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Tintoretto
Copertina del catalogo

Il Tintoretto approda a Roma

“Un diminutivo che non rende onore al superlativo della sua arte”
martedì 13 marzo 2012 di Elvira Brunetti

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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L’attrazione della mostra alle Scuderie del Quirinale dal 25 febbraio al 10 giugno 2012 si gioca tutta sulla grandiosa e imponente scenografia del teleri del Tintoretto. L’impatto è forte già all’inizio, in quanto a differenza del percorso graduale di ogni esposizione, il visitatore resta subito colpito dalla visione del "Miracolo dello schiavo" (Fig.1), l’opera più eloquente dell’artista.

Iacopo Robusti (1519-1599), detto "il Tintoretto", perché era figlio di un tintore, aveva solo trenta anni, gli stessi che lo separano dal più anziano Tiziano, quando grazie all’esecuzione del suo capolavoro entra nell’olimpo dei grandi pittori del Cinquecento veneto. L’opera lo consacra protagonista della Scuola di San Marco, la quale insieme a quella di San Rocco (Fig.2) costituivano le Scuole Grandi e si distinguevano dalle più di cento Scuole Piccole (tintori, sarti, bottai). I concorsi che entrambe bandivano per l’assegnazione delle pale d’altare richiamavano centinaia di pittori. Le “Cene” eseguite da Tintoretto sono una decina, due delle quali in mostra (Fig.3).

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Le scuderie del quirinale

"Il miracolo dello schiavo" è un dipinto di grandi dimensioni (cm.544/416), che contiene in embrione la summa pittorica dell’artista. L’irruenza dell’apparizione di San Marco è un segno di veemenza istintiva, insita nel carattere impulsivo del pittore che osa valicare i limiti concessi. E’ un rivoluzionario dell’iconografia classica nel momento in cui pone in primo piano il corpo dello schiavo nudo e bene illuminato, mentre i carnefici lo torturano e San Marco, il cui intervento lo libera dal supplizio, a testa in giù e in piena ombra. La forza muscolare del giovane corpo disteso fa da contraltare al brillante cromatismo dell’intera concezione teatrale. In tal modo, coniugandoli, dà vigore al "disegno di Michelangelo e al colorito di Tiziano". Un’altra opera straordinaria e forse ancora più suggestiva è l’altro telero, ugualmente proveniente dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia "Il trafugamento del corpo di San Marco" (Fig.4). In uno spazio rigorosamente geometrico grigie architetture monocromatiche si stagliano sullo sfondo per dare incisività maggiore al policromismo del gruppo in primo piano. Pallide figure evanescenti corrono al riparo dalla folgorazione divina che dal cielo tenebroso ha scatenato un temporale per spegnere il rogo. E’ il genere fiabesco surreale che ispirerà tanta pittura successiva.

Negli anni cinquanta sperimenta il genere mitologico dedicando più di un’opera al tema di San Giorgio, che uccide il drago per liberare la principessa, figlia del re di Libia. Da Londra in mostra un dipinto eseguito per una cappella patrizia (Fig.5). Qui l’intervento divino dall’alto è trattato in una maniera talmente moderna da far pensare a un quadro di Ensor, per la particolare illuminazione, che dà risalto alla figura femminile procace e sinuosa, vero e proprio ritratto della dama veneziana bella e sensuale.

La maniera di esaltare la grazia muliebre del Tintoretto diventa la ragione della richiesta dei suoi committenti. C’è un quadro proveniente dal Prado, dove la moglie di Putifarre (Fig.6) in un nudo sdraiato e provocante appare come una fulgida sorgente rivitalizzante.

Ma il quadro più bello ed emblema della stessa mostra, secondo il parere del suo curatore, l’eclettico Vittorio Sgarbi, grande esperto di pittura veneta del Cinquecento, è senza dubbio il celebre dipinto viennese:” Susanna e i vecchioni” (Fig.7) per la potente luminosità che emana quel corpo nudo immerso in un paesaggio favoloso. Si nota una certa influenza fiamminga nel precisare il dettaglio dei gioielli e unguenti che accentuano con malizia la femminilità della bella Susanna. Il gioco del riflesso dello specchio e della superficie dell’acqua rende eccezionale il tutto e suggerisce un’emozione visiva oltre che una gioia dell’animo.

Nella stupefacente tela della “Madonna dei Camerlenghi” (Fig.8) Tintoretto è descrittivo e preciso come d’altra parte nella ritrattistica di chiara ispirazione tizianesca. Il tipo di ritratto inventato dal maestro nella nuova rappresentazione costituirà, nonostante la rivalità tra i due, l’obiettivo da raggiungere nel tentativo di uguagliarlo. "L’ammiraglio Sebastiano Venier", vittorioso comandante di Lepanto, ne è un esempio (Fig.9).

Alla Scuola di San Rocco è il migliore, viene prescelto ed avvia un impegno che lo assorbirà per un ventennio. Le due Marie esposte sono il frutto e la dimostrazione di quello spirito tormentato introdotto dal Nostro in sostituzione del classicismo di superata matrice giorgionesca. "la Vergine Maria in meditazione" e "La Vergine Maria in lettura" (Fig.10), restaurate per l’occasione sono opere dettate da un’angoscia profonda; due notturni nel verde tenebroso di un oscuro paesaggio, in cui risplende l’aureola dorata delle due figure.

Dopo la morte di Tiziano, il Tintoretto ottiene committenze importanti da vari sovrani e dopo quella di Paolo Veronese, viene sollecitato a riprendere il suo lavoro a Palazzo Ducale. Sarà solo il figlio Domenico, altro valente pittore della famiglia, a realizzare la grandiosa opera del Paradiso (venticinque metri di lunghezza). Di questo si può ammirare in mostra il delizioso bozzetto eseguito dalla fervida mano del padre così diverso dalla tela finale.

Quando incomincia a invecchiare, delega nella “Impresa” Tintoretto membri della sua famiglia secondo una consuetudine di molti pittori dell’epoca. Tra di essi si distingue la figlia Marietta e soprattutto il già menzionato Domenico, autore tra l’altro di un meraviglioso dipinto dalle piccole dimensioni, che ritrae Elvira Cagliari, “Ritratto di donna che si scopre il seno” (Fig.11) del museo del Prado.

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Tintoretto-Skira

Il congedo del grande pittore veneziano avviene con il suo autoritratto da vecchio (Fig.12). I suoi occhi rivolgono uno sguardo profondo, che mette a nudo l’animo e suscita un brivido nell’osservatore. Edouard Manet nella sua furia di copista dei capolavori del Louvre fece una perfetta replica dell’originale, che aveva perduto la sua scritta di tre righi in seguito ad un restauro. Il quadro oggi infatti possiede una sola parola:”ipsius”.

Jean-Paul Sartre ha scritto tanto sul Tintoretto e sulla sua passione artistica; da un suo libro è stato tratto un film di un regista francese. Anche il famoso intellettuale fu colpito dalla poderosa espressività del suo autoritratto, del quale tra l’altro dice: ”Un pittore che s’interroga di fronte all’inerzia della materia sulla possibilità della vita”.

Le prestigiose sale della Scuderie sono arricchite in questo frangente da altrettante importanti opere ad indicare la “Maniera” del Tintoretto. In primis uno dei capolavori del museo di Capodimonte “L’Annunciazione” di Tiziano; altri autori rappresentati sono Iacopo Bassano, il Parmigianino ed infine due pittori non italiani: El Greco e Lambert Sustris. Il primo veniva da Creta allora possedimento della Serenissima e si trovò a lavorare accanto all’artista olandese in quella città cosmopolita che era all’epoca Venezia. Il quadro esposto di quest’ultimo proviene da Brera e presenta un brano in alto a sinistra identico a quello del “Trionfo della Fama” della collezione della Ragione, di dimensioni quadruple rispetto a quello di Milano.

Ma il valore aggiunto della mostra è costituito dalle bellissime parole di Melania G. Mazzucco che accompagnano il visitatore in ogni sala espositiva. Il prezioso commento della scrittrice deriva da un suo libro del 2009 “Iacomo Tintoretto e i suoi figli. Biografia di una famiglia veneziana”, una vera e propria ricerca storico-documentaria frutto di un amore per il pittore e la sua arte.

 

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