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La Basilica di Santa PRASSEDE

San Valentino nell’Hortus Paradisi

Il santo venerato a Roma nella splendida cappella dei Santi Zenone e Valentino
martedì 5 febbraio 2013 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Folclore e Tradizioni Popolari
Argomenti: Religione


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Sull’Esquilino, a due passi da Santa Maria Maggiore, sorge l’antica basilica dedicata a Santa Prassede, una delle figlie del senatore Pudente che ospitò a Roma l’apostolo Pietro. La figura della santa, strettamente legata a quella della sorella Pudenziana, viene ricordata come quella di una fanciulla devotissima dei martiri, dei quali avrebbe conservato le spoglie.

Proprio su questo presunto luogo di raccolta di reliquie venerande sarebbe sorto all’epoca di Pio I (metà del II secolo) un primitivo luogo di culto, al quale si sarebbe sovrapposta più tardi la basilica del IV-V secolo. Tutt’intorno ad essa gravita il rione Monti, corrispondente all’antica Suburra, che ancora conserva in parte le tradizioni e l’atmosfera popolare di un tempo.

Il vanto della basilica sono gli splendidi mosaici del IX secolo, conservati nell’oratorio dei Santi Zenone e Valentino, fatto realizzare da papa Pasquale I (817-824) come tomba per la madre Teodora, detta Episcopa in quanto madre del Vescovo di Roma.

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Absidiola con Vergine e bambino
Ai lati S.Prassede e S.Prudenziana

I contemporanei lo chiamarono Hortus Paradisi (giardino del Paradiso) per la scintillante decorazione musiva, opera della scuola romana, che aveva ricevuto nuovo vigore dalla venuta di monaci ed artisti provenienti dall’Oriente sconvolto dalle lotte iconoclaste, ed alla quale si devono anche i mosaici delle chiese di S. Cecilia e di S. Maria in Domnica. La cappella, nonostante le modeste dimensioni o forse proprio per queste, sprigiona una forza spirituale non comune e un’armonia unica.

Conteneva i resti di numerosi martiri romani, fra i quali i più celebrati erano i due santi titolari. Di San Zenone non sappiamo niente, se non che subì il martirio nel III secolo d.C., ma viene chiamato fratello di Valentino dall’autore del De locis sanctis martyrum.

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Pavimento neo cosmatesco del 1916-17
Basilica di Santa PRASSEDE

Questa notizia, la cui attendibilità non può essere verificata, spiega perché nella cappella essi siano stati sepolti insieme.Anche il visitatore meno esperto si accorge che la decorazione marmorea della chiesa è tutta di reimpiego: basti pensare alle colonne di diverse dimensioni, agli architravi disuguali che ancora recano tracce delle iscrizioni dedicatorie. Pure il portale dell’oratorio, posto quasi al centro della navata destra, è sormontato da un antico blocco di marmo, che poggia su due colonne (di diametro diverso), una di granito e l’altra di serpentino nero, inserite tra basi e capitelli medievali.

Al di sopra è poggiata un’urna romana a forma di cantharos, sullo sfondo di una finestra a grata attorno alla quale si svolge un mosaico costituito da due archi decorati a medaglioni, dove, accanto a Cristo e alla Vergine col Bambino, si riconoscono le immagini degli Apostoli e dei santi Valentino e Zenone.

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S valentino e S Zenone nella lunetta

Il motivo decorativo dell’immagine racchiusa entro un medaglione aveva precedentemente avuto larga diffusione, specie a Ravenna, ma in questo caso esso assume tale preponderanza da essere il solo protagonista dell’ornato. La viva bellezza di questo prospetto fa da introduzione al giardino paradisiaco raffigurato all’interno.

Ma per vedere il Paradiso è consigliabile evitare di accendere la luce (a pagamento) e lasciare che i nostri occhi si abituino a poco a poco a percepire lo splendore dell’oro e degli altri innumerevoli colori delle tessere che tappezzano la parte superiore della cappella. D’altra parte queste forme espressive sono state concepite per essere ammirate nella semioscurità e non nei freddi riflessi dell’illuminazione elettrica.

L’interno è quadrangolare con un nicchione absidale e due laterali che immettono negli ambienti adiacenti (in quello di destra è conservata la colonna della Flagellazione). La volta a crociera è interamente rivestita di mosaici a fondo oro, come pure la parte superiore delle pareti e i sottarchi dei nicchioni.

Agli spigoli sono collocate quattro eleganti colonne di granito, con splendide basi del IX secolo e capitelli dorati, dalle quali sembrano sorgere quattro figure angeliche con le braccia alzate a sostenere il medaglione centrale raffigurante l’immagine del Redentore contro uno sfondo azzurro.

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Volta della cappella dei Ss. Zenone e Valentino

Gli angeli biancovestiti con i capelli biondi e gli occhi azzurri aderiscono alla volta del soffitto, mimetizzando le strutture portanti. Questo motivo deriva sicuramente da quello analogo che decora il presbiterio di S. Vitale a Ravenna; il concetto che vuole esprimere è quello dell’Empireo sostenuto dai quattro pilastri angelici che poggiano sulla Terra e vanno oltre la sfera del cielo stellato.

Sulle pareti laterali sono rappresentati santi e sante su prati fioriti; sulla parete di fronte all’ingresso la Vergine e il Battista; sopra l’ingresso il trono gemmato di Cristo, adorno della sua croce, fra gli apostoli Pietro e Paolo. In un sottarco è raffigurata la discesa di Cristo al Limbo.

Nella lunetta del sottarco si vede l’Agnello sul mistico monte della Grazia con i quattro fiumi del Paradiso terrestre nelle cui acque si dissetano quattro cerve, biblicamente simboleggianti le anime.

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Parete Laterale
S Agnese S Pudenziana e S Prassede
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Lunetta
Teodora Episcopa a sinistra

Più in basso l’immagine di Teodora Episcopa, con in testa il nimbo quadrato dei viventi; vicino a lei Santa Prassede, quindi la Vergine e Santa Pudenziana. Sulla parete di fondo della cappella, sopra l’altare, entro una piccola abside, c’è la rappresentazione, anch’essa a mosaico, della Madonna Liberatrice col Bambino. Quest’immagine, del XIII secolo, ha preso il posto di una precedente del tempo di Papa Pasquale I, il quale, in seguito a una visione, le aveva riconosciuto il privilegio di far liberare un’anima del Purgatorio per ogni messa celebrata al suo altare.

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Mosaici sulla porta d’ingresso della cappella
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Absidiola della cappella

Dal punto di vista tecnico, i mosaici del tempo di Pasquale I non sono forse raffinati come quelli paleocristiani, ma trasmettono una sublime spiritualità. Molto del loro fascino è dato dall’uniforme sfondo dorato che non è tanto un segno di ricchezza o di sfarzo, quanto un mezzo per rendere l’idea dell’astrazione, dello scioglimento di queste figure ideali da ogni vincolo della materia, che è poi lo sviluppo estremo della concezione artistica bizantina, tesa a dissolvere la corporeità della figura umana nell’infinito, senza alcun riferimento spaziale o temporale.

San Valentino: un santo o due?

Ci si potrebbe chiedere a questo punto chi è il santo raffigurato nell’Hortus Paradisi come San Valentino? Forse non tutti lo sanno, ma il patronato sugli innamorati è conteso da due figure. In effetti, un tempo, nella stessa data del 14 febbraio, venivano festeggiati due santi omonimi, prima che con la riforma del 1970 venissero retrocessi a semplice memoria facoltativa e al loro posto subentrassero i santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa.

A Roma, al tempo dell’imperatore Claudio il Gotico (268-270), un presbitero di nome Valentino sarebbe stato martirizzato e sepolto lungo la via Flaminia nella catacomba detta di San Valentino, sulla quale poi Giulio I (337-352) edificò una basilica. I resti che Pasquale I portò a Santa Prassede, insieme a quelli di altri martiri, si riferiscono probabilmente a questa figura.

Un altro santo con lo stesso nome fu vescovo di Terni sotto Aureliano (270-275), Divenuto noto per le sue doti di taumaturgo venne chiamato a Roma dal filosofo Cratone per guarirgli il figlio afflitto da una grave deformità fisica. Valentino accolse l’invito e il miracolo che lui operò fece convertire tutta la famiglia del malato e anche tre ateniesi allievi del filosofo. Il prefetto di Roma, venuto a conoscenza del fatto, fece arrestare Valentino e, resosi conto che erano vani tutti i suoi tentativi di fargli offrire sacrifici agli dei, lo fece decapitare nel 273.

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San Valentino vescovo di Terni

Il suo corpo sarebbe stato poi trasportato a Terni. Anche per lui ci fu una fioritura di reliquie e diverse chiese se ne contesero le spoglie, i cui resti più consistenti (composti nel 1630 in una statua giacente) sono conservati nell’omonima basilica nei pressi della città umbra.

Inizialmente il santo era considerato guaritore dall’epilessia e dalla peste e il suo intervento era invocato a protezione degli animali domestici. Non per niente il suo nome deriva dal latino valere, che significa “essere in buona salute”. Il suo culto si diffuse poi nei monasteri benedettini di Francia e di Inghilterra, dove divenne il patrono dei fidanzati.

Non è possibile dare una risposta definitiva al quesito se il vescovo ternano sia o meno da identificarsi con il martire romano. Certo le analogie tra i due sono evidenti, soprattutto perché entrambi sepolti lungo la via Flaminia (Terni si trova su questa via consolare).

Si potrebbe ipotizzare addirittura che il Valentino romano sia stato “inventato” per spiegare la presenza della chiesa di San Valentino sull’omonima catacomba romana, dove in realtà potrebbe essere stato sepolto il vescovo ternano, prima della sua traslazione in Umbria.

Ma, artisticamente parlando, il Valentino romano vanta una cappella straordinariamente bella, anzi “paradisiaca”.

 

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