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DANIELE DA VOLTERRA. I dipinti d’Elci

I dipinti della collezione senese Pannocchieschi d’Elci dell’artista più vicino a Michelangelo sono in mostra nella Galleria Corsini
mercoledì 1 marzo 2017 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Di Daniele da Volterra (1509 ca. - 1566) si ricorda soprattutto che venne incaricato, in età controriformista, di ricoprire con perizomi e panneggi svolazzanti le nudità michelangiolesche della Cappella Sistina, tanto da essere soprannominato il Braghettone, ma si tratta in realtà di un artista di alto livello, che ha assimilato e interpretato le idee dell’arte a lui contemporanea, soprattutto quelle di Michelangelo, riuscendo a coniugare abilità tecnica e grande energia.

La mostra ospitata nella Galleria Corsini “Daniele da Volterra. I dipinti d’Elci”, a cura di Barbara Agosti e Vittoria Romani, espone solo due dipinti, ma si tratta di opere notevoli, perfettamente conservate e dense di significati. Si tratta di due delle rare opere mobili dell’artista, custodite a Siena nel palazzo dei Conti Pannocchieschi d’Elci, opere che tornano grazie a questa mostra nella città dove sono state concepite. Daniele Ricciarelli, detto da Volterra per la sua città natale, è un pittore, decoratore e scultore formatosi in ambiente senese col Sodoma e Baldassarre Peruzzi. Si trasferisce a Roma nel clima di rilancio delle arti da parte di Paolo III Farnese dopo il sacco del 1527. Ed è proprio nella città papale che si afferma soprattutto nella tecnica dell’affresco e dello stucco: ricordiamo i suoi interventi a Palazzo Massimo alle Colonne, a San Marcello al Corso e nella Cappella Orsini a Trinità dei Monti (con la grandiosa Deposizione).

Il dipinto su tavola della collezione d’Elci, raffigurante la Madonna con il Bambino, San Giovannino e Santa Barbara, venne realizzato verso il 1548, poco dopo la decorazione della Cappella Orsini: è evidente la vicinanza a Michelangelo, del quale riprende le innovazioni spaziali e compositive del Giudizio universale, da cui derivano il potente incastro delle figure e la stilizzazione delle forme volumetriche. Santa Barbara, dipinta sulla destra, è raffigurata con un solo seno nudo (a ricordo del suo martirio) e con una spada, perché secondo la tradizione sarebbe stata decapitata da suo padre. In primo piano sulla sinistra, San Giovannino ci guarda con sguardo vivace indicando la scritta Ecce Agnus Dei su un cartiglio srotolato.

L’altro dipinto, di dimensioni più ridotte, è realizzato a olio su tela e raffigura Elia nel deserto. È relativo agli esordi di Daniele a Roma, accanto al fiorentino Perino del Vaga, collaboratore di Raffaello, noto soprattutto per gli affreschi della Sala di Psiche a Castel Sant’Angelo. L’opera stilisticamente appare vicina agli Evangelisti che Daniele dipinge sui cartoni di Perin del Vaga a San Marcello al Corso.

Sembra quasi che Daniele, su sollecitazione di Perino, cerchi una via di mezzo tra la grazia di Raffaello e l’energia e i colori stranianti di Michelangelo nella volta della Cappella Sistina. Quello del digiuno di Elia nel deserto è un episodio biblico che viene collegato in questo caso all’Eucarestia per la presenza di una brocca e di un pane in primo piano. Rispetto all’iconografia tradizionale, manca l’angelo mandato da Dio per nutrire il profeta, mentre assume una certa importanza il paesaggio azzurrino con una cupola che fa pensare al Pantheon.

La riflettografia del dipinto della Madonna, presente in mostra, permette di distinguere fin nei minimi particolari il disegno preparatorio, con le tracce puntiformi lasciate dallo spolvero del cartone forato. È evidente anche un “pentimento” nel velo sulle spalle della Vergine. Più difficile è l’individuazione del disegno nella riflettografia dell’Elia, perché, trattandosi di una tela, il disegno tende a confondersi con le stesure di colore. Si ipotizza comunque che anche qui l’artista abbia definito con un lavoro grafico le aree delle diverse stesure, evitando così stratificazioni incongrue.

Con questa mostra, che vede la collaborazione di pubblico e privato, la direttrice delle Gallerie Nazionali Barberini - Corsini, Flaminia Gennari Santori, porta fuori dall’ombra capolavori nascosti, perché ritiene che “il ruolo del museo è anche quello di portare alla luce cose non visibili”, e quindi le opere conservate nei magazzini o il collezionismo privato, come in questo caso, ovviamente nella speranza che ciò possa innescare “un circolo virtuoso di conoscenza, scoperta e condivisione del nostro patrimonio artistico”.

Volendo approfondire il discorso sull’influenza di Raffaello e Michelangelo sugli artisti del loro tempo, in un’altra sala della Galleria Corsini sono state installate su cavalletti (prima erano sistemate in alto e quindi poco visibili) altre due opere, in una sorta di dialogo a distanza con quelle di Daniele da Volterra. Si tratta dell’Annunciazione di Marcello Venusti (del quale si ricorda la copia del Giudizio michelangiolesco realizzata nel 1549 per il cardinale Alessandro Farnese) e della Sacra Famiglia, un tempo attribuita a Girolamo Siciolante da Sermoneta, ma che ora si ritiene opera di Jacopino del Conte.

P.S.

Daniele da Volterra. I dipinti d’Elci

Galleria Corsini, via della Lungara, 10, Roma
Dal 17 febbraio al 7 maggio 2017
Orari: lun., mer.-sab. 14-19,30; dom. 8,30-19,30
Biglietti: intero € 5, ridotto € 2,50; gratuito per gli aventi diritto
Biglietto integrato Palazzo Barberini+Galleria Corsini (durata 3 giorni) € 9