Coltissimo, geniale ed enigmatico, il “Pictor optimus” (nato a Volos, in Grecia, nel 1888 e morto a Roma nel 1978) è una delle figure più complesse del secolo passato, sempre in viaggio, come un moderno Ulisse, tra i meandri dell’esistenza umana. Ma, volendo semplificare la sua arte a pochi semplici concetti, potremmo dire che la sua opera, pur caratterizzata da diversi momenti stilistici, è sempre improntata alla narrazione di favole e miti e, allo stesso tempo, si ha la sensazione che le cose vengano sottratte al loro aspetto logico e spostate in una sede diversa, dando l’idea dello straniamento.
Appare, invece, del tutto adeguata al personaggio la sede espositiva a due passi da Piazza di Spagna, dove l’artista visse dal 1948 in una casa-studio (oggi Fondazione Giorgio e Isa de Chirico), orgoglioso di abitare nel cuore artistico della città, come viene rievocato in mostra da questa sua frase: “Dicono che Roma sia il centro del mondo e che piazza di Spagna sia il centro di Roma, io e mia moglie, quindi, si abiterebbe nel centro del centro del mondo”. E certamente Roma, oltre alla natia Grecia, è stata fondamentale per studiare le rovine antiche, come resti di colonne e di statue che caratterizzano molte sue opere.
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Foto 1 La mostra “Giorgio de Chirico” alla Galleria Tornabuoni
A ricordarcelo fisicamente, ci sono tre autoritratti, in uno dei quali (del 1957) si presenta come pittore, ovvero con la tavolozza, in abiti settecenteschi, perché, secondo le sue parole: “il vestito moderno non è interessante da dipingere [...] il vestito antico offre molte più possibilità per fare della pittura e dimostrare quello che si sa fare”. All’origine greca sembra alludere in questo dipinto il busto di Atena, che pur raffigurata con l’elmo, in quanto dea della guerra, è anche la dea della sapienza e pertanto protettrice delle attività dell’ingegno, esercitate dagli artisti e dagli artigiani.
Foto 2 Autoritratto come pittore in costume del Settecento, 1957
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La vita interiore di Giorgio de Chirico, fatta di favole e sogni, si dipana attraverso le fantasmagorie metafisiche delle piazze e dei manichini, nelle battaglie o nelle nature morte di ispirazione secentesca, in un paesaggio veneziano e nelle visioni sognanti delle spiagge dell’antica Grecia, come nei tre dipinti a olio intitolati “Cavalli in riva al mare”, che sono datati dal 1932-33 al 1935, in “Cavallo e zebra in riva al mare” (1938 ca.) e in “Combattimento di puritani”, degli anni ‘60.
Foto 3 Cavalli in riva al mare, 1935
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Il dipinto più antico, proveniente dalla Collezione Roberto Casamonti di Firenze, è “La passeggiata (o il Tempio di Apollo a Delfi)”, il cui paesaggio misterioso, eseguito nel 1909, richiama il pittore simbolista Arnold Böcklin, forse il più grande ispiratore del giovane de Chirico, al tempo dei suoi studi a Monaco di Baviera.
Pure appartenente alla collezione Roberto Casamonti è un interessante dipinto del 1932, intitolato “Combattimento di gladiatori”, dove i lottatori delle arene romane sono stranamente raffigurati tutti insieme in una mischia e non nel classico combattimento a due.
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Foto 4 C ombattimento di gladiatori, 1932
Di ispirazione ariostesca parrebbero “Combattimento di cavalieri” (1940-41), e, come dichiarato esplicitamente, “Corazze con cavaliere o Natura morta ariostesca” (1940).
Anche il tema del nudo femminile è documentato nella mostra con due dipinti: il primo del 1923, già nella collezione di Alberto Savinio ed esposto alla XIII Quadriennale di Roma del 1998. L’altro, del 1930, ritrae Cornelia Silbermann, una donna con la quale de Chirico ebbe un lungo rapporto, testimoniato da un carteggio di ventitré lettere, dal 1929 al 1951.
“Ettore e Andromaca” è una tela dell’inizio degli anni ’60 con le sue enigmatiche figure-manichini che continuano ad affascinare il maestro anche dopo il periodo metafisico degli anni ’10. Il motivo è riproposto anche nell’omonimo bronzo, realizzato in realtà nel 1988, quindi dopo la morte di de Chirico. Altri temi della sua poetica sono raffigurati nel grande arazzo con “La conquista del filosofo” (alto quasi 2 m) e nelle due piazze: “Piazza d’Italia”, degli anni ‘50, con al centro la statua di Arianna addormentata e ai lati i giochi di luce e ombra delle architetture ad arcate, e “Piazza d’Italia con piedistallo vuoto”, del 1955. Sono ancora una volta varianti di dipinti antecedenti: visioni che ripropongono con colori più accesi capolavori già noti. L’impressione che si ha è che egli attingesse alla scatola contenente le sue invenzioni per ricomporle nuovamente in molteplici creazioni.
Foto 5 Piazza d’Italia, anni ’50
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Molto curiosi appaiono i tre dipinti con i cosiddetti “bagni misteriosi”, tutti degli anni ‘60. Uno scritto del 1973 dello stesso Giorgio de Chirico ne spiega l’origine: “L’idea dei ‘bagni misteriosi’ mi venne una volta che mi trovavo in una casa ove il pavimento era stato molto lucidato con la cera. Guardai un signore che camminava davanti a me e le di cui gambe riflettevano nel pavimento. Ebbi l’impressione che egli potesse affondare in quel pavimento, come in una piscina, che vi potesse muoversi e anche nuotare. Così immaginai delle strane piscine con uomini immersi in quella specie di acqua-parquet, che stavano fermi, e si muovevano, ed a volte si fermavano per conversare con altri uomini che stavano fuori della piscina pavimento”.
Anche un disegno del 1940, eseguito a matita su carta, colpisce la nostra attenzione. S’intitola “Ed ecco un gran drago” e fa parte del ciclo per l’edizione dell’Apocalisse di Giovanni a cura di Raffaele Carrieri. La Bestia appare nel cielo, tra nuvole e stelle, con le sue sette teste e numerose corna: una figura apparentemente terrificante, ma in realtà in grado di evocare un mondo fiabesco per de Chirico, che in un suo scritto afferma: “In quella grande e strana casa che è l’Apocalisse (…) io sogno, incuriosito e felice, come il fanciullo, tra i suoi balocchi, nella notte di Natale”.
Orario: dal martedì al sabato dalle ore 10 alle 13 e dalle 14 alle 19
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