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Budapest 1956 (Lindau editrice)

LA RIVOLTA ANTISOVIETICA DEL 1956 A BUDAPEST E L’ATTEGGIAMENTO DEL PCI


mercoledì 1 agosto 2012 di Carlo Vallauri

Argomenti: Storia
Argomenti: Alessandro Frigerio


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Alessandro Frigerio ha ricostruito, con molta precisione, quella macchina del fango come reca il titolo del suo libro sulle ripercussioni in Italia degli eventi di Budapest 1956 (Lindau editrice). In particolare viene richiamata l’attenzione su quanto allora scrisse la stampa del PCI.

I tank sovietici che repressero con violenza quell’espressione di valori antitetici all’atteggiamento dell’URSS anziché subire una critica vennero esaltati dagli organi di informazione delle Botteghe Oscure quali salvatori di un regime, al quale non si opponevano agenti a servizio degli USA – come sostenevano l’Unità e i dirigenti comunisti – ma l’autentica volontà degli stessi comunisti ungheresi che si erano ribellati alle prepotenze dei compagni di Mosca. Già erano emersi segni di differenziazione rispetto ai padroni del Cremlino ma la scelta di Imre Nagy nel 1956 era molto chiara e netta. Non si trattava di un tentativo di “restaurazione reazionaria” – come affermò in quei giorni l’Unità – ma al contrario la testimonianza di una condizione di insopportabilità che gli stessi comunisti magiari avvertivano. Ebbene la linea scelta da Togliatti fu subito di subordinazione ossequiente agli ordini di Mosca.

Da parte dei socialisti italiani – in quegli anni alleati del PCI – vi fu invece netta la percezione di quel che veramente stava avvenendo a Budapest. Chiarissime le parole di Nenni che evidenzierà subito l’esigenza di porre fine alla spietata repressione. Ingrao, direttore del quotidiano comunista, non negava l’esistenza di “errori” compiuti da compagni ungheresi, ma falsificava la realtà, al punto da redarguire il compagno Di Vittorio che aveva manifestato il suo riconoscimento a favore delle rivendicazioni dei ribelli di Budapest, ma che nei giorni successivi fu costretto all’auto critica.

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Ungheria 1956

Ma il punto critico più significativo si espresse nel Manifesto dei 101 che rappresentò un documento di condanna per l’intervento sovietico, sulla base di una iniziativa di Carlo Muscetta, al quale aderirono numerosi compagni, parecchi dei quali (tra i quali Spriano) furono presto costretti a “pentirsi dell’improvviso coraggio” – come scrisse l’autore del libro – mentre parecchi altri (come De Felice) mantennero la loro critica. In quei giorni tra fine ottobre ed i primi di novembre venne allo scoperto la condizione di sudditanza dei tanti intellettuali, iscritti al PCI, al quale s’impose la rinuncia ai loro “distinguo” e l’accettazione della tesi di “Budapest in mano ai terroristi”. Intanto la situazione si era aggravata a livello internazionale, con l’improvvisa azione anglo-francese in Egitto. Si trattava – secondo l’Unità – di un tentativo di ripristino del fascismo a Budapest mentre in effetti i “ribelli” sollecitavano l’istituzione di un regime libero e democratico.

Sono note di conclusioni di quella tragica vicenda, con l’uccisione di Nagy e la restaurazione – questa si’ effettiva – del regime dispotico, che lo stesso leader comunista aveva tentato invano di sostituire. La volontà dello “Stato guida” era implacabile, qualsiasi opposizione rimossa, i fautori di una svolta democratica accusati di essere a servizio degli americani, colpa estesa anche ai politici e giornalisti italiani che avevano salutato con favore l’insurrezione popolare e aspramente denunciato il terrore nuovamente imposto agli ungheresi. Anche gli intellettuali francesi che avevano preso posizione contro l’intervento russo (a cominciare da Sartre) furono attaccati dalla stampa comunista italiana.

Le polemiche di quei giorni si trascinarono a lungo. Si ebbero le defezioni dal partito di esponenti della cultura, da Muscetta a Sapegno, nonché le espulsioni dal partito (A. Giolitti) per aver avuto “il coraggio della verità”. La scelta di Togliatti sarà, anche in seguito, definita “inevitabile” da Giorgio Napolitano, quale conseguenza della divisione dell’Europa in sfere d’influenza contrapposte: perciò egli sostenne che l’azione sovietica aveva evitato, nel cuore dell’Europa, un fascismo di ritorno.

Nel 1968 la repressione della primavera di Praga darà luogo a posizioni più circospette, secondo Frigerio: a noi invece sembra di ricordare che per il caso della Cecoslovacchia, la scelta del PCI – allora guidato da Longo – fu più chiara e netta: basta rileggere gli articoli apparsi nell’agosto di quell’anno su “Rinascita”.

Nell’introduzione Paolo Mieli mette a sua volta in rilievo come Giorgio Napolitano da un lato e Pertini da un altro abbiano condiviso l’atteggiamento filo-sovietico del PCI.

 

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