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Rubrica: COSTUME E SOCIETA’


QUEL CHE SOMMUOVE LE CONVENZIONI FAMILIARI nella commedia di Y. Reza

sabato 26 dicembre 2009
Argomenti: Teatro

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Uno spettacolo da non perdere all’Eliseo - 15 dicembre 2009 | 10 genanio 2010

Finalmente una commedia in grado di suscitare un “divertissement” sincero, proprio caratteristico di certe stagioni fortunate del teatro francese e inglese quando attraverso il gusto della risata si riusciva a fare critica di costume. Yamina Reza ha il merito di aver centrato in Il dio della carneficina l’ipocrisia serpeggiante nelle famiglie della media borghesia in un doppio versante. Da un lato la differenza tra il modo di trattare e intrattenersi con i propri interlocutori in modi apparentemente cortesi ma poco rispondenti ai rispettivi stati d’animo e pensieri mascherati in un perbenismo formalistico, dall’altro il contrasto tra le convenzioni rispettate e un fondo dell’animo invece egoistico, rivolto solo a salvaguardare i propri ristretti interessi momentanei.

Ebbene: in questo testo vengono fuori con estrema chiarezza e con lucidità di esposizione e di linguaggio entrambi quei difetti che non sono solo espressione di una intima chiusura mentale ma mezzi di difesa della società che vuol esplorarti sin nei sentimenti interiori e che allora tu tuteli, preferendo aderire alle buone maniere di facciata mentre dentro di te tutt’altre sollecitazioni prevalgono. Nel bel testo della Reza questa “doppiezza” esplode in maniera sfacciata con tutto il carico di vita quotidiana tra problemi non solo familiari da risolvere. Anche nel caso in questione proprio l’educazione familiare è al centro della disputa tra le due coppie protagoniste, rispettivamente i genitori di un ragazzo che ha subíto una aggressione da parte di un compagno e i genitori del responsabile dell’atto di violenza. Questi ultimi (impersonati sarcasticamente da Michela Cescon e Alessio Boni) tendono a sminuire al portata dell’evento verificatosi facendolo risalire alla naturale vivacità dei giovani mente l’altra coppia (nella indovinatissima resa di Anna Buonaiuto e del mirabile Silvio Orlando) preferisce sottolineare la gravità del fatto, da non poter passare come trascurabile errore.

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DIO DELLA CARNEFICINA

Nella dialettica dello scontro verbale vengono fuori tutti gli elementi negativi di ciascuno dei componenti del quartetto: il genitore avvocato di grido, abituato a gestire ogni incombenza (come si ascolta nel corso della quasi ininterrotta telefonata che egli fa, contemporaneamente all’incontro mostrando tutto il cinismo del suo abituale operato) con spregiudicatezza al limite della pericolosità sociale (si tratta di farmaci da far passare come salvavita mentre tali non sono), la sua consorte preda di una isteria perbenista, l’altra donna tutta protesa verso il buonismo solo apparentemente sbandierato mentre il marito si rivela un commerciante di ristrette vedute e di cattivi gusti.

Lo spettatore si trova perciò di fronte ad un quartetto che, trascinato da una ira eccessiva rispetto alla questione di cui si discute, mostra, oltre ogni limite, le proprie autentiche piccolezze, manie, tensioni nervose. Dall’insieme della messa in scena emerge quindi limpidamente – e con tratti di ormai rara ilarità – un dialogare brillante e vivace, specchio appunto di un costume figlio della superficialità di tanti nostri comportamenti sociali. C’è al fondo una violenza di cui involontariamente i genitori si fanno portatori nell’intento di cercare un accomodamento per il gesto di un attimo.

Abbiamo già detto quanto bene gli attori abbiamo retto lo spettacolo, al quale la regia accorta di Roberto Andò ha dato un ritmo di indovinata leggerezza tanto paradossale quanto pungente.

Carlo Vallauri



 



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