EDUCAZIONE AL FEMMINILE
Il sipario si apre sulla seguente scena: una stanza soggiorno con un armadio, un tavolo, due poltroncine, una piccola scrivania con dei quaderni, libri e matite; alcune sedie, un orologio da parete e un calendario, qualche quadro con immagini di paesaggi e fotografie di membri familiari, una televisione accesa, una lampada da tavolo. Sul pavimento, alcuni giocattoli: un trenino, un fucile di plastica, un camion di pompieri, una bambola, Barbie, con alcuni vestitini; materiali da cucina, tegamini, piattini etc.
Personaggi: una donna seduta davanti al tavolo, intenta a fare i conti (o a sbucciare fagioli o piselli), madre di due bambini, maschio, 5 anni (Marco) e femmina, 6 anni (Debora).
I bambini giocano, il maschio lascia il fucile, prende la macchina dei pompieri e comincia a fare la sirena con la voce, mentre grida
“Al fuoco! Al fuoco !.”
La bimba si appropria del fucile e comincia ad imitare i soldati in guerra (che vede in televisione), mentre dice:
“Ammazziamo tutti i terroristi“
e imita il rumore del fucile
“Pum, pum pum… dovete morire, brutti e cattivi.”
Il fratello non la lascia finire, dà una spinta alla sorella e grida:
“Dammi il fucile, è mio !!!.”
La bimba resiste, allora Marco comincia a dare pugni e calci alla sorella, cercando di toglierle il fucile. La bimba resiste e grida.
La madre interviene rivolta al maschio, e dice:
“Marco, lascia stare tua sorella, e tu Debora, ridagli il fucile .”
Mentre la madre parla, Marco, con rabbia, prende la Barbie della sorella e comincia a strapparle i capelli. Debora, a quella vista, s’avventa sul fratello, cerca di strappargli la bambola. Il fratello continua nella sua operazione, allora Debora lo picchia e grida:
“Dammi Barbie!! Brutto stronzo”.
La madre si alza dalla sedia, prende la figlia per un braccio, la strattona, mentre le dice
“Tu sei una ragazzina violenta, cattiva, come ti permetti di dire parolacce, di menare tuo fratello. Adesso, vattene in camera tua, non ti voglio più vedere”.
La bimba si allontana piangendo.
In quel mentre entra il padre, di ritorno dal lavoro:
“Ma che succede ?”
dice rivolto alla moglie:
“Debora sta piangendo, le ho chiesto perché ma lei ha alzato le spalle, è entrata in camera sua e ha sbattuto la porta… io torno stanco dal lavoro e vorrei trovare la pace familiare”.
Risposta della moglie:
“la signorina ha preso i fucile del fratello, ha cominciato a gridare “Ammazziamoli tutti”…. facendo Pum pum con la bocca. Il fratello voleva riprendere il fucile che è suo, lei si è infuriata e ha cominciato a menarlo, finché non sono intervenuta io”
Il padre guarda con apprensione e amore il figlio, che continua a giocare con l’autobotte dei pompieri, poi rivolgendosi alla moglie dice:
“Ma questa ragazzina dove ha imparato a comportarsi come un maschiaccio? Bisogna farle capire che deve comportarsi come una bambina, giocare con i suoi giochi…”
Poi, rivolto alla moglie:
“Ma tu che ci stai a fare?”
(attimidi sospensione silenziosa)…
“Tua figlia comincia a dare segni di squilibrio mentale”.
La moglie sottovoce replica:
“e già, quando Debora viene lodata dalle maestre, allora dice “mia figlia”, quando sbaglia non è più figlia sua”.
Siamo nella stanza di Debora: le pareti rosa, un letto, un piccolo armadio, una carrozzina con delle bambole dentro. Alle pareti il ritratto di Pippi Calzelunghe e fotografie di Debora vestita da Biancaneve e da ballerina.
La bambina si butta sul letto e continua a piangere. Adagiato sul cuscino c’è un orsetto, Pippo, il suo confidente. Debora lo abbraccia e dice, continuando a tirare su col naso:
“Pippo, nessuno mi vuole bene. A Marco gliela danno sempre vinta e io sono sempre brutta e cattiva. Mamma dice che mi comporto come un maschiaccio. Ma Pippo? Marco che è maschio, lui sì che si comporta come un maschiaccio.”
In quel mentre apre la porta della stanza Luigi, il fratello maggiore di quattordici anni:
“Ma perché piangi?”
Debora scende dal letto e rivolta al fratello, che considera un saggio perché fa il quarto ginnasio, gli chiede:
“Tu che sai tutto, dimmi perché mamma a Marco gli fa fare tutto e non lo sgrida, e io se mi ribello sono sempre brutta e cattiva? Io sono una bambina, Marco è un bambino, allora se siamo due bambini, siamo uguali.”
Il fratello, con aria di saccente superiorità, risponde:
“E no! Non siete uguali; Adesso te lo spiego: Tu hai detto bambini, ma bambini è il plurale per dire di te e Marco, ma tu lo sai come si dice al singolare bambini ?”.
Debora lo guarda intimidita senza rispondere.
Allora Luigi, con tono di chi sa i segreti della lingua italiana, sentenzia:
“Il singolare di bambini è BAMBINO, maschio. E’ l’uomo della specie umana che comprende anche la femmina. Mentre bambina e bambine sono due parole che indicano solo le femmine. Questo significa che il plurale bambine è riferito solo alle donne. A differenza di bambini, che le comprende”.
Debora, mortificata e confusa, rivolta al fratello mormora:
“allora per questo Marco è prepotente e mamma lo protegge!? Gli vuole più bene che a me”.
Sconsolata Debora riprende a piangere.
Il fratello quattordicenne si rivolge alla sorella con tono pietoso:
“Suvvia, non piangere. Devi sapere che è una condizione universale di tutte le donne. Sai cosa significa? Oggi il professore ci ha spiegato cosa significa democrazia e diritto. E sai da dove è partito? Dalla Dichiarazione universale dei diritti… I diritti di chi? tu sei piccola e non puoi capire, ma una cosa, si, puoi capirla. Si tratta della Dichiarazione Universale dei diritti dell’UOMO. Dell’UOMO, capisci? In tutti i diritti elencati dalla Dichiarazione la donna non è mai nominata, perché l’UOMO rappresenta anche la donna.”
- 1948 Dichiarazione dei diritti dell’UOMO
- Francobollo emesso dalle Nazioni Unite su disegno di F. Hundertwasser (1983)
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- 1948 Dichiarazione dei diritti dell’UOMO
- Francobollo emesso dalle Nazioni Unite su disegno di F. Hundertwasser (1983)
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Debora reagisce gridando:
“No, non è vero. Io sono femmina, ancora bambina, ma sono io che rappresento me. E non un maschio, a cominciare da mio fratello Marco”.
- Raul Perazzi, Creazione Eva, 1999
Luigi aggiunge l’ultima postilla, che annichilisce la sorellina:
“Scusa, tu sai bene che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, Adamo, mentre Eva, la prima donna, l’ha fatta nascere da una costola di Adamo. E questo è vero, tanto che, come ha detto il parroco, all’inizio la donna si chiamava Omada, che è il rovescio del nome di Adamo”.
Poi Luigi, tronfio della sua superiorità maschile, dice rivolto alla sorella, con tono accondiscendente:
“Non ti abbattere, pure le donne servono a qualcosa, sennò i figli chi li fa ?”.
Ed esce dalla stanza.
Debora in una reazione di rigetto si infuria. Comincia a gridare e a rompere tutto quello che trova, a cominciare dalle bambole e dal vestitino di Biancaneve.
Entra la madre:
“Ma che ti prende? Stai gridando e distruggendo tutto !”.
Poi la prende per un braccio e la strattona.
“Smettila hai capito? Tu sei pazza.”
Lascia andare la figlia e, richiamata dal marito, esce dalla stanza.
Debora si butta per terra, non grida più, non piange.
Avvilita, abbattuta, nella sua mente inizia il processo di adattamento alla supremazia maschile e a subirne le prepotenze.
Fuori scena
Uno spettatore osserva:
”Dalla Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo, sono passati quasi 70 anni, oggi le donne sono rappresentate nella società e nelle istituzioni e hanno ruoli pari a quelli degli uomini”.
Questa osservazione riceve il consenso di molti spettatori, mentre le spettatrici rumoreggiano.
La risposta viene dalla sceneggiatrice, docente alla Università di Roma “Sapienza”:
“Per avere un’idea della rappresentazione e dei ruoli delle donne nella società e nelle istituzioni, oggi 2017, prego il/la lettore/lettrice di accedere alle immagini, rappresentative di sé, di una delle massime istituzioni della cultura e della scienza nel nostro Paese. Mi riferisco all’Università degli Studi di Roma “Sapienza”. Se si accede alle informazioni per gli studenti e per i docenti che la “Sapienza” fornisce, attraverso questo link-www.uniroma1.it/docenti, appaiono due immagini che riflettono l’identità rappresentativa di sé dell’Ateneo riguardo al corpo docente e agli/alle studenti/studentesse che popolano l’Università.
- Uniroma 1 docente in aula
- Uniroma 1 docente
Nella prima immagine si vede un professore (maschio) che sale le scale di una Facoltà dell’Ateneo; nella seconda immagine, si vede un’aula dove un professore(maschio) insegna a una studentesca composta di alunni, tutti maschi. Consideri che la presenza delle studentesse nell’Ateneo, è pari se non superiore al numero di quella degli studenti maschi. Queste immagini sono significative e simboliche di come si rappresenti la raggiunta uguaglianza tra i generi da parte di una Istituzione che dovrebbe essere portabandiera per combattere la discriminazione di genere e far sentire la sua autorevole voce per il raggiungimento di una parità di diritti tra uomini e donne, nei diversi settori della nostra società”