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Pittori anonimi del Seicento napoletano


mercoledì 11 febbraio 2009 di Achille della Ragione

Argomenti: Arte, artisti


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Il ritardo, per motivi editoriali, nella pubblicazione del mio regesto sulla pittura napoletana del Seicento (2000 foto a colori riguardanti circa 150 artisti tra maggiori e minori) mi ha indotto ha cominciare a rendere noto a studiosi ed appassionati parte del mio lavoro e comincio con un capitolo originale dedicato a quei dipinti che, nonostante l’elevata qualità, attendono ancora dalla critica una giusta attribuzione, con la speranza nel contributo di quanti, napoletanisti o meno, vogliano collaborare in questa ricerca di paternità.

La pittura napoletana seicentesca, il famoso secolo d’oro, è ricco di autori senza opere, per quanto siano stati reperiti i documenti di pagamento e di opere senza autore, come quelle che andremo ad esporre, avanzando quando possibile una nostra ipotesi attributiva.

Cominciamo da un ritratto di Salvator Rosa nella veste di David (fig. 1), transitato in asta ed attribuito a Micco Spadaro senza convincere gli specialisti dell’artista, passiamo poi ad una tela raffigurante lo sbarco dell’infanta Maria d’Austria a Napoli (fig. 2), un episodio famoso ed un’opera di pregio per la quale non mi sento di avanzare alcuna ipotesi, quindi affrontiamo una scena di costume, un bagno pubblico per uomini (fig. 3) che potrebbe oscillare tra il Gargiulo ed il Rosa, quindi una Madonna delle Grazie (fig. 4) che mi sentirei, per analogie stilistiche e per collocazione in una sede dove il pittore ha avuto altre commissioni, di assegnare a Giuseppe Marullo, la Negazione di San Pietro (fig. 5), di recente avvicinata al catalogo di Ribera giovane, dovrebbe rimanere l’opera di un ignoto caravaggesco nordico attivo a Napoli intorno al 1620.

Il San Procopio (fig. 6), siglato PB, della pinacoteca D’Errico, per il quale si è speso il nome del misterioso Beato, probabilmente rimane di un ignoto riberiano, mentre per il Vesuvio in eruzione (fig. 7) dobbiamo contentarci di un anonimo nordico attivo sul finire del XVII secolo, il Sansone e Dalila (fig. 8) respinta un’insostenibile attribuzione al genovese Fiasella, potrebbe ragionevolmente entrare nel catalogo di Onofrio Palumbo, un allievo napoletano della Gentileschi, mentre la Maddalena penitente (fig. 9) tradisce ampiamente i modi del Vaccaro.

L’Andata al Calvario (fig. 10), di modesta fattura, attribuita al Piscopo richiede una verifica trattandosi di un pittore noto alla critica, ma senza opere certe, mentre il Pescivendolo che pulisce una razza (fig. 11) frutto di una collaborazione tra uno specialista di figura ed un generista eccellente per il quale sono aperte più ipotesi, probabilmente Giovan Battista Recco o Porpora. Il David (fig. 12) , ha sostenuto più attribuzioni dal Guarino al Vaccaro, senza escludere van Somer.

Il Crocifisso con la Maddalena (fig. 13) di grande qualità richiama un prototipo del Ribera e denota lo stile di Cesare Fracanzano, ma potrebbe riservare una piacevole sorpresa con l’identificazione di una nuova personalità, la S. Maria Egiziaca in estasi e la Santa in preghiera (fig. 14 – 015) tradiscono lo stesso pennello ed un milieu culturale tra Vaccaro, Vitale e Guarino, la Tunica insanguinata (fig. 16) ha suggestionato a lungo la critica, la quale, dopo un’ipotesi iniziale verso Van Baburen, ha virato verso il De Bellis ed infine verso il Falcone giovane.

La languida e sensuale Maddalena (fig. 17) di Capodimonte ha richiamato l’attenzione degli specialisti, che hanno evocato firme prestigiose da Sellitto a Vaccaro, per concludere mestamente con la creazione della figura di un maestro dal nome convenzionale derivato dal soggetto del dipinto al quale affiancare altre opere, la Morte di S. Alessio (fig. 18) tradisce l’impronta di un ignoto giordanesco suggestionato dai modi riberiani e la Giuditta con la testa di Oloferne (fig. 19)ritenuta di un seguace del Cavallino ha tutti i numeri per entrare nel catalogo di Agostino Beltrano.

La Vanitas (fig. 20) possiede una sostenibile attribuzione al De Simone, mentre la Battaglia tra Turchi e Cristiani (fig. 21) rimane nell’alveo di un ignoto battaglista, l’Apollo e Marsia (fig. 22) di potente bellezza oscilla tra Giordano e Ribera, arduo trovare un nome certo per il riberiano del San Girolamo penitente (fig. 23) e per l’autore del Sansone e Dalila (fig. 24).

La S.Caterina (fig. 25) per la quale si era pensato alla Gentileschi più probabilmente è del Palumbo, per il Cristo e l’adultera (fig. 26) si è pensato ad un maestro di convenzione, misterioso l’artefice del San Matteo e l’angelo (fig. 27), per il Ratto di Elena (fig. 28) un potente ed abile giordanesco, per Giunone ed Argo (fig. 29) oltre ad un riberesco si può pensare anche ad un veneto.

Riteniamo doveroso segnalare poi quei nomi di pittori senza opere che attendono dagli studi futuri di poter riaffiorare dignitosamente da un oblio secolare.

Gli artisti di cui vogliamo accennare sono personalità emergenti dallo spoglio di documenti di pagamento degli antichi banchi napoletani o dalla consultazione di antichi inventarî.

In questo lavoro di cernita di notizie si sono distinte intere generazioni di cartisti e riteniamo doveroso ricordarne alcuni: Prota Giurleo, D’Addosio, Strazzullo, Nappi, Ruotolo, Delfino, Rizzo, Labrot e tanti altri, senza il cui solitario lavoro di spulcio e di scoperta le conoscenze critiche non sarebbero progredite con eguale successo.

L’elenco in ordine alfabetico del nome di questi silenziosi carneadi, che attendono pazientemente da centinaia di anni di essere collegati ai propri dipinti è riportato nell’allegato 1.

In allegato 2 è invece riportato l’indice completo delle immagini mostrate.

 

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