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GLOBALIZZAZIONE E QUALITÀ DEI RAPPORTI SUL LAVORO
Alcune considerazioni maturate con una lunga esperienza nel management aziendale.
martedì 8 giugno 2010
di Lino Filippo Ciceri
Argomenti: Economia e Finanza
Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Sociologia
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Sembra che da qualche tempo il modo di lavorare nelle nostre aziende stia cambiando. In molte imprese, anche in quelle che fino ad alcuni anni or sono erano molto attente allo sviluppo del proprio personale, ci sarebbe ora minore attenzione alla formazione professionale ed in genere una minore qualità nei rapporti umani. Non sono a conoscenza di studi estesi ed approfonditi in merito. Tuttavia, colleghi operanti in aziende grandi e medie mi confermano, da nord e da sud, che in questi ultimi anni qualcosa si sta deteriorando nel mondo aziendale. Savino De Rosa ne scrive anche in un recente numero di questa rivista.
Ora, ritengo che i rapporti personali in azienda non siano mai stati totalmente appaganti, neppure negli scorsi anni ’60 e ’70 del nostro galoppante sviluppo economico. In gioco ci sono valori personali diversi, carriera, ambizioni e sotto i guanti bianchi c’è in ogni azienda qualcuno con il pugno pronto a colpire. Occorre sempre stare in guardia. Eppure, io stesso ricordo tanti momenti di scambi professionali intensi in ogni azienda nella quale ho avuto l’opportunità di lavorare, italiane e multinazionali, ed in ogni periodo della mia carriera manageriale, esperienze formative condivise, sfide superate in gruppo, con passione ed amicizia. Ma ora, da qualche anno, queste situazioni sembrano quasi scomparse. Si manca un risultato ed arriva la sanzione, talvolta la ristrutturazione brutale.
- Fabbrica in Laos
Che cosa sta succedendo? E’ una fase temporanea particolarmente difficile per alcune aziende oppure è un cambiamento strutturale e diffuso nel nostro modo di lavorare? Recentemente ne ho parlato sia con colleghi con lunga esperienza aziendale e sia con giovani manager o miei studenti di un corso post-laurea.
- Azienda cinese
Le risposte sono piuttosto varie, ma principalmente di tre tipi. Per alcuni, soprattutto per i manager appena usciti dall’azienda o al termine della carriera dirigenziale, una causa potrebbe essere individuata in una maggiore tendenza alle scorciatoie da parte delle nuove leve di dirigenti. Per altri, soprattutto i giovani, la causa andrebbe ricercata nella diffusa stanchezza e sfiducia che avviluppa il nostro Paese. Per altri ancora, causa fondamentale è la mancanza di strategie di lungo periodo, di sufficienti investimenti in ricerca ed innovazione che ci tolgano dalla mischia dei prodotti generici provenienti dai paesi a basso costo.Personalmente non riesco a condividere del tutto la prima di queste spiegazioni. Scorciatoie si sono sempre cercate, salvo poi pagarne le conseguenze.
- Apple
Migliorare i risultati di un’azienda tagliando i costi è un approccio antico, di effetto immediato e mai abbandonato. Prima o poi, i tagli mostrano però il loro limite, ciò si verifica per esempio quando la concorrenza introduce innovazioni e chi ha solo tagliato costi, senza creare le premesse per uno sviluppo futuro, entra in una spirale discendente. E’ una tentazione perdente sempre esistita e purtroppo ancora presente.
Sono invece più d’accordo con la seconda spiegazione. In Italia, quasi nessuno sa a quale missione, come italiani, dovremmo dedicare le nostre energie. Si è mai sentito un leader d’opinione, un politico, un primo ministro, un presidente della Repubblica proporre una missione per l’Italia? Se in una qualsiasi organizzazione, senza una missione motivante e condivisa, non è possibile ottimizzare gli sforzi di ognuno, allora ciò non è ancor più vero per un Paese? Questo potrebbe spiegare la sfiducia di molti ed il venir meno della speranza di miglioramento.
- Foxconn
- Azienda terzista di 250.000 dipendenti che produce a bassissimi costi prodotti di alta qualità per Apple, Dell ed HP
L’insufficiente attenzione agli investimenti in ricerca ed innovazione, poi, è quasi un corollario della generale sfiducia, ed è indubbiamente una causa di fondo dell’attuale situazione. Se consideriamo la situazione globale di questi anni, rivolgendo in particolare la nostra attenzione ai nuovi paesi industriali, dalla Cina all’India ed al Brasile, senza trascurare Vietnam e Cambogia, è indiscutibile che prima o poi loro bassi costi abbiano conseguenze negative sulle nostre organizzazioni ed aziende che non hanno saputo rinnovarsi.
Nelle grandi aziende manufatturiere cinesi, ad esempio, lo “sfruttamento” dei lavoratori è spinto a livelli per noi inimmaginabili. All Foxconn, un’azienda terzista di 250.000 dipendenti che produce a bassissimi costi prodotti di alta qualità per Apple, Dell ed HP, nota in questi giorni per numerosi casi di suicidi tra i lavoratori, uno ogni due settimane dall’inizio 2010, le condizioni lavorative sono molto dure. In reparto di produzione è proibito parlare, gli intervalli per recarsi in bagno sono al massimo di dieci minuti ogni due ore, ed i lavoratori sono insultati se appena riducono il ritmo di lavoro. Il management ha istallato reti attorno alle scale dei dormitori, dove otto o dieci lavoratori dormono in un unico locale, nel tentativo di arginare i tentati suicidi. Un giovane laureato citato in un recente articolo di Business Week guadagna 2000 yuan al mese, circa 250 euro, più del doppio di un normale lavoratore. Eppure, ha dichiarato di aver considerato di suicidarsi, perché fa la stessa cosa ogni giorno e teme di non avere un futuro.
Se globalizzazione significa dover lottare con delle aziende di puro sfruttamento come queste, in paesi dove l’alternativa è la fame, come possiamo sperare di continuare a lavorare come ai “bei tempi” andati, se mai ci sono stati, ed ai relativamente gratificanti stipendi di un tempo? Il mondo aperto e globale ci ha messo in concorrenza con aziende come la Foxconn. Come sopravvivere con gli stipendi italiani, dieci volte superiori a quelli dei colleghi cinesi ed ancor più rispetto a quelli vietnamiti, cambogiani o di altri paesi a costi ancor più bassi, continuando a produrre prodotti indifferenziati e senza alcuna unicità intrinseca?
- Obama stretta mano cinese
Ecco allora che la cieca disattenzione all’innovazione porta a durezza di rapporti, a considerare una persona come una macchina, anzi come un componente facilmente sostituibile. Con la conseguenza che il vortice globale prima o poi farà sparire ogni azienda rimasta nella mischia con armi spuntate.
In Italia s’investe circa 1% del prodotto nazionale in ricerca pubblica. In Corea del Sud, un paese di dimensioni non troppo diverse dal nostro, si punta ad investire il 5%. Una differenza strutturale, un investimento “virtuoso” a tutto vantaggio dei lavoratori coreani, che potranno vivere rapporti di lavoro professionalmente appaganti. Anche il nostro Paese dovrà tener conto dei fattori indispensabili per avere diritto ad un futuro soddisfacente ed a rapporti umani di qualità nel lavoro, ad iniziare dagli investimenti virtuosi. Dignità è un diritto. Dignità, purtroppo, di questi tempi è anche un lusso, un diritto che in ogni caso occorre meritarsi. Un poco come la virtù, una qualità da conquistare, prima di potersela permettere.
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GLOBALIZZAZIONE E QUALITÀ DEI RAPPORTI SUL LAVORO
11 giugno 2010, di GiovannaDA
DIGNITA’ – Condivido molte idee dell’accurata analisi del prof. Ciceri, ma per quanto riguarda la “conquista della dignità” credo che occorra discernere tra coloro che “senza dignità” indegnamente occupano con arroganza posti di lavoro e quelli che, invece, “con dignità” fanno il proprio dovere sopportando sfruttamento e soprusi. Come possono i lavoratori cinesi, terzomondisti, precari, lavoratori “a nero” conquistarsi la dignità? Non sarebbe piuttosto giusto stabilire delle REGOLE contro il selvaggio free trade globalizzato e le spietate, egoistiche, corrotte speculazioni finanziarie che stanno causando immani danni ? Giovanna D’Arbitrio
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GLOBALIZZAZIONE E QUALITÀ DEI RAPPORTI SUL LAVORO
11 giugno 2010, di GiovannaDA
DIGNITA’ – Il prof. Ciceri mi ha chiesto di inserire la sua risposta e il commento di un suo amico. Eccoli: "Sul piano dei singoli comportamenti mi trovo pienamente d’accordo con il suo commento. Finanzieri ed imprenditori senza scrupoli hanno fatto perdere il lavoro ad almeno 35-40 milioni di lavoratori, mettendo in difficoltà anche figli, mogli e mariti e spesso genitori anziani: 150-200 milioni di persone nei vari continenti? La dignità si è nascosta nelle persone singole, quasi scomparsa da un sistema che ha lasciato mano troppo libera all’egoismo esponenziale di pochi. Il mio punto è proprio qui, sulla carenza d’intelligenza di sistema che molti stanno pagando, ad esempio, con condizioni di lavoro più dure. Nella conclusione dell’articolo, sarei sicuramente stato più chiaro se avessi precisato che la "dignità" deve essere conquistata anche e soprattutto a livello sistema, come comunità. In assenza di scelte di sviluppo intese al bene comune, non rimane che la virtù dei singoli. Meglio di niente, senza dubbio. Tuttavia, decisamente insufficiente se si vuole realmente far crescere la qualità dell’esistenza e la dignità di ognuno. Quali individui siamo fondamentali, ma la società che sappiamo creare, o rifiutare, non è poi determinante per ognuno di noi?Un amico mi ha risposto all’articolo con un commento. Se lo desidera, può eventualmente farlo inserire su Scena Illustrata". L.F. Ciceri -
Ecco il commento dell’ amico, F. Agnesi:
"Ho letto l’articolo le cui tesi condivido. Io penso, in ogni modo, che IL PROBLEMA, non da oggi, ma almeno da trenta anni, per noi sia la mancanza di fiducia per questo paese, come del resto tu metti in evidenza. Ma ciò è stato causato non solo dai politici (sempre accusati e che non sono altro che un campione rappresentativo della nostra società e del nostro malcostume), ma anche dai singoli cittadini nel loro comportamento individuale e collettivo (basti pensare, per questo secondo aspetto, al referendum che ha ucciso una capacità industriale nel nucleare ben avviata). E pensiamo alla chimica, distrutta da scandali e incapacità strategiche. Ancora prima, pensiamo alla Olivetti, alla Falck, alla BPD, etc Per quanto riguarda la ricerca, non è solo quanto si stanzi per la stessa, ma il modo in cui si opera. Ho seguito, dal punto di vista finanziario, le attività di ricerca del Gruppo per il quale lavoravo: My God! Mi sembrava una agenzia turistica, più che un centro di ricerca, considerati i risultati, i costi, la reperibilità dei "ricercatori", sempre in giro per il mondo per congressi (ad ascoltare, quasi mai a presentare relazioni). E i "ricercatori" del CNR, dell’Enea, e istituti vari non erano meglio. L’etichetta di "ricercatori" mi sembra quasi pari a quella che si auto-attribuiscono "intellettuali", "filosofi", "economisti", per il solo fatto di avere, forse, una laurea in qualche cosa. Mah; come vedi non sono proprio ottimista". F. Agnesi
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