Il piacere dell’uomo, e in particolare quello del buongustaio, non è uguale a quello dell’animale. Non è un puro riflesso, non è immediato e senza futuro. Al contrario l’uomo con il proprio cervello e soprattutto con la corteccia cerebrale prevede, immagina, sogna, analizza e ricorda. Ciascuno, di conseguenza, vive il medesimo piacere in mille modi diversi, distinti da quelli degli altri. Ma il pasto non è solo un atto psicologico, è un processo di comunicazione sociale. Il nutrimento ci immerge nella comunità umana, al punto che il saper mangiare è anche un «saper vivere». Ma il comportamento alimentare contiene anche una dimensione simbolica e culturale essenziale. Ciò che pensa il cervello di ciò che si mangia è fondamentale. Se non è soddisfatto, il suo funzionamento è perturbato; esso non può più svolgere correttamente la funzione di coordinamento del corpo e del pensiero, e ancor meno il coordinamento dei piaceri. Il cervello deve dunque essere ben nutrito; la sua soddisfazione è la base della sua efficienza.
Quali sono i suoi nutrimenti ? Qual è la loro efficacia ? Quali godimenti ci procurano ? Per comprenderlo bisogna sapere come è formato il cervello, quali sono le componenti anatomiche, cellulari e biochimiche dei suoi piaceri. Ogni cellula richiede energia: ossigeno come combustibile e zucchero quale carburante, del quale ci occorre per il solo cervello
una certa quantità ogni ora. Ma questo enigmatico meccanismo cellulare richiede per lavorare il concorso di enzimi e di proteine, ciascuno dei quali adempie una funzione particolare. Tali sostanze sono costituite da aminoacidi, derivati da proteine animali o vegetali. Taluni aminoacidi formano così i neuromediatori che costituiscono gli strumenti di comunicazione tra i neuroni, altri formano i neuropeptidi che presiedono quegli scambi di informazioni.
A loro volta enzimi e proteine per agire hanno assolutamente bisogno di vitamine. Le membrane cellulari, edifici terribilmente complessi che determinano l’identità delle cellule e rendono possibile la trasmissione dell’informazione elettrica e chimiche tra cellule, hanno un bisogno imperioso - per costruirsi e funzionare - di metalli, di oligoelementi, ma soprattutto di lipidi. Questi ultimi sono forniti essenzialmente da due acidi grassi alimentari, gli acidi linoleico e alfa-linolenico. Senza lipidi la nostra alimentazione sarebbe grama, inefficace... mortale in ogni accezione del termine.
Ma se tutti i nutrimenti concorrono alla struttura e al funzionamento del cervello, taluni sono specificamente responsabili del sapore. È il caso per esempio dello zinco senza il quale saremmo privi di odorato, degli acidi grassi il cui squilibrio disturba la vista. Analogamente, senza zucchero non si ha energia, senza sale non si ha il sodio necessario per la trasmissione nervosa.
Un collegamento tuttavia da non sottovalutare. Come ci sono tipi diversi di percezione temporale, detta percezione ha un senso per l’animale (ma non un significato), mentre per l’umano ha sia un senso che un significato. Così lo sfamarsi ha un senso per l’animale, ma per l’umano l’alimentazione ha un senso e un significato.
La ricerca dedicata agli effetti dell’alimentazione sul cervello è ancora poco sviluppata, benché in piena espansione. Questo vuoto inquietante si spiega prima di tutto con l’incommensurabile complessità del tessuto nervoso, che ha forse scoraggiato più di uno spirito intraprendente e ha suscitato un timore reverenziale. D’altronde la «neurochimica» ha solo una trentina d’anni e ancora più recenti sono le «neuroscienze», che tentano di collegare tutte le discipline, dalla chimica alla socio-psicologia. Il neurologo, drammaticamente e ingiustamente impotente di fronte all’immensa maggioranza delle patologie, può solo attenuare le conseguenze di malattie delle quali ignora le cause e i meccanismi.
Il cervello stesso è stato oggetto di numerosi pregiudizi che hanno mortificato le buone volontà. Il sistema nervoso infatti è prioritario nella soddisfazione dei suoi bisogni.
Se gli manca un tipo di nutrimento esso lo accaparra a detrimento di altri tessuti col rischio di danneggiarli. Questo fenomeno costituisce certo un vantaggio selettivo: non serve a niente possedere un cervello debole, anche se il rene è simile a un potente depuratore e il cuore è tale da fare invidia alle pompe più efficienti. Poiché le carenze nutritive colpiscono prima di tutto gli altri organi, si è per lungo tempo ritenuto che le ricerche sul cervello potessero attendere, tanto più che l’attenzione dei ricercatori era distratta dalle difese del cervello contro le aggressioni esterne.
Comunque un abisso separa ancora, nelle nostre conoscenze, la struttura del cervello e le funzioni cognitive. Si sa che la denutrizione (diminuzione quantitativa di tutti gli alimenti) e la malnutrizione (riduzione specifica di taluni nutrimenti) impediscono lo sviluppo dell’intelligenza nel bambino. Ma tra le manifestazioni del pensiero e l’attività di un enzima si estende ancora un vuoto siderale meno scoraggiante che eccitante per il ricercatore.
La qualità della vita dipende dunque da un migliore adeguamento tra i bisogni del cervello e l’alimentazione. Comprendere meglio i primi, controllare meglio la seconda non può che permetterci di conservare più a lungo le funzioni intellettuali, se non intatte, quanto meno a livello sufficiente. Infatti a causa di un’alimentazione inadeguata, abbiamo tutti, più o meno, il cervello danneggiato. Eppure la rivoluzione medica moderna ha fatto di noi degli ottuagenari euforici e vivaci !