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Teatro a Roma – Novembre, dicembre 2009


lunedì 30 novembre 2009 di Carlo Vallauri

Argomenti: Teatro


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Al Quirino Il giuoco delle parti dal 10 al 29 Novembre 100000000000010700000053B6D7770B

PIRANDELLO SVELA “IL GIOCO DELE PARTI”

Mentre infuriava la guerra tra europei nella quale erano coinvolti con gli altri italiani, anche suo figlio Stefano (le cui lettere dalla prigionia sono state recentemente pubblicate), Luigi Pirandello scriveva e rappresentava alcune tra le sue commedie destinate a rovesciare l’ottica tradizionale dello spettatore rispetto al gioco in corso sulla scena, e proprio Il gioco delle parti, presentato al Quirino nella versione drammaturgica di Egisto Marcucci, per la regia di Elisabetta Courir, appartiene a quella stagione.

Il classico trio marito-moglie infedele-amante viene rinnovato attraverso la figura del primo che accetta di fatto, in un atteggiamento remissivo, l’azione e la presenza del terzo, sino a quando però quest’ultimo si rifiuta di difendere la dignità della donna offesa, quasi casualmente, da numerosi passanti occasionali. Perché allora il marito è fermo nel pretendere che l’amante non si ritiri dall’inevitabile duello con l’offensore, duello che – tra la sorpresa dei padrini e degli altri protagonisti della commedia – si conclude con l’inattesa morte dello sfortunato amante.

100000000000012000000168422C71ECEcco la vita è tutto un gioco – dice lo scrittore – se nessuno può sottrarsi al suo destino, alla parte che ciascuno ha scelto di recitare. Quindi un teatro nel teatro, come le belle scene (sin dalla prima) di Graziano Gregori tengono a sottolineare – insieme alla interpretazione – con accurate costruzioni. Inizialmente apparso come debole e compiacente ai guizzi estrosi della consorte – brillantemente raffigurata da una inquietante Maria Nella Bargilli, fredda ed altera nello svelamento delle rispettive personalità – il marito è vissuto da Geppy Gleijeses con un distacco da gran signore ma non tanto tonto da prestarsi ad assicurare la continuità di quella tresca ingenerosa. Un mondo chiuso negli egoismi non può non condurre al pagamento più pesante da parte di chi più si avvantaggiava di quella comoda posizione. In un’epoca furente di passioni, il grande drammaturgo preferisce portare in scena individui annichiliti dallo sradicamento delle passioni per cedere il posto al gioco delle convenzioni. Si comprende che un intellettuale puro come Gramsci – allora critico teatrale dell’ Avanti! – non abbia apprezzato il testo della commedia, perché la posta in gioco era troppo astratta per suscitare l’attenzione di un politico alla ricerca del momento dell’azione liberatoria. Eppure, a modo suo, questo Leone Gala, immaginario protagonista pirandelliano, ha scelto, con quel rifiuto al duello cui lo vogliono costringere, un atto liberatorio da un intrigo cui non poteva non sentirsi estraneo.

La triade Marcucci-Courir-Gleijeses, assecondato dalla Bargilli nonché dall’intricato Leandro Amato quale amante sfortunato, ha retto efficacemente la prova, offrendo al pubblico del Quirino (rinnovato nella struttura esterna) uno spettacolo di alto spessore.

Carlo Vallauri

All’Eliseo Polvere di Bagdad 16 / 19 novembre 2009 10000000000000C8000000A3BAE6E7FC

UNA DELLE MILLE NOTTI DI BAGDAD MARTORIATA MA VIVA NELLA POESIA

10000000000000DB0000017FBBB41B36Maurizio Scaparro conosce a fondo i colori luminescenti del Mediterraneo, nelle sue molteplici espressioni dalla Spagna angosciosa all’Oriente inquieto e con Polvere di Bagdad ha voluto rendere omaggio alla popolazione di una terra insanguinata, costretta a sopportare ancora una volta le vicende dei cosiddetti Grandi della Terra. E il grande regista ha voluto rendersi interprete del dolore di quella gente, tramandare tuttavia non i momenti della disperazione quanto quelli della speranza, che musica, danza e poesia possono offrire al senso di una dignità martoriata nel furore di una guerra imposta dall’esterno. Di fronte agli occupanti la reazione è rimessa alle capacità creativa di ogni essere umano di agire secondo motivazioni radicate ed esprimibili attraverso la commistione di canti e balli che rivendicano la libertà d’esprimersi con i sentimenti in contrasto con la violenza della forza bruta delle armi.

Ben ha fatto perciò il maestro, a trarre dalle storie del marinaio Sinbad quella narrazione delle Mille ed una notte che costituiscono una tradizione rappresentativa di alto spessore umano ed artistico.

Al successo dell’opera contribuiscono i brani del porta libanese Adonis, le danze della vivace prima ballerina dell’Opera di Parigi Eleonora Abbagnano arricchite dalla coreografia di Adriana Borriello – nonché l’interpretazione del sempre sicuro Massimo Ranieri, un complesso che ha affidato alle parole e alle movenze spettacolari il senso fiabesco di una città orientale con le sue miserie ed i suoi intatti splendori in una autentica sfida per confermare quell’afflato di fiducia nella speranze che vede ancora una volta Scaparro saper rendere dal suo lavoro un tenero filo della memoria richiamandosi alla vita e alla crescita di una città terribilmente piegata dalla durezza della lotta dei grandi poteri. La poesie e la musica contro la violenza e l’odio. Ecco ragione e senso di questo spettacolo nella scena all’Eliseo.

Carlo Vallauri

La Tempesta 24 novembre | 13 dicembre 2009

IL LABIRINTO DI PROSPERO INTRECCIA ANCHE NOI: Teatro e pubblico si confrontano

Il labirinto nel quale si svolge La Tempesta di Shakespeare intreccia anche noi: questo sembra il segnale del regista Andrea De Rosa che ha adottato il testo e diretto lo spettacolo del teatro stabile di Napoli all’Eliseo.

Lo spodestato duca di Milano Prospero si è salvato dalla congiura ordita contro di lui trovando in un isola il luogo propizio per esercitare un nuovo potere, quello della magia attraverso cui sottomettere il mostruoso Calibano, crescere sua figlia Miranda e farsi aiutare dallo spirito dell’aria, Ariel, intrappolato in un albero da una strega e divenuto esecutore degli ordini del suo padrone. E così la tempesta scatenata per vendicarsi dei suoi rivali gli consentirà di ritrovarseli di fronte, questa volta piegati al destino che egli, Prospero, stabilirà.

E sarà Ferdinando, il figlio di chi ha usurpato il trono, a venire condotto di fronte a Miranda, di cui s’innamora. Così tra vicende varie di timori e sospetti e, servendosi sempre dello spirito di Ariel, riuscirà ad ottenere il pentimento dei suoi nemici, a consentire il matrimonio tra i due giovani spasimanti, è disposto a rinunciare alle sue arti magiche, liberando lo spirito amico e riprendendo la marcia per tornare nella terra d’Italia, ove egli potrà riprendere il suo ducato e cogliere l’occasione del matrimonio della figlia per festeggiare la generale riconciliazione.

Se questa è la trama del dramma che intreccia il problema del potere con quello delle ingiuste usurpazioni che in quel passaggio dal Cinquecento al Seicento intriga mezza Europa, lo spettatore di oggi percepisce con difficoltà le ragioni dei contendenti, ma intuisce che la violenza difficilmente si fa vincere dalle arti magiche, e ciascuno deve lavorare per se e per i suoi, proprio come fa un Prospero, restaurato duca d’una qualunque città. Significati reconditi, messaggi metaforici si mescolano in una storia d’incantesimi e di lotte per la vita e per la morte.

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La tempesta

La regia lascia scorrere gli eventi e cerca di tenere i fili, come lo spettatore sbigottito, e nel caso dello spazio scenico allestito per l’occasione, mira a mostrare il potere mediatico di Prospero, il quale osserva che la sostanza d’ogni uomo è composta dalla stessa natura di cui sono fatti i sogni e quindi bene e male, speranza e realtà si uniscono nell’incertezza e nell’imperscrutabile, mentre la forza dell’amore ha congiunto i due giovani, pronti con la parola, mentre si abbracciano, a librarsi nella poesia, espressione di ciò che è più profondo nell’animo.

Un miraggio, un sogno, una vendetta, la rivincita: Prospero è il vincente perché ha saputo aspettare, riunisce ciò che andava unito, è l’illusione dell’arte qui a far dimenticare le tante tristezze della esistenza umana. Un sogno ancora, certamente, quello dell’artista creatore, tutti i tentativi vanno esperiti, e questa volta Shakespeare vuol lasciare allo spettatore la sensazione che tutto si ricostruisce, e le apparizioni orripilanti di Calibano si sono dissipate. Eppure l’uomo sa che neppure la magia può salvarlo, il poeta invita a sperare. Non sappiamo quale lezione abbia saputo trarne il pubblico plaudente dell’Eliseo. L’importante è saper trovare una via d’uscita, che pure è sfuggente, come le parole soavi del poeta. Un messaggio inquietante, e non rassicurante; malgrado l’impegno che Umberto Orsini e i suoi valenti collaboratori hanno dispiegato con sapiente complicità nella estranea indifferenza degli spettatori che di naufraghi – reali e immaginari – sono ormai esperti conoscitori.

Carlo Vallauri

 

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