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Mostra sulla Vanitas

Lotto, Caravaggio, Guercino nella Collezione Doria Pamphili
mercoledì 1 giugno 2011 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Il tema della Vanitas, ovvero della caducità della vita terrena, è di casa a Roma a Palazzo Doria Pamphili (via del Corso), dove una mostra, che si tiene dal 21 maggio al 25 settembre 2011, raccoglie un nucleo di opere della prestigiosa Collezione del nobile casato e le presenta sotto un’ottica particolare.

Confrontando pitture e sculture, ma anche oggetti d’arredo, testi lirici e componimenti musicali, la mostra intende indagare l’interesse manifestato dalla famiglia per l’effimera natura del bello, dal Cinquecento fino ai nostri giorni. Un membro della famiglia in particolare, il cardinale Benedetto Pamphilj (1653-1730), arricchì la collezione del Palazzo con opere dal profondo significato morale. Noto come mecenate di artisti e musicisti, e poeta egli stesso, proprio sul tema dell’effimero compose una serie di sonetti, arie e cantate e il celebre oratorio “Il trionfo del Tempo e del Disinganno”, musicato nel 1707 dal giovane Georg Friedrich Händel, suo ospite a Roma.

Il cardinale, che aveva aderito all’Accademia d’Arcadia assumendo lo pseudonimo di Fenicio Larisseo, predilesse la poetica del languore, della dolcezza dei sentimenti e del rammarico con uno stile espressivo che si rifaceva alla “semplicità pastorale” degli antichi greci e della Roma arcaica. La sua vena malinconica è evidenziata da alcuni oggetti, tra cui due orologi a pendolo e un piccolo teschio in avorio, emblemi della caducità della vita, e dalla maschera funeraria di San Filippo Neri, l’apostolo della Roma cinquecentesca dotato di un saldo ottimismo cristiano, ma che ribadiva nella sua nota “Canzone delle vanità” il concetto espresso per la prima volta nell’Ecclesiaste, e tradotto in latino da San Girolamo con le parole: Vanitas vanitatum et omnia vanitas (vanità delle vanità, tutto è vanità).

Nella stessa sezione dedicata a Benedetto Pamphilj, sono esposti due importanti dipinti ad olio del XVII secolo sul mito di Dedalo e Icaro, uno di Ludovico Lana e l’altro di Andrea Sacchi. Entrambe le opere simboleggiano il memento mori, alludendo all’ambizione giovanile che induce Icaro a compiere un’impresa sovrumana senza misurare le proprie forze. Andrea Sacchi, in particolare, carica la scena di tutto il pathos del dramma futuro. Il tema doveva essere particolarmente caro al cardinale Benedetto perché nella sua cantata “Il consiglio”, musicata sempre da Händel, viene scelto per illustrare gli inganni e i pericoli delle passioni umane, come si evince dai versi: “Sì, sì, pur troppo è vero, / Nel temerario volo / Molti gl’Icari son, Dedalo un solo”, e ancora: “L’uomo, che nacque per salire al Cielo / Ferma il pensier nel suolo / E poi dispone il volo, / Con ali, che si finge, e in sé non ha”.

Un’altra sezione espositiva è dedicata alla “natura morta”, con dipinti seicenteschi di Jan van Kassel il Giovane, un’altra ancora ai ritratti, tra i quali quelli marmorei di Marco Aurelio (l’imperatore filosofo) e dei cosiddetti Pseudodiogene e Pseudoseneca e la serie pittorica di nove filosofi dipinta da Francesco Giovani (1639-1667) ed esposta per la prima volta al pubblico dopo un intervento di restauro che ha evidenziato le sue straordinarie qualità coloristiche e formali, oltre ad alcune tele che rimandano al tema della morte con particolari oggetti simbolici. Il “Ritratto di trentasettenne” (1543 circa), di Lorenzo Lotto, mostra un uomo dallo sguardo triste che indica con la mano destra l’anello che porta al mignolo della sinistra, probabile allusione alla perdita della moglie. Nel “Ritratto di Alfonso Doria Pamphilj nella villa”, eseguito da Augusto Stoppoloni nel 1914, è invece il sarcofago, al quale si appoggia il personaggio, ad alludere alla precarietà della vita umana.

La sezione più densa di capolavori pittorici è sicuramente quella dedicata all’iconografia sacra, ovvero alle figure di Santa Maria Maddalena e di San Girolamo. Girolamo è raffigurato nel deserto siriano, coperto solo di pochi panni, mentre traduce la Bibbia e medita sulla morte, a volte con un crocifisso, altre volte con un teschio. Jusepe de Ribera, Lotto, Guercino, Ventura Salimbeni e Pasquale Chiesa ce lo mostrano quale emblema di ascetismo e penitenza, alla ricerca di una profonda spiritualità. Molti elementi in comune con il santo e dottore della Chiesa Girolamo ha la figura della Maddalena penitente. Di lei si ricorda l’eremitaggio in Provenza, dove si era stabilita con la sorella Marta e il fratello Lazzaro dopo la morte di Gesù. Uno splendido dipinto di Mattia Preti la raffigura come una giovane donna dall’incarnato pallido e dalla capigliatura rossa, con le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo, mentre alcune lacrime le scendono sulle guance. In altri dipinti è raffigurata a seno nudo e con un crocifisso in mano, nel pieno dell’ascesi spirituale. Caravaggio, infine, la raffigura in un suo capolavoro giovanile (1596 circa) in modo decisamente diverso. Questa volta si fa fatica a credere che si tratti di una penitente, se non fosse per una lacrima che le solca il viso. Il dipinto, bellissimo, ci mostra una fanciulla seduta che dorme con la testa china. I vestiti lussuosi, i monili sul pavimento e il vasetto d’unguento (tipico dell’iconografia della santa, perché con esso unse i piedi e il capo di Gesù) alludono al peccato della carne, anche se la figura è ben lontana dalla sensualità presente in altri dipinti caravaggeschi. Potrebbe trattarsi, in effetti, di una prostituta che rinuncia alle seduzioni e ai piaceri del mondo, perché l’amore puro verso Gesù le fa cambiar vita. Appena convertita, la giovane si è tolta gli eleganti gioielli, tra cui un filo di perle spezzato, a ribadire il suo distacco dalla vanità delle gioie terrene.

P.S.

Vanitas, Roma, Palazzo Doria Pamphilj, fino al 25 settembre 2011. Orario: tutti i giorni dalle 10 alle 17

Info: arti.rm@doriapamphilj.it


 

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