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Rubrica: CULTURA


Racconto autobiografico (Einaudi editore 2014)

CHE COSA DOBBIAMO AD EUGENIO SCALFARI

Scalfari ci ha accompagnato nel continuo sforzo di essere all’altezza degli eventi inquietanti che si succedevano attorto a noi
mercoledì 4 giugno 2014 di Carlo Vallauri

Argomenti: Storia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Eugenio Scalfari


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La pubblicazione del Racconto autobiografico di Eugenio Scalfari consente al lettore tradizionale della stampa italiana, dall’immediato dopoguerra ad oggi, di riflettere sullo svolgimento, i mutamenti tumultuosi e spesso contraddittori avvenuti nella politica italiana, come nella vita sociale e culturale, rappresentate e spiegate dal valente e colto giornalista, in grado, in base alla sua preparazione, di diventare una specie di formatore dell’opinione pubblica e, possiamo dire, di coscienza, per i partecipi all’attività di interesse collettivo attraverso una serie amplissima di articoli, servizi, approfondimenti che lo hanno reso uno dei principali protagonisti delle vicende della stampa nel versante del rinnovamento culturale, politico e mediatico.

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Sono tutti quegli articoli e libri, pubblicati per oltre mezzo secolo, testimonianza di una presenza ininterrotta, precisa e persino per vari aspetti, personalmente non priva di passaggi emotivi, in grado di aprire le menti verso la società in trasformazione attraverso una documentazione coerente, una capacità critica nel complesso succedersi di interventi approfonditi che hanno certamente consentito a molti di noi di comprendere, soprattutto nell’immediato dopoguerra, le varie fasi di svolgimento della vita economica di un paese permeato allora da grandi speranze di crescita democratica. E poi – come proprio Scalfari ha documentato – sono sopraggiunti eventi tormentati collegati al sopravvenire del peso determinante dei cosiddetti “poteri forti”, competitori dei “poteri torbidi e delinquenziali”, responsabili di aver deviato dalla correttezza di comportamenti per piegare ai propri esclusivi vantaggi le stesse condizioni di sviluppo del paese pur dimostratosi capace di conseguire positivi risultati, nel rafforzamento di una nazione vitale nel cuore di una Europa decisa a superare le antiche diatribe.

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Ebbene le prime prove di Scalfari giornalista ebbero luogo su settimanali ispirati ad una sinistra liberale in cerca di sottrarsi alle spinte di antiquate gerarchie e di potentati politici e finanziari, in modo da aprire invece i lettori alle nuove esigenze civili e favorendo il cambiamento di mentalità nella vita quotidiana, superando gli atteggiamenti accomodanti della “buona borghesia”, e capace quindi di assicurare una migliore comprensione dei termini reali dei conflitti sostanziali che andavano ben oltre il più visibile scontro tra le grosse formazioni politiche. Gli imperi finanziari si contendevano la conquista di posizioni dominanti e la stampa riferiva sulla pressione esercitata per indirizzare la vita nazionale verso contrapposte soluzioni. Ma soprattutto nel fornire le proprie opinioni Scalfari mostrava novità di gusto e segni di particolare sensibilità alle esigenze sorgenti nel vivo della società – più di quanto apparisse su altri giornali – con attenzione particolare ai mutamenti di costume nella vita privata, nei gusti personali, nei confronti di una serie di eventi e comportamenti che mostravano le costanti modifiche in corso nella società europea. Una gara verso una esistenza più libera, meno legata a tradizioni borghesi superate, aperta alla laica visione dell’esistenza personale, carattere specifico della prosa scalfariana, al di là delle varianti più visibili.

Leggendo adesso quelle pagine non possiamo dimenticare quanto furono utili le spiegazioni offerte sul contenuto degli scontri politici come sull’andamento delle vicende economiche che si susseguirono sin dagli anni Cinquanta. Proprio dal “Mondo” molti di noi, allora giovani e desiderosi di abbeverarsi a moderne fonti di informazione, riuscirono, proprio grazie a quel tipo nuovo di giornalismo informato e non succube dei poteri dominanti, di fornire elementi chiari di conoscenza, al fine di meglio comprendere quel che andava succedendo ai vertici del sistema finanziario tra Milano e Roma, ancor prima delle più visibili contrapposte posizioni politiche. Mentre Eugenio cambiava, modificava e creava nuovi organi di stampa, dapprima con “L’Espresso” (per lunghi anni punto di riferimento non solo per la cronaca corrente), fulminante di vivaci e penetranti servizi, soprattutto sui singolari e complicati enigmi di un’Italia già corrosa dal malaffare. In seguito sopravverrà la grande scelta di una “Repubblica” nettamente schierata nel

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campo non solo strettamente politico, e sempre in prima linea nel porre il lettore in condizione di seguire il corso delle contese economiche e culturali, attraverso precisazioni, studi e commenti che consentivano di penetrare nel modo stesso di pensare, nel corso dei frequenti mutamenti, irrigidimenti mentre si diffondevano nuovi vizi nella vita nazionale, come nelle esperienze sociologiche e scientifiche. Pur non identificandomi nelle scelte scalfariane – spesso variabili e soprattutto contraddittorie per alcuni aspetti e per sue particolari, cangianti simpatie – trovavo sempre nelle sue scritture quotidiane elementi di conoscenza precisi ed utili. Una visione personale e discutibile ma sempre intelligente, informata, originale nella interpretazione, con una impostazione che bruciava la politica minimalista, provinciale offerta da altri organi di stampa.

Ecco! Scalfari ci ha accompagnato nel continuo sforzo di essere – al di là delle personali opinioni – all’altezza degli eventi inquietanti che si succedevano attorto a noi. Comprendere i fatti reali nel gioco delle grandi società, avvertire le conseguenze che certi fatti, specie internazionali, si ripercuotevano nella esistenza quotidiana: sono state esperienze vissute da ciascuno di noi, soprattutto perché parallelamente quei giornali offrivano con ricchezza di argomenti i cambiamenti della nostra condizione quotidiana nella cultura, nella scuola e, soprattutto, nel mondo dello spettacolo: era l’epoca dei grandi film dei nostri registi e delle straordinarie rappresentazioni nei teatri da Milano a Firenze, Torino, Napoli e Roma (sale nelle quali non era raro incontrare Eugenio). E Beniamino Placido apriva l’attenzione verso nuovi artisti e coniatori di storie imprevedibili.

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L’Italia cambiava e le nuove generazioni puntavano su “assoluti” inquietanti e le osservazioni scalfariane – parliamo solo delle sue non dei suoi tanti contraddittori collaboratori – cercavano di fornire la spiegazione di quel che stava avvenendo, valorizzando tra l’altro anche nuove leve culturali e giuridiche, consentendo poi a ciascuno di noi di trarre le proprie osservazioni. Spesso una impostazione secca, dura dava l’impressione di volere affermare la “superiorità” di una linea politica, con quella pretesa di essere sempre alla guida della “moralità”, pur nei frequenti cambiamenti rispetto a contrapposte visioni e, qualche volta, con clamorose svolte, come nei giorni più recenti con il sostegno giunto quasi inatteso – ma specchio del suo senso realistico – al giovane Renzi. E ricordiamo per quei tempi più lontani a tutto ciò che è avvenuto in quei periodi, dalle speranze sessantottine alle tragedie nere e rosse, sulle quali egli forniva subito i termini di conoscenza e comprensione. Nella stampa scalfariana i termini di confronto tra le varie parti erano sempre nette e precise (si guardi in particolare agli scandali romani denunciati tempestivamente non senza rischi personali), anche se le prese di posizione di Eugenio nel quadro delle potenze finanziarie sembravano talvolta troppo legate a posizioni determinate ma contrastanti rispetto a precedenti asserzioni, in una convulsione di attività alimentata dagli interessi prevalenti della borghesia benestante (e della quali i suoi giornali sono stati organi rappresentativi) nel corso del suo rafforzamento destinato però a concludersi, nei periodi successivi, in una condizione limacciosa quanto sfuggevole, secondo l’andamento prevalente degli interessi malamente coperti da pregevoli disegni strutturali.

D’altronde le stesse collocazioni scalfariane presentavano evoluzioni e/o cambiamenti, dall’adesione al nascente partito radicale alla presenza nelle liste dal tormentato partito socialista, rivelando le complicazioni pratiche discendenti dalle situazioni mutevoli del paese che stentava a trovare una propria più individuata volontà operativa. Noi però continuammo a leggere i suoi articoli anche quando non ci convincevano perché in essi c’era sempre qualcosa di più chiaro rispetto ad altri grandi giornali. Le sue parole erano spesso “messaggi” che aprivano ai dati reali della situazione, senza perdersi nel chiacchiericcio che avvalorava non poca parte dell’informazione.

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Dopo un periodo di lunga collaborazione alla rivista “Astrolabio” degli indipendenti di sinistra fui invitato ad inviare articoli ad uno dei quotidiani dell’AGL-L’Espresso, rappresentativo di una stampa forse per alcuni tratti apparentemente minore ma sostanzialmente formativa della nuova cultura popolare da Livorno a Ferrara, da Venezia all’Abruzzo, con la differenza, rispetto ai maggiori quotidiani – come mi fu subito precisato – che quei giornali di provincia dovevano contenere articoli leggibili con piacere da persone di differenti opinioni, in quanto quei quotidiani locali, in molti casi, erano l’unico organo cittadino e quindi dovevano parimenti soddisfare persone che la pensavano diversamente. E quella esperienza si mostrò positiva, anche se dovendo i direttori dei singoli quotidiani decidere o meno di pubblicare l’articolo da me inviato, non mi soprese ad esempio una certa antipatia rispetto ai miei scritti contrari alla congiunzione delle due maggiori forze politiche nello stesso partito.

Il rapporto tra un grande numero di “comunisti” (secondo l’interpretazione di Berlusconi, verso il quale peraltro Scalfari ha sempre mostrato si saperne riconoscere caratteri originari e creativi nonché capacità organizzative, espressione di un blocco “sociale” non sempre esattamente individuato dagli avversari) divenuti lettori di “Repubblica” favorì spesso una riflessione di fondo sulla politica italiana, da parte di un vasto settore dell’opinione pubblica quando (specie dal 1989) i contenuti dai contrasti più evidenti misero in mostra molteplici aspetti del pensare politico, e la stampa spesso contribuiva a rendere più acute distanze e incomprensioni.

L’articolo di Eugenio restava punto di riferimento quasi “obbligato” anche per chi non ne condivideva l’orientamento. Si cercava – e si trovava – nei suoi editoriali qualcosa di più rispetto a quanto si leggeva altrove. Rammentiamo episodi significativi . Dopo gli “affari” dei costruttori romani sopraggiungono avvenimenti tormentati, come a suo tempo il caso De Lorenzo e, poi il sopraggiungere di scelte politiche alternative delle grandi forze in gioco sino alle esperienze della guerriglia, del brigantismo e delle mafie ascese dal Sud al Nord. Chi, avendo denunciato a tempo la razza padrona, mostrava una continuità di metodo valutativo pur nel mutare degli eventi in relazione all’atteggiamento dei maggiori esponenti dei partiti (si guardi al caso De Mita), provocando spesso incomprensione e soprattutto avvilimento di fronte alla rivelazione di troppe verità amare.

La democrazia italiana mutava usanze e contribuiva a cambiare il favore delle folle, mentre i fatti che si succedevano erano talmente tormentati da rendere impossibile una lettura effettivamente “obiettiva”.

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Sia consentito un passo indietro, meno noto. Chi ricorda la sua giovanile appartenenza a “”, sa bene come si spiegava il comportamento del giovane partecipante ai Guf (da cui fu anche espulso) nell’esprimere e sostenere l’esigenza di un cambiamento profondo nella vita del paese: nei suoi articoli, talvolta, si trovavano pezzi risalenti al socialismo critico ottocentesco, che potevano servire di orientamento nel grigiore dominante. Era un modo indiretto di richiamare idee e fatti che contribuivano in quell’epoca a svegliare la condizione disinformata di quella generazione.

È la stessa descrizione da lui lasciata circa l’entusiasmo delle folle per il grande capo ha fornito una autentica lezione per lo studio della psicologia di massa. E i suoi richiami a certe citazioni, pur nell’ossequio formale al potere, contribuiva a inoculare nei tanti che erano cresciuti nel regime totalitario a Roma, Napoli, Bologna, Torino, l’esigenza di un radicale cambiamento da realizzare in termini sempre più brevi.

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Raccontare i fatti quotidiani, come egli ha fatto poi per oltre 60 anni nella stampa democratica con costanza ed impegno civile, ha significato prendere atto di svolgimenti, cambiamenti e tradimenti rivolti ad offuscare l’idea di poter sempre assicurare racconti di indiscussa rispondenza ai mutamenti in corso. Vita pubblica e privata degli italiani si susseguivano nella rappresentazioni contenute negli articoli di Scalfari e dei suoi collaboratori che nella continuità delle loro posizioni critiche offrivano prove tenaci di conoscenza di fronte all’offuscarsi o al tramonto di singoli potenti. La scelta di molti giovani di volgere le preferenze verso altri organi di stampa (dapprima “Il Manifesto” , più recentemente “Il fatto quotidiano”) non spingeva a privarsi della lettura dell’articolo domenicale di Eugenio. E proprio il suo senso critico ci ha insegnato il fondamentale criterio di tener conto e comprendere gli altrui comportamenti, a prescindere dalle nostre prevenzioni, nella valutazione obiettiva delle scelte determinanti.

Risaliamo a Scalfari nella sua umanità, sincera, combattiva, sempre criticamente acuta e imponderabile negli sbocchi parapolitici. Non dimentichiamo peraltro la sua figura distinta ed elegante, il suo parlare forbito, soprattutto il suo modo di esprimersi, che lo ha sempre distinto da tanti coetanei, come lo ricordano infatti coloro che ebbero occasione di conoscerlo sin negli ambienti scolastici come poi all’inizio della vita democratica in Italia (quando egli votò per la monarchia, quale istituzione di tutela di fronte ad una Chiesa troppo influente, sulla scia delle buone tradizioni laiche.

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Una particolare qualità nello stesso modo di denuncia dei fatti anche più curiosi, ha continuato per anni a rappresentare le successive transizioni psicologiche degli italiani, proseguendo quello sforzo di capire in diverse età cosa accadeva. Egli ha saputo introdurci nei confusi affari di borsa e più recentemente nei meandri del “gioco” dei derivati. E a proposito dello Scalfari giovane – che ricordiamo tra il Mamiani e piazza Mazzini – non comprendiamo perché non abbia citato la sua presenza al Mamiani in terza liceo, dove non c’era un allievo come Calvino, ma non mancavano innanzitutto professori validi, da Mercanti di storia e filosofia ai titolari di greco (spesso con lezioni già a livello universitario) e di materie scientifiche. D’altronde nella sua stessa classe (mista B) non mancavano presenze fresche, aperte e lucide, come la sua. E torniamo infine allo Scalfari formatore e rivelatore di una Italia e persino di una Europa in campo, attento egli stesso alle tematiche morali e persino religiose, che nei suoi libri più profondi, anche recenti, di forbita quanto delicata presa sollecitano richiami alla coscienza più intima dei suoi lettori: ecco perché egli è stato e resta per tanti di noi – anche dissenzienti rispetto ai suoi giudizi sui leaders del momento – il simbolo di conoscenze importanti per la nostra formazione, certamente, ripetiamo, punto di riferimento grazie agli elementi che egli ci ha fornito sempre con chiarezza, spiegando con corretta documentazione i passaggi fondamentali della società civile, della quale ha saputo fornire la conoscenza degli elementi essenziali, sollecitando così le menti per una costante maturazione alle novità emergenti nel campo pubblico.