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Miti e realtà della Seconda Repubblica (Ediesse)

COME È FINITA LA SECONDA REPUBBLICA?

Un libro ricco di valide osservazioni
mercoledì 2 gennaio 2013 di Carlo Vallauri

Argomenti: Politica
Argomenti: A cura di Nicola Genga e Francesco Marchianò


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Sembrava di essere ancora nella “seconda repubblica” perché i suoi politici più “forti” sono stati sino ad ieri, con tutte le variabili connesse, rispettivamente Berlusconi (acclamato dal ’94 sul podio) e D’Alema (distintosi per le sue difficili scelte dalla “bicamerale” alla guerra al Kossovo e alle peripezie interne al suo stesso partito), quando ci siamo svegliati con l’arrivo di Monti. Ben vengano allora i primi studi sulla ormai ventennale esperienza (sembra questa la durata dei tempi che scandiscono i salti dall’una all’altra epoca della nostra storia). Oltre alle recenti ricerche di Colarizi e Giovagnoli, meritano di essere valutati i riscontri rilevabili attraverso i tradizionali incontri annuali di Cetona.

Ed a questi si riferisce in particolare il volume Miti e realtà della Seconda Repubblica (Ediesse). Il ”confronto italiano” è stata una occasione che per parecchi anni ha consentito (e qualche volta anche all’autore di questa nota) di raccogliersi nel verde della bella cittadina toscana per un incontro aperto e spassionato per discutere attorno a quella che già da tempo si presentava una sorta di “capezzale” del nostro paese, con la benevola assistenza di studiosi di varia provenienza geografica e politica.

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Nicola Genca

Nel volume ora pubblicato meritano attenzione alcuni approfondimenti avviati nell’introduzione dai due curatori Nicola Genga e Francesco Marchianò per intrattenere sullo svolgimento delle culture politiche da una Repubblica all’altra.

Ma ormai è in consunzione l’alternanza per effetto della sopravvenuta supplenza del presidente Napolitano nel tentativo di smuovere l’empasse nella quale i partiti si erano imbrigliati. L’operazione (discutibile) sul versante istituzionale, specie per il suo risvolto europeo, ormai segna un punto di non ritorno e ne intravediamo i crescenti esiti, positivi e negativi (a seconda delle opinioni).

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Francesco Marchianò

Michele Prospero analizza in particolare le radici del realismo che caratterizzò la prima repubblica e indica, nell’azione rispettiva di De Gasperi e Togliatti, i due fattori determinanti: si tenga presente che entrambi i politici – oltre il fondamentale dissenso che contraddistinse le posizioni dei rispettivi partiti – avvertivano di essere portatori di valori risalenti e derivanti da ben precise radici storico-culturali, legate da precise e definite concezioni ideologiche. Sono stati poi, al di là delle successive variazioni nella guida dei due grandi partiti, gli eventi degli anni ’70 a determinare lo spostamento mondiale delle forze finanziarie (auspice la famosa commissione trilaterale) a prova di quel ripiegamento su se stesso del capitalismo globale pur nella diversità delle differenti rappresentanze politiche.

E proprio in questo quadro si spiega anche la condotta politica di Berlinguer nella fase iniziale del processo di globalizzazione, anche se l’impossibilità di realizzare il compromesso storico indusse allora il PCI ad accettare una riduttiva versione dei suoi obiettivi, non riuscendo a portarli a compimento anche a causa del sopravvenire della modifica intervenuta con il crollo dell’89. Finì così il partito simbolo dell’opposizione al potere d.c. senza aver portato a fondo l’azione diretta a stabilire una nuova identità, radicata nella società italiana, costretta a subire infine la politica personalistica e trasformista di cui la stagione berlusconiana è stata la logica conclusione. Rilevata la mancanza di una linea politica chiaramente definita nel quadro di un “bi-leaderismo” asimmetrico, in un paese caratterizzato dalla compenetrazione tra pubblico e privato in economia, Prospero sottolinea il carattere neo-patrimonialistico della recente economia che ha alterato il rapporto tra i soggetti del mercato, conducendo, nella nostra esperienza, all’attuale prevalenza di una impostazione di leadership attraverso primarie che cambiano i termini del rapporto con gli elettori.

Valutazione, a nostro avviso, lucida su eventi derivati dalle variazioni intervenute nei ceti sociali italiani che hanno generato, tra l’altro, il “blocco sociale” di cui Berlusconi è stato tipico rappresentante, del tutto sprovvisto delle cognizioni tecniche necessarie per condurre avanti qualsiasi scelta politico-economica.

Un’altra analisi interessante è quella di Oreste Massari sui sistemi di partito nel loro svolgimento nella storia italiana, sottolineando il ritardo del PCI nel comprendere a pieno il ruolo”democratico” che poteva esercitare nella democrazia italiana, grazie – osserviamo – alla forza concreta esercitata con la organizzazione di massa. A loro volta ciascuno dei partiti della seconda repubblica è rimasto racchiuso nel suo particolare e l’alternanza non è stata in grado di garantire un’efficiente governabilità. Le stesse esperienze rispettive di D’Alema e di Prodi hanno rivelato i limiti di una politica frammentata mentre il nascente partito democratico di Veltroni si è rivelato una specie di amalgama di due tradizioni nettamente diversificate, e pertanto senza precisi obiettivi, nella nuova situazione europea, mescolando una D.C. in liquidazione con forze sociali più determinate a realizzare un obiettivo cambiamento delle strutture di potere.

Abbiamo qui citato i due giudizi più chiari evidenziati nel libro, e da entrambi emerge quella fragilità costruttiva che ha impedito agli oppositori di Berlusconi di batterlo sul campo. Di fronte a ciò non c’è altro da osservare che non sono state scelte vie più chiare, per definire le piattaforme da cui muovere per incedere nella congiunta realtà economica.

 

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