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Islam e libertà (Einaudi, Torino, 2008)

LA CONVIVENZA IN EUROPA TRA CRISTIANI E ISLAMICI


domenica 1 febbraio 2009 di Carlo Vallauri

Argomenti: Mondo
Argomenti: Religione
Argomenti: Storia
Argomenti: Tariq Ramadan


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Contro la visione monistica del mondo musulmano una lancia appuntita ha lanciato Tariq Ramadan in Islam e libertà (Einaudi, Torino, 2008).

L’interesse dello studioso arabo dell’Università di Oxford si è soffermato su alcuni punti che meritano di essere ripresi. Innanzitutto le interpretazioni differenti della religione per quanto concerne l’applicazione delle norme derivate dal Corano, ma particolarmente nel campo del costume, con la demistificazione di quelle letture chiuse che predispongono all’ “indisponibilità all’ascolto”. Un rischio presente su entrambi i fronti. Si ritiene generalmente che il “credente” islamico sia un praticante intransigente senza tener conto invece degli spazi di autonomia che si riscontrano in quel mondo apparentemente tanto coeso.

In secondo luogo l’attenzione per i processi di secolarizzazione, ai quali – fa notare l’autore – hanno spesso contribuito i dittatori (da Ataturk a Burghiba, allo stesso Saddam). Tra l’altro questo legame ha rafforzato l’idea di una incomunicabilità tra islamismo e democrazia.

In terzo luogo Ramadan ha posto le sue considerazioni, dallo specifico punto di osservazione da cui muove, nel senso che il suo inserimento nella cultura britannica gli consente di sottolineare come queste prospettive coabitative di costume siano un forte stimolo a ritenere la possibilità di un pluralismo militante in grado di superare i luoghi comuni ancora correnti e che non tengono conto della multiframmentarietà della civiltà europea, con la quale si confronta una analoga multiframmentarietà dall’altra parte.

Il dramma del magrebino nei paesi del Nord Mediterraneo va quindi ricondotto verso gli approcci nascenti dalla presenta di tanti musulmani in Europa, i quali naturalmente hanno vissuto e vivono una esperienza del tutto differente da quella dei loro corregionali che in Africa o in Asia hanno salvaguardato le loro abitudini, le loro storie di “vita”. In Europa essi invece sono a confronto con le diverse culture occidentali. Occorre allora attenersi alle leggi di paesi che hanno altre tradizioni. D’altronde basta scorgere le differenze tra immigrati di prima, seconda e terza generazione per riscontrare le diverse reattività.

I circoli “sufi” sono citati perché, pur presenti quali guardiani rigorosi della sostanza spirituale del messaggio di Maometto, non sempre presentano caratteri così rigorosi come si sostiene da alcune parti: essi non possono non rivendicare la loro autonomia nei confronti delle autorità ma non intendono essere strumentalizzati. Quando i cittadini di paesi europei professano la confessione mussulmana essi, a livello individuale, cominciano a partecipare con intensità ad un processo graduale di “istituzionalizzazione” che apre alla loro specifica presenza una particolare condizione, come si avverte ad es. nei paesi più aperti dell’Europa del Nord (Gran Bretagna, Olanda, Scandinavia), dove scuole private islamiche acquistano un loro ruolo autonomo che consente poi di svolgere attività sociali attraverso un rapporto di tipo nuovo con le comunità.

La “Shari” - precisa Ramadan – non è un sistema, né un corpo di leggi islamiche chiuso ma la “via della fedeltà agli obiettivi dell’Islam”: dignità della vita, eguaglianza, rispetto della natura. Vivere con una maggioranza di differente fede non preclude la comune cooperazione. L’autore ritiene necessaria un’opera di unificazione in tal senso per lottare contro le “tentazioni vittimistiche” in seno alle comunità nelle quali prevale la tendenza a riaffermare con durezza le proprie origini religiose. Si tratta di osservare diritti e doveri, come tutti gli altri. Naturalmente il punto dolente resta la questione femminile, dalla mutilazione dei genitali alla identità da conseguire. È vero però che gli stessi imam vengono oggi formati anche a livello occidentale. Ne derivano percorsi di culturalizzazione che rischiano però – per contrasto – di creare larghi spazi di “terra di mezzo”. Gli esempi riportati nel libro riguardano in particolare la Francia.

Nelle ultime pagine del libro viene richiamato il discorso di Papa Ratzinger a Ratisbona: è nota, l’idea di Benedetto XVI circa un Islam estraneo al razionalismo filosofico dell’identità greco-europea. Ad avviso di Ramadan si tratta di un messaggio “legittimo” ma “pericoloso” e pertanto egli nota come l’ “approccio riduttivo” del papa rischia di creare uno “spauracchio” del pluralismo culturale che costituisce una fonte di condanna ingiustificata. La “fiducia” è l’espressione indicata per una comunicazione creativa che contrasti le tendenze prive di senso critico. Tra l’altro si sottolinea l’ipocrisia degli Stati arabi, che sono stati i primi ad abbandonare i palestinesi al loro destino: una finale osservazione di Ramadan da non sottovalutare.

 

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