Nella traiettoria del teatro di Del Bono La menzogna, rappresentata all’Argentina, costituisce un’altra pagina rivolta alla ricerca delle cause dalle quali derivano violenze, abusi, falsità di una società incapace di trarre dalle ricchezze che produce un minimo di rapporti solidali. Egli pone allora l’attenzione sulle condizioni reali delle persone sofferenti, degli esclusi, delle vittime di tragedie provocate dall’incuria, dalla superficialità.
E questa volta sono al centro del suo spettacolo gli operai morti nella fabbrica torinese della Tyssen–Krupp lo scorso anno, a riprova della distanza tra le esigenze di vita di quei lavoratori ed il comportamento delle imprese scarsamente attente alle necessità elementari per la sicurezza dei dipendenti. Una tragedia che ha scosso tante coscienze, e un artista come Del Bono ha sentito doveroso dedicare, al di là d’ogni pietismo, questa creazione a quegli uomini bruciati in una sorta di abbandono fatale.
La costruzione scenica evoca negli approntamenti tecnici, nelle strutture il ferro del materiale utilizzato ed il fuoco emanante dagli strumenti per la lavorazione quotidiana. In quell’inferno gli operai hanno trovato la morte, espressa in movimenti di danza scandita dai gesti quotidiani che quel giorno fatale preparavano una fine inattesa certamente ma che, nella mente dell’autore, è invece il frutto dei tanti errori di un sistema di produzione incurante delle vere e primarie necessità di vita. La menzogna alla quale allude il titolo è allora l’archetipo ideologico dal quale discendono le conseguenze ingiuste, pagate a prezzo dell’incendio di quei corpi. Ma sulla scena gli eventi richiamati non offrono quella incisività indispensabile a dare vigore all’idea creativa.
I corpi sono in effetti i veri protagonisti di questa opera drammatica, tanto è vero che presto vediamo, dopo le sembianze degli operai destinati alla tragica vita, i corpi di donne, massacrate da una cultura di violenza, lo sfruttamento della femminilità. Altre persone escluse, colpite. E Del Bono, per denunciare con forza siffatti abusi a danno degli esseri umani, evoca letterariamente brani onirici, dai quali traspare la continuità irriducibile appunto delle menzogne che mascherano la realtà e, pertanto egli tiene a dichiarare il proprio sentimento di insopportabilità di fronte a simili fenomeni. Il dolore così domina ininterrottamente la scena e allo spettatore non resta che prenderne atto.
Resta da chiedersi sino a quale punto le immagini anonime, non sorrette da una autenticità di comportamenti individuabili, siano in grado di manifestare compiutamente gli intendimenti di un autore che già in altri testi ha rivelato la sua qualità di scrutatore degli inconsci che vivono nella mente di tante persone. L’impressione di un eccesso di astrazione in quelle immagini oniriche – così definite nello stesso programma di sala – rischia di disperdere i contenuti vivi della creazione spettacolare, alla quale lo stesso ideatore del testo ha cercato di dare forza mediante una regia stringente.
La recitazione degli attori è stata rigorosa nei gesti – punti determinanti della rappresentazione – secondo il pensiero dell’autore, e su questo piano il susseguirsi delle scene attrae lo spettatore, colpito però più dalla provocazione surreale che non dalla riconoscibilità del significato dei singoli atti. L’impegno creativo dispiegato è confortato dalla esecuzione degli eventi teatrali che vogliono offrire una suggestione visiva, anche se resta più il senso di fredda constatazione di un accadimento orribile che non lo svelamento di quella menzogna alla quale tutti non possiamo non opporci.