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Rubrica: COSTUME E SOCIETA’


LE MITOMANIE NEI LORO VARI SETTORI

martedì 27 agosto 2013
Argomenti: Parapsicologia

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Col termine mito non intendiamo l’oggetto di uno studio accademico, bensì qualcosa di molto più ampio, che può assumere la forma del mito classico.. In questa ottica, il mito è una sorta di idolo; a mio avviso scorre una stretta, sottile, ed automatica connessione fra i miti, le categorie mentali, le nevrosi, le metafore, le religioni e le ideologie, la cosiddetta saggezza popolare, e così via.

- Cambiano i fatti e le forme, le razze e le epoche, ma il meccanismo è sempre lo stesso; sono tutti modelli idolatrici, o idolatrie: modelli ai quali uniformarsi volontaristicamente, non sapendo in realtà perché è scattata quella specifica volontà uniformante. Nelle miriadi di esempi fattibili considerare “voglio fare il medico, l’impiegato etc.; voglio sposarmi, fare i soldi etc.; voglio comandare, stare in pace etc.”, ma (come vedremo) la situazione è molto più complessa.

- Considerare per intanto che ad una o più idolatrie, un individuo può uniformarsi anche non volontaristicamente, cioè subendo condizionamenti specifici. Considerare inoltre, che un individuo, o una collettività, possono costruire nuove idolatrie, o modificarne di passate. Ciò è tanto vero, che ogni epoca ha dei miti propri caratteristici.

- A mio parere, fare filosofia significa sostanzialmente soggiacere all’insieme di tutti i miti, e di qualsiasi mito che sorga. C’è infatti una filosofia per ogni blocco di miti, sia pro che contro lo stesso contenuto (come ad esempio una filosofia della combattività ed una della mansuetudine, e così via). Aldilà delle apparenze e dei riduttivi manuali, questa ambivalenza speculativa genera l’inesauribile disputa filosofica e sociale (che è poi una disputa fra blocchi di miti, ideali, convinzioni, predisposizioni congeniali, esigenze inconsce, induzioni collettive, ed attinenti).
Naturalmente, chi crede nel valore dei miti come depositari della saggezza umana, o chi crede in un blocco particolare di miti e idolatrie, negherà tutto quanto sopra detto, si rifiuterà di capirlo e non lo capirà, perché lo stesso autoblocco glielo impedisce.

- Esempio velocissimo. Se vado da un padre e gli dico: guarda che essere padre è una cosa che nella quotidianità…sì, gli affetti, la casa etc., però in sostanza non significa niente. Tale padre reagirà: eh no ! sei tu che sbagli, che hai una nevrosi; essere padre, madre, sorella etc. è una delle poche cose che nella vita sento. Cioè non lo vuole capire, e non lo può capire, perché sta in piedi con quello e non ha altro. Naturalmente, al posto di padre ci possiamo mettere l’artista o altro.

- In fondo è più rispettabile il mitomane che il mitologista; il primo infatti soggiace ad uno stato di debolezza mentale (che può avere molte cause), mentre il secondo è convinto di sapere e capire sempre più, ma tutto sommato in fondo non è che un ingenuo fideista.

- Sia ben chiaro che non intendiamo misconoscere la significatività profonda dei miti, e la raffinatezza procedurale della filosofia intesa anche in senso lato. Come l’arte, la scienza, la matematica, la logica, la tecnologia… anche mitologia e filosofia sono le espressioni umane fra le più qualificate: il problema è proprio questo. Il problema sta nel fatto che esse, viste come fine a se stesse, bloccano l’individuo nell’evoluzione della propria umanità di partenza.

- In questo senso, ci sono filosofie evolutive (cioè qualificanti, che possono introdurre ad una maggiore comprensione di se stessi e del cosmo), così come ci sono filosofie involutive (che millantano di fornire la spiegazione dell’essere umano ed universali).

- Appartengono al primo gruppo l’eraclitismo, la sofistica (Platone compreso), il razionalismo, l’idealismo etc. Appartengono al secondo gruppo le filosofie volontaristiche, fideiste, teologiche, riduzioniste etc. Naturalmente, in ogni filosofia si trovano tracce complementari.

- Nell’ottica che stiamo esponendo, ci siamo accorti di un singolare e significativo fenomeno, che non è stato focalizzato dagli esperti di mitologia. Nell’ambito di tale fenomeno emerge la seguente distinzione:

a – per brevità espositiva riassumiamo sotto il termine mito tutte le pulsioni invasive nell’essere umano, come sinteticamente esposto, tenendo sempre presente che quando diciamo mito, in realtà stiamo parlando di una serie sterminata di fattori coagenti.

b – per un verso abbiamo una spinta operativa sulla specie umana, spinta che chiameremo mitofilia, cioè propensione verso i miti più qualificanti, reintegrativi, ed evolutivi. Tali miti sono riscontrabili nell’esoterismo dell’antico Egitto, nella Kabhala, nel Buddhismo zen etc. Significativamente, tali miti hanno contenuti e caratteristiche di tipo emanazionista.

c – per altro verso, abbiamo una spinta operativa sulla specie umana, spinta che chiameremo mitomania, cioè propensione verso i miti più alienanti, teutologici e fideisti, involutivi. Tali miti sono riscontrabili nelle religioni ed ideologie di qualunque popolo, in qualunque epoca. Significativamente, tali miti hanno contenuti e caratteristiche di tipo creazionista.

I miti umani di fatto sono alla mercé del caos, della complessità, della irrisolvibilità, della inconoscibilità intrinseca, vedasi la Caologia, i frattali, il Teorema di incompletezza, il Principio di indeterminazione etc.

Tanto per dare loro una parvenza di ordine, li possiamo però suddividere in…

individuali
clanici e categoriali
collettivi e storico e sociali
induttivi sovraindividuali
Per divertirci faremo qualche sintetico esempio nello sterminato campo dei possibili.

Mitomanie generazionali:

a – durante l’infanzia: tensione a diventare adulti prima che si può, simulare di essere più grandi di quel che si è, rifiutare di crescere, imparare, maturare; simulare di essere più piccoli, incapaci, deboli.

b – in età adulta: le mitomanie sono sconfinate nella forma, ma nella sostanza sono riconducibili a quella di affermarsi a qualunque costo, oppure quella di rinunciare il più possibile, al massimo fare per gli altri ma non per sé.

c – divertenti sono i vecchi miti dei vecchi:

1 – lasciare le cose in ordine dopo la propria morte.
2 – lasciare un buon ricordo di sé, lasciare un’opera che tramandi il proprio nome ai posteri (vedasi l’angoscia di essere ricordati).
3 – recuperare giovanilità, divertirsi il più possibile, come se si fosse più giovani rispetto la propria età.
4 – riposare, non fare più niente, preoccuparsi solamente di continuare a vivere, e soprattutto resistere ad oltranza; idolatria del ciò che fa bene, della medicina preventiva, ed attinenti.
5 – criticare la storia, la società, la natura umana etc. Come scrisse Emily Dickinson «forse sarei più sola senza la mia solitudine».
6 – imparare quello che si è trascurato in gioventù “non è mai troppo tardi”.
7 – insegnare il “molto” che si sa.
8 – fare una morte eroica, significativa, onorevole, e similari.
9 – confidare nella bontà divina, “Lui” sa che in fondo sono una persona perbene, un essere umano buono, uno che ha sempre lavorato, uno che quando ha potuto ha fatto del bene etc. etc. ad libitum.

Mitomania deresponsabilizzante:

a - che gli dei mi proteggano (ti, lo, ci, vi, li), Dio vede e provvede, aiutati che Dio ti aiuta (cioè “fai quel poco che puoi, al resto provvede lui”), la divina provvidenza, e tutti i similari. Naturalmente esistono tutti i contrari: gli dei persecutori, i demoni malvagi e quelli possessori, le punizioni di Dio, la magia nera, e tutti i similari.

b – la fortuna mi assista (ti, lo, ci, vi, li); la persona fortunata, nata con la camicia, la fortuna sorride agli audaci, il famigerato “potere della mente”: tu pensa intensamente una cosa, e quella accade, basta il pensiero positivo, e tutto andrà bene.

c – il mito che qualcuno faccia ciò che devi al tuo posto (il fisioterapista, lo psicologo, il padre spirituale, il dischetto del programma nel computer, l’ispirazione gratuita, l’angelo custode, i santi etc.).

- Notare quanto segue. Emblematica è la figura del Messia; per i cristiani esso è “redentore”, cioè ha redento praticamente l’umanità (semplificando il concetto): per essi il Messia è esterno ad è venuto storicamente di fatto, come esposto nel cosiddetto Nuovo Testamento, realizzando ciò che nessun singolo individuo avrebbe potuto fare. Per gli ebrei religiosi il Messia storico non si sa quando arriverà, ma per gli ebrei kabhalisti non arriverà mai, perché il Messia non è un fatto esterno, bensì una realtà interiore. In altre parole, o l’individuo si redime dalla propria struttura umana, si salva da sé, diviene per così dire il messia di se stesso, oppure si perde.

d – il mito considerato alla lettera c presenta platealmente anche il proprio complementare, quello cioè di fare al posto di altri ciò che altri dovrebbero fare. Gli esempi sono altrettanto sterminati. Per citarne qualcuno: l’individuo Gesù, detto il redentore, i monaci e le monache di clausura, una maggioranza delle donne (madri, spose, etc.), una maggioranza degli eroi ed eroine, i lavoratori del volontariato, etc. Caratteristica di questo stuolo è che il mitomane, non solo fa quello che un altro dovrebbe fare… ma sa quello che un altro dovrebbe sapere ma non ci arriva, o non può arrivarci, e allora lui pazientemente, ripetutamente, glielo insegna.

Tanto per rallegrarci un po’, vediamo alcune specifiche sul post-morte:

a – il mito secondo il quale del post-morte si sa tutto, o comunque si sa ciò che serve di sapere (cioè, di esso si sa la realtà sostanziale, sia nel tormento che nella felicità, ovviamente in eterno). Tutte le religioni pontificano il proprio mito adatto ai propri credenti, talora riveduto e corretto in qualche dettaglio col passare dei secoli.

In questo settore collocherei quello che ritengo una vera e propria religione, cioè lo spiritismo (coi suoi rituali, sacerdoti, maestri, spiriti guida, dogmi, fideismo sostanzialmente ingenuo, moralismo banale etc.).

b – il mito secondo il quale del post-morte non si può sapere niente, come nell’Agnosticismo sistematico.

c - il mito secondo il quale del post-morte non si può sapere nulla, semplicemente perché non esiste, come emerge dal nichilismo e dal materialismo.

d – quello che chiamerei “il mito mite”, che ha in Platone il suo più eccelso rappresentante (argomento sul quale conto di tornare). Stando esclusivamente ai suoi scritti, Platone dice: ciò che sappiamo del post-morte ci viene dai miti. Implicitamente ciò significa che bisogna attendere il trapasso per sapere come e quanto i miti appresi da vivente fossero esatti. Se poi Platone segretamente avesse delle percezioni sul post-morte, sia sue che apprese da altri, questo non ce l’ha tramandato. Resta il fatto che il suo fiducioso ma prudente atteggiamento lo ritroviamo anche in persone poco o affatto colte, ma “benpensanti”. Nel contesto delle sue opere Platone comunque mostra e dimostra la sopravvivenza dell’anima.

e – stando ai 4 punti sopraddetti, sembra che non si possa sapere niente del post-morte, oppure si debba credere a delle favole, oppure, nel caso più qualificato, (quello di Platone), sia necessario stare nel post-morte per sapere sostanzialmente qual è la situazione. E invece no.

Esiste l’ipotesi che, a determinate condizioni interiori, il vivente possa percepire non tutto, ma parecchio del post-morte che lo attende, o comunque quanto sufficiente per prepararsi ad esso prima di accedervi, come abbiamo visto in altri contesti.



 



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