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Rubrica: COSTUME E SOCIETA’


IL VUOTO DI BECKETT FA RISALTARE I -GIORNI FELICI- all’Eliseo

lunedì 29 dicembre 2008
Argomenti: Teatro

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Samuel Beckett non ammette vie di mezzo. O lo comprendi, lo ami, entri nel suo gioco perverso e ti avvince oppure ne resti estraneo. Dipende in gran parte degli interpreti. Ora nel caso romano di Giorni felici all’Eliseo – ove già di recente lo avevano incontrato – la presenza di Anna Marchesini, in piena forma, consente di gustarne sapori ed umori, sino all’abbandono della mente per seguire i ritmi degli impulsi che le parole via via recitate danno allo spettatore.

Sono disperanti parole nel vuoto, quando la condizione umana del personaggio ha cominciato a disperdersi nella certezza di una esistenza senza protezione. E questo proprio vuol dire l’autore irlandese.

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Samuel Beckett
1906 - 1989

Non si tratta di uno dei suoi testi migliori, non ne ha la compiutezza del contenuto assurdo né il rigore dello stile, ma ha l’irriducibile senso di una vacuità, cioè uno stato al confine del comprensibile con la dura scorza di un destino esaurito. Ecco allora lo scambio di espressioni di Winnie, come inghiottita nella terra, con il suo interlocutore, ancora più sprofondati sino al termine del singolare dialogo, raggiungere il punto più alto quando ormai è chiaro che non c’è rimasto nulla di valido, alcuna certezza, alcuna speranza perché tutto è spersonificato in un tempo senza più tempo. Rimangono momenti di tensione poetica che fanno dimenticare quel buco nel quale è rinchiusa una donna per spingere a pensieri ultimi, oltre i quali però non si può andare. Non si sa allora se piangere per la disperazione senza scopo o se ridere per l’irritualità, l’irrealismo, la sconfinata solitudine di Winnie, verso la quale il pubblico non nasconde un sentimento di pietà perché ricorda a tutti che abbiamo visto i nostri giorni felici ma che altri non ve ne saranno più.

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Anna Marchesini

In questa desolazione il cantico di Beckett si è esaurito.

E Anna Marchesini ha retto il gioco sino allo sfinimento per distrarci con i suoi piccoli ricordi, con il suo ammiccamento che dalla situazione mostrata permette di elevarsi a pensieri altri.

Ben resa la scena desertica (di Carmelo Giammello) come tersi i costumi di Santuzza Calì. Il testo è stato tradotto da Carlo Fruttero con un sottile senso di ironia negli accostamenti lessicali.

Carlo Vallari

Teatro Eliseo – Roma 16 dicembre ‘08 | 18 gennaio ‘09



 



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