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La capanna nella vigna Gli anni del’occupazione, 1945-48 (Guanda, Parma, 2009)

Tracce di luce sul gioco delle onde dei giorni vissuti

Sono le parole con cui, all’inizio di un nuovo anno, Ernst Jünger rinnova il proposito di tenere il diario, distillando in un’immagine il senso di questo libro
venerdì 26 marzo 2010 di Carlo Vallauri

Argomenti: Storia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Ernst Jünger


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I tedeschi sottoposti all’occupazione straniera: il dramma di quel popolo, già accaduto negli anni Venti e poi ripetuto nel 1945 dopo la pesante sconfitta. È interessante allora leggere le impressioni di un importante scrittore, Ernst Jünger, che, nella sua vita e nella sua intensa esperienza culturale, visse quella seconda tragica realtà, quando in bassa Sassonia assiste all’arrivo dei reparti corazzati “alleati” che si fanno avanti per strade e campagne mentre profughi continuano a giungere dall’Est.

Le truppe americane cominciano a ritirarsi ma il vero pericolo è costituito dai russi e polacchi a suo tempo presi prigionieri e che ora irrompono nelle fattorie, fanno razzie di bestiame, a stento qualche volta trattenuti dalle truppe francesi. Così di stagione in stagione assistiamo a cambiamenti – all’inizio del diario – mentre ancora continua la guerra (aprile 1945): Jünger legge e rilegge i suoi scritti come altri che ha per casa. Poco lontano hanno luogo violenze, poi (1 maggio) la radio dà notizia della morte di Hitler (“oscura come tutto ciò che lo circonda”) Può forse riprendere un minimo di vita civile, nelle nuove, dure condizioni. I contadini tornano nei campi, dove permangono anche “orde gozzoviglianti” ma sono soprattutto gli uomini che erano prigionieri della Germania ad uscire dai campi di concentramento e riempire le strade. L’autore ricorda eventi degli anni precedenti, come quando era stato addetto all’ufficio censura. È un proseguire di giornate aspre, dolorose, tra lamentazioni e pericoli. Viene sempre più a risaltare il ruolo della tecnologia nella società moderna, con la “perdita dell’anima” come male peggiore dell’annientamento fisico.

Amicizie, parentele si rincorrono nella vita privata. La resa incondizionata – imposta dai vincitori – è il rovescio della guerra totale. Che cosa ha insegnato la storia, dai tempi di Napoleone? Un susseguirsi di vittorie e sconfitte. Alle preoccupazioni di ognuno si aggiungono – in crescendo – le brutte notizie che pervengono dall’Est, con violazioni sempre più gravi e penetranti degli spazi di autonomia dei singoli. In agosto la terribile notizia dell’esplosione atomica a Hiroshima. Un americano osserva “meno male che Hitler non disponeva di una arma simile: e di certo non avrebbe esitato ad usarla”. Intellettuale e scrittore com’è, J. continua a leggere e a riflettere soprattutto sulla situazione in cui è caduta la Germana e sulla prospettiva più ampia della società in rapporto al ruolo sempre maggiore della tecnologia nella vita individuale e dei popoli.

Così il diario va avanti per altri tre anni, in cui si confondono intrecci di circostanze ed occasioni variamente valutabili. Tante donne tedesche divenute “bottino” dell’Armata rossa mentre comincia a circolare il protocollo di Yalta sulla divisione delle sfere d’influenza nel mondo tra i vincitori. Sul piano politico l’autore osserva le tendenze mondiali che tendono ad accrescere le simpatie per la sinistra. In Germania non sembrano apparire personalità come Clemenceau oppure Trockij. Riflessioni inoltre sulla condanna a morte di Petain, commutata da De Gaulle nell’ergastolo a vita. Seguono altre osservazioni politiche: la Francia ha chiuso la guerra con un segno positivo perché ha trovato alleanze di potenze, che – sia pure controverse – l’hanno resa partecipe della vittoria mentre la Germania ha perso la guerra con massimo dispendio di forze, senza il sostegno di forti alleanze. Giusto rilievo, si può notare. Ma da chi è dipeso, se non dalle scelte e dai comportamenti dei governanti tedeschi?

Al di là dell’amarezza e delle giornate penosamente vissute, sono le letture a sostenere lo spirito dell’autore che passa dalla lettura di Saint Beave a Karl Kraus, “Hitler non mi fa venire in mente niente”. Vengono rievocati eventi del tempo del dominio nazista, con le persecuzioni degli ebrei mentre i bruchi sulle foglie e l’incanto dell’autunno ristabiliscono un senso all’esistenza. Pioggia e nebbia: per gli ultimi tre anni le note scritte si diradano e puntuale prosegue la memoria a riportare alle sorti del paese, a cercare una spiegazione del perché il popolo abbia seguito Hitler, e Jünger non manca di rilevare come la trascuratezza dei governanti del periodo di Weimar abbia portato – per reazione – alla vittoria di Hitler, una meteora rapida, espressione di quella “potenza” che conquista simpatie. Ricordo dei familiari scomparsi, richiami a problemi di scienza, come alla traccia di Lutero nel destino della Germania.

E così tra le pagine conclusive troviamo “Ho cura di seppellire qui, con i miei pensieri, anche vecchi scritti e pamphlet, con l’idea che da essi spunteranno presto nuovi fini”.

Siamo al 1948: ancora fuggiaschi che cercano di sottrarsi all’occupazione russa. “Non è la superficie a trasformare le profondità bensì le profondità a trasformare la superficie”. Ecco un ammonimento valido ancor oggi per tutti noi.