Con piacere ospitiamo questo articolo di Maria Elisabetta Gramolini
La guerra, l’eros, la ragion di Stato, il male. Senza dimenticare quel mostro, dagli occhi verdi, che nasce da se stesso e si nutre di sé. La gelosia. Quella divenuta proverbiale di Otello e l’altra dell’alfiere Iago, germogliata come un giunco malato, verso le fortune del generale. In quattrocento anni, il dramma di Shakespeare ha tormentato l’anima di coloro che si sono riconosciuti nel livore del Moro di Venezia, lacerato dal sospetto e poi dalle certezze, o ha liberato l’angoscia delle Desdemone, ignorate fino all’ultimo respiro.
Dal 28 ottobre fino al 16 novembre, i tormenti di “Otello” sono in scena sulle tavole del Teatro Quirino di Roma, grazie alla compagnia diretta da Sebastiano Lo Monaco. E’ proprio Lo Monaco a vestire i panni e i colori bruni dell’uomo innamorato e tradito; la sua interpretazione, in bravura, segue il crescendo della tragedia, nota per la particolarità della struttura e i cambiamenti di registro. Quasi scanzonato e ironico, euforico per il destino che gli ha regalato Desdemona, l’Otello di Lo Monaco, nei primi due atti, calza a
- Maria Rosaria Carli
- Nella parte di Emilia
pieno la baldanza, così come i momenti d’assolo, ben amplificati dagli effetti scenici, in cui i ricordi e la coscienza dello schiavo venduto tornano a galla. Qualche scena dopo, comincia il tormento. L’ambigua figura di Iago avvinghia il Moro come un’erba, urticante e rampicante. Delude, tuttavia, la scarsa luce proiettata su questo antagonista per antonomasia. Massimiliano Vado recita i versi di Iago ma non la sua anima torbida; lascia propagare nel vuoto della scenografia poche sillabe di persuasione e qualche incerta risalita.
- Marta Richeldi
- Nella parte di Desdemona
Leggiadra, ragazzina e poi donna colle spalle al muro è, invece, la Desdemona di Marta Richeldi, brava interprete del disorientamento cieco della moglie e delle follie della figlia ribelle. Nel coro d’attori, eccelle l’Emilia di Maria Rosaria Carli, attrice d’esperienza che ha saputo donare al personaggio dell’ancella protettrice di Desdemona il valore carismatico di colei che ama la verità e cede tutto per svelarla.
La regia proposta da Roberto Guicciardini (ancorata a un’ottima base, la traduzione di Masolino D’Amico del testo shakespeariano), ha saputo rendere impalpabile il viaggio da Venezia a Cipro, leggero il passaggio dalla guerra alla pace e sanguinante la mutazione dall’amore alla follia.
Efficace è la visione resa allo spettatore degli attori sul palco, da attribuire all’altro Guicciardini, Piero. In bilico, sulle tavole sbieche del Quirino, i personaggi consumano la loro esistenza, costantemente in dubbio, incerti di se stessi e degli altri, impauriti dalle numerose manifestazioni che la personalità degli uomini è capace di produrre. L’indagine sulla pluralità dell’io godrà una nutrita fortuna solo secoli dopo, eppure, Shakespeare ne descrisse la nuda fragilità nel ‘600, tramite le contraddizioni di Otello, amante assassino, o di Brabanzio, padre ferito e uomo politico.
- Massimiliano Vado
- Nella parte di Otello
Nella rappresentazione del Quirino, gli attori sono preoccupati di mantenere saldi i piedi per terra, così come i loro personaggi manifestano le loro difficoltà nel domare le increspature dell’io. L’effetto scaturito da questa combinazione scenica e testuale dona allo spettacolo la capacità di offrire al pubblico una chiave di lettura adeguata, degna dell’ultima interpretazione della tragedia elisabettiana.
Maria Elisabetta Gramolini