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DA CARAVAGGIO A BERNINI

I capolavori del Seicento italiano nelle Collezioni Reali di Spagna in mostra alle Scuderie del Quirinale
lunedì 1 maggio 2017 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Una mostra fastosa, ricca di ben sessanta capolavori artistici provenienti dalle Collezioni Reali spagnole, è stata inaugurata lo scorso 13 aprile dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nelle Scuderie del Quirinale, dove sarà visitabile fino al 30 luglio 2017. Come s’intuisce dal titolo, “Da Caravaggio a Bernini”, le opere, sia pittoriche sia scultoree, vanno dalla fine del Cinquecento alla piena età barocca: rientrano quindi in quello che per gli spagnoli è el siglo de oro e per l’Italia un’età dell’oro caratterizzata dall’affermazione di diverse scuole artistiche a Bologna, a Roma, a Napoli. La mostra, a cura di Gonzalo Redín Michaus, riflette gli strettissimi legami politici e culturali intercorsi tra Italia e Spagna nel XVII secolo, periodo in cui gli artisti italiani hanno grande successo tra i collezionisti spagnoli, rilanciando la tradizione iniziata nel Cinquecento con l’imperatore Carlo V, che si era rivolto a Tiziano per i suoi ritratti di corte.

Il re Carlo II, l’ultimo sovrano della dinastia d’Asburgo, chiama in Spagna nel 1692 Luca Giordano, che rimane lì ben dieci anni, ma già prima erano confluite a corte tante opere italiane attraverso l’intermediazione di ambasciatori e viceré, tanto da contribuire a generare la nascita di un gusto nazionale che con Diego Velásquez raggiungerà vette assolute. Ed è proprio una grande tela di Velásquez proveniente dall’Escorial, La tunica di Giuseppe, che dimostra le influenze derivate dall’incontro del grande pittore sivigliano con l’arte italiana, essendo stata realizzata dopo il soggiorno dell’artista a Roma, tra il 1629 e il 1630.

La mostra si apre con la sezione “Tra Barocci a Caravaggio”, ovvero “dalla maniera alla natura”. Dell’urbinate Federico Barocci, del quale è apprezzabile la grande capacità coloristica e compositiva, è il grande dipinto Vocazione di Sant’Andrea e San Pietro, terminato nel 1588 per il duca d’Urbino Francesco Maria della Rovere, che ne fece dono a Filippo II, accompagnandolo da una nota dello stesso Barocci, “L’istruttione del modo di veder il quadro”, ovvero dei precetti per ottimizzate la fruizione luministica della tela. Nella stessa sezione l’accostamento della Salomé con la testa del Battista (1615 ca.), di Caravaggio, con la Giuditta con la testa di Oloferne (1596-1610), della pittrice lombarda Fede Galizia, mette in luce la distanza “abissale” tra il crudo verismo caravaggesco e la maniera della pittrice, che, come si legge nella scheda del catalogo “dipinge in realtà una natura morta in cui protagonisti sono i velluti, i rasi, le sete, i broccati, le gemme, l’oro e l’argento”. La Salomé di Caravaggio è indubbiamente uno dei quadri più ammirati in mostra, che si differenzia dall’omonimo dipinto della National Gallery di Londra per la diversa posizione della testa del Battista e del suo boia, oltre che per l’uso di uno sgargiante rosso nell’abbigliamento della giovane, accostata ad una vecchia in entrambe le versioni. Una vecchia che, secondo alcuni, potrebbe raffigurare Erodiade, la madre di Salomé, vera mandante dell’uccisione del profeta, ma appare improbabile che la lussuriosa regina Erodiade, accusata dal Battista per il suo matrimonio “incestuoso” con il cognato Erode Antipa, possa essere raffigurata così rugosa e senza vesti regali: più probabilmente potrebbe essere una di quelle vecchie serve che spesso accompagnano le figure di giovani donne, per esaltarne la fresca bellezza.

“Da Bologna a Roma, da Roma alla Spagna” è la sezione che espone i capolavori della scuola emiliana. Tra questi la Conversione di Saulo di Guido Reni è una composizione particolarmente originale, perché sottolinea la natura solitaria della rivelazione che trasformerà il persecutore dei cristiani in Paolo, l’apostolo delle genti. Lot e le figlie di Guercino è un dipinto anch’esso straordinario, che un restauro ha recuperato in tutta la sua luminosità e sensualità. Insieme al dipinto di Reni, fu una delle sei opere che il principe Niccolò Ludovisi, principe di Piombino, fece avere a Filippo IV per ottenere il favore della corte spagnola.

“Dalla Spagna a Roma, da Roma a Napoli” è dedicata a Jusepe de Ribera, detto lo Spagnoletto, l’artista spagnolo che, giunto a Roma, si lasciò incantare da Caravaggio e poi, trasferitosi a Napoli nel 1616, divenne uno dei più importanti protagonisti della scuola napoletana. Ben cinque sono i suoi capolavori presenti in mostra, tra i quali San Gerolamo in meditazione, Giacobbe e il gregge di Labano, che ci sorprende per la gamma cromatica che fa pensare alla corrente neoveneziana che lo influenzò a partire dal 1632, e il drammatico San Francesco si getta in un rovo di spine, in cui un angelo vaporoso appare al santo, che si punisce sui rovi per mortificare il corpo che era stato preda della lussuria.

Segue “Dalla Spagna all’Italia. Velásquez a Roma”, che, oltre alla Tunica di Giuseppe, il capolavoro di Velásquez che era collocato accanto alla Fucina di Vulcano nel Palazzo del Buen Retiro di Madrid, analizza anche le opere di altri stranieri, come Charles Le Brun (magistrale il suo Cristo morto compianto da due angeli), che negli stessi anni soggiornarono a Roma, traendo ispirazione dagli artisti di diverse scuole. Si prosegue con “L’ultimo Ribera”, che fu in effetti il pittore più richiesto dai viceré spagnoli nella città partenopea, quindi con “Dalla Napoli di Ribera alla Roma di Bernini”: una sezione che comprende tra gli altri lo spettacolare dipinto I sette arcangeli di Massimo Stanzione, il principale rivale di Ribera a Napoli. Pure notevole è Lot e la sua famiglia di Pietro Novelli, un siciliano influenzato dall’opera di Ribera a Napoli, come pure dai dipinti di Antoon Van Dyck a Palermo. Appartiene invece alla Roma berniniana, nel senso che faceva parte di un altare realizzato da Bernini, La Deposizione di Giovan Francesco Romanelli, dove l’esuberanza tipica del barocco è temperata da una elegante sobrietà dei gesti.

Il Cristo crocifisso di Bernini, un bronzo acquistato dall’ambasciatore di Spagna a Roma per Filippo IV, è l’unica opera completa in metallo di Bernini non ancorata ad un complesso monumentale, che sia giunta fino a noi e che, stranamente ritenuta inadatta per l’Escorial, venne sostituita da un altro crocifisso di minore valore, realizzato da Domenico Guidi. Di crocifissi scultorei ne sono esposti diversi, perché la cattolicissima corona di Spagna prediligeva l’arte sacra: particolare è il Calvario che rappresenta una sintesi della scultura barocca a Roma in quanto il Crocifisso è di Alessandro Algardi, mentre la Maddalena ai suoi piedi è di Antonio Raggi, allievo all’epoca di Algardi e in seguito divenuto l’assistente prediletto di Bernini. Di Bernini è esposto anche un modello della Fontana dei quattro Fiumi di piazza Navona, mentre è di Giovanni Battista Foggini uno sfolgorante rilievo di bronzo dorato su uno sfondo di lapislazzuli.

La mostra prosegue con la Collezione Maratti, appartenuta a Faustina Maratti, figlia del pittore Carlo, e acquistata per il Palazzo della Granja di Sant’Ildefonso. Le opere riflettono quell’idea del bello propugnata da Giovanni Pietro Bellori nel discorso, che aveva tenuto nell’Accademia di San luca nel 1664, su invito del Maratti. Lucrezia che si dà la morte, di Carlo Maratti (o Maratta), è il dipinto più notevole e fa parte di una serie di donne forti dell’antichità. Nella stessa sala il busto in marmo della regina Cristina di Svezia, opera di Giulio Cartari del 1681, propone pure l’immagine di una donna di grande personalità, che, dopo aver rinunciato nel 1654 al trono di Svezia per la cattolica Roma, diventa protagonista indiscussa della intelligentia romana fino alla sua morte nel 1689.

Una sezione è dedicata ad Andrea Vaccaro, un altro grande interprete della pittura napoletana molto apprezzato in Spagna, del quale si ammira in mostra Il Riposo durante la fuga in Egitto e soprattutto la raffinata Allegoria della Logica (1650/60), vista come una donna vestita di bianco, perché bianca è la verità, con lo stocco in una mano e quattro chiavi nell’altra, che, secondo l’Iconologia di Cesare Ripa, simboleggiano rispettivamente l’acutezza di spirito e “i quattro modi di aprire la verità in ciascuna figura sillogistica”.

L’itinerario si conclude con la sezione “Da Giordano a Solimena”, che espone i capolavori del napoletano Luca Giordano (L’asina di Balaam, l’Ebbrezza di Noè e la scenografica Cattura di Cristo), il pittore più rappresentato e apprezzato nella corte spagnola nella seconda metà del Seicento, e del suo erede artistico Francesco Solimena, le cui due opere in mostra (Ecce Homo e Mater Dolorosa), pienamente settecentesche, appartennero alla regina Elisabetta Farnese, moglie di Filippo V, il primo re della dinastia dei Borbone in Spagna.

P.S.

Da Caravaggio a Bernini. Capolavori del Seicento italiano nelle Collezioni Reali di Spagna

Scuderie del Quirinale, Via XXIV Maggio, 16, Roma
Dal 14 aprile al 30 luglio 2017-04-19 Orari: Da domenica a giovedì ore 10-20; venerdì e sabato 10-22,30 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Biglietto: € 12; ridotto € 9,50
Catalogo Skira
www.scuderiequirinale.it


 

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