapientemente dirette ad illuminare le grandi tele che sembrano vibrare della loro vita mitica, viene da ripensare al senso del mito, che non è storia, ma è la storia di tutti i popoli. Ogni popolo si riconosce nel suo mito che non è tanto diverso da quello di gente lontana. E torna il ricordo degli studi del grande antropologo francese Claude Levi-Strauss, deceduto solo da poco. Sono racconti a volte senza né capo né coda, ma talmente intrecciati nel groviglio matassale della loro storia da ripetere ed eternare il tema delle virtù e dei vizi umani.

“I miti si pensano tra loro”(C.L.Strauss).

 

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