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Rubrica: CULTURA


Nel segno di {Quo vadis}?, L’erma di Bretschneider, 2017

L’ARTE ISPIRATA AL QUO VADIS

La Roma neroniana ha ispirato non solo il grande scrittore Sienkiewicz, autore del {Quo vadis?}, ma anche diversi artisti polacchi, tra cui Siemiradzki, Styka e Smuglewicz, che predilessero i soggetti di ambientazione romana.
giovedì 1 febbraio 2018 di Nica Fiori

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Jerzy Miziołek


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Ritratto di Sienkiewicz

ll romanzo Quo vadis?, che ha fatto vincere al suo autore Henryk Sienkiewicz (1846-1916) il premio Nobel per la letteratura nel 1905, è indubbiamente un’opera che ha lasciato il segno, proprio come, secondo una leggenda, Cristo avrebbe lasciato il segno, ovvero le sue impronte, sul selciato della via Appia antica, dove San Pietro lo avrebbe incontrato poco prima di essere crocifisso nel corso della persecuzione dei cristiani sotto l’imperatore Nerone. Il libro del polacco Jerzy Miziołek “Nel segno di Quo vadis?” trae spunto dal romanzo di Sienkiewicz per tracciare un itinerario letterario, storico e artistico della Roma neroniana, come evidenziato nel sottotitolo “Roma ai tempi di Nerone e dei primi martiri nelle opere di Sienkiewicz, Siemiradzki, Styka e Smuglewicz”.

Il volume, edito nel 2017 da “L’Erma di Bretschneider” (270 pp.), è di grande interesse sia per i testi che ci fanno scoprire il rapporto di amore di molti polacchi per la storia romana, sia per il ricco apparato iconografico, che mette in relazione il romanzo con le arti figurative della stessa epoca e con il cinema del Novecento. Già a partire dalla copertina, un dipinto di Henryk Siemiradzki ci introduce alla conoscenza della Roma neroniana con una scena, degna del notissimo Alma Tadema per il suo alone di sensualità, raffigurante “La Dirce cristiana”, che fa pensare alla protagonista del romanzo Quo vadis?, che viene attaccata a un toro, come la Dirce della mitologia greca, per subire il martirio, ma viene salvata dal suo fedele servitore Ursus.

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Siemiradzki, La Dirce cristiana, part.

Pur inserita in un romanzo storico, l’eroina del Quo vadis? è un personaggio di fantasia, il cui nome, Licia, è una traslitterazione di Ligia, ossia del paese dei Ligi, corrispondente alla Polonia. Un modo per accomunare l’autore polacco alla sua “seconda patria”, ovvero l’Italia, e Roma in particolare, che visitò attentamente a partire dal 1879 sotto la guida del pittore Siemiradzki, che lo condusse pure nella chiesetta del Domine Quo Vadis, sull’Appia antica, dove Sienkiewicz ebbe la prima intuizione di come doveva svolgersi il romanzo sui primi martiri cristiani, ispirato soprattutto dalla lettura degli Annales di Tacito. Anche il personaggio maschile del romanzo, Marco Vinicio, è di fantasia, mentre sono pienamente storici i personaggi di San Pietro e di San Paolo e i romani Petronio, Tigellino, Poppea e Nerone.

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Chiesa del Domine quo vadis

Un despota capriccioso, sanguinario, egocentrico, ma sottilmente affascinante è l’immagine che gli autori latini ci hanno tramandato di Nerone, l’imperatore amato dalla plebe e inviso all’aristocrazia, che dopo la sua morte, a dispetto della damnatio memoriae voluta dal Senato e dagli imperatori della dinastia Flavia, ha continuato ad avere una grandissima popolarità, sia pure negativa, avendo legato il suo nome alla prima persecuzione contro i cristiani, in seguito al grande incendio del 64 d.C. In realtà, la sua è una figura molto sfaccettata, le cui luci ed ombre sono state riviste e a volte rivalutate dalla moderna storiografia, mentre Sienkiewicz e dopo di lui molti film ispirati al suo romanzo ne hanno fatto un personaggio crudele e ridicolmente eccessivo nella sua pretesa di essere un novello Omero.

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Locandina del film di LeRoy

Forse il personaggio più riuscito del capolavoro di Sienkiewicz è il colto Petronio, l’arbiter elegantiarum, il cui quadro psicologico è delineato in modo realistico e profondo, con tutte le contraddizioni legate al suo essere epicureo e scettico allo stesso tempo. Il romanzo descrive splendidamente il contrasto tra il paganesimo raffinato e decadente dell’epoca e l’umiltà del cristianesimo nascente, tra l’egoismo e l’amore, tra l’aurea luce dei palazzi imperiali e il mondo sotterraneo delle catacombe. Indimenticabili sono le descrizioni epiche dell’incendio di Roma e del martirio di molti cristiani e soprattutto quell’incontro dell’apostolo Pietro con Cristo, quando “gli sembrò che il disco dorato del sole invece di salire nel cielo scivolasse giù dalle colline e avanzasse rotolando per la strada… e il chiarore si diffondeva sempre più sulla pianura… il suo sguardo rimase fisso, la sua bocca restò aperta e nel volto si dipinse stupore, gioia ed estasi… fu un lungo silenzio che poi fu interrotto dalle parole del vecchio… Quo vadis, Domine?”.

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Siemiradzki, La Dirce cristiana, part. con Nerone

Se non fosse per il romanzo, pubblicato per la prima volta in polacco nel 1896 e tradotto poi in ben 57 lingue, evocato anche da papa Giovanni Paolo II nell’omelia di apertura del suo pontificato il 22 ottobre 1978, l’episodio, narrato negli Acta Petri e ripetuto nella Legenda aurea di Jacopo da Varagine, non sarebbe diventato così famoso, anche se nel luogo del leggendario incontro sorse tra l’VIII e il X secolo una chiesetta, rifatta nel Seicento, che conserva una copia delle impronte dei piedi di Cristo (l’originale è nella chiesa di San Sebastiano): impronte che gli archeologi ritengono siano in realtà degli ex voto per il dio Rediculus (il dio del ritorno), che aveva un suo culto sulla via Appia.

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Styka, Nerone a Baia

Jerzy Miziołek, professore ordinario nell’università di Varsavia, ci parla della genesi del romanzo Quo vadis? e del suo contenuto, evidenziandone il legame con i dipinti di Siemiradzki, in particolare con il già citato “La Dirce cristiana” (1897, Varsavia Museo Nazionale), che mostra sulla sinistra Nerone, mentre osserva una fanciulla nuda, svenuta e ancora legata a un toro atterrato nell’arena, davanti a inservienti neri con copricapi egiziani. Qualcuno ha ipotizzato che il dipinto non sia stato ispirato dal romanzo, ma che, al contrario, l’idea del supplizio di Licia sia venuta a Sienkiewicz dalla visione di questo quadro, anche se egli possedeva una riproduzione del gruppo scultoreo di Dirce, acquistata nel museo archeologico di Napoli, che pure potrebbe averlo ispirato.

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Siemiradzki. Le torce di Nerone, particolare

Sicuramente il dipinto “Le torce di Nerone” (1879, Cracovia, Museo Sukiennice), sempre di Siemiradzki, deve aver ispirato Sienkiewicz per le scene di martirio nel circo, cui assiste l’imperatore con la sua corte. Grazie alla sua conoscenza dell’arte antica, questo pittore propone una visione affascinante dell’epoca dei primi cristiani, anche se stilisticamente un po’ eclettica, in quanto mette insieme elementi di epoca neroniana, come pure altri di epoca più tarda (vi sono citazioni dei rilievi dell’arco di Costantino e un’architettura che somiglia al futuro Vittoriano). Per ricreare il clima di sfarzo dell’età neroniana, il pittore si avvalse di numerose suppellettili rinvenute a Pompei ed Ercolano e di una lettiga della collezione di Augusto Castellani, esposta all’epoca nei Musei Capitolini. Del resto anche Sienkiewicz si avvalse della sua conoscenza delle città vesuviane per ricreare l’atmosfera delle case romane, in particolare quelle di Petronio e di Aulo Plauzio.

“Le future vittime del Colosseo” (1899, Varsavia, Seminario vescovile) è un altro olio di grande dimensione dello stesso pittore, dove è raffigurato un gruppo di persone che ascoltano un vecchio, forse un successore di Pietro, con in mano un rotolo del vangelo di San Giovanni, mentre sullo sfondo si intravede l’Anfiteatro Flavio e il perduto Colosso di Nerone, raffigurato come dio del Sole, che avrebbe dato il nome al Colosseo. Oggi Siemiradzki (1843-1902) è un pittore quasi dimenticato in Italia, eppure durante il suo soggiorno romano era molto apprezzato e la sua villa di via Gaeta (ora scomparsa) era un punto di riferimento per molti aristocratici, scrittori e artisti, tanto da essere citata nella guida Baedeker come un posto di primaria importanza di Roma.

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Siemiradzki, Le future vittime del Colosseo

Alla morte di Siemiradzki, un altro pittore polacco, Jan Styka, continuò a raffigurare soggetti ispirati sempre al primo cristianesimo, fino alla sua morte avvenuta a Capri nel 1925. Anche in questo caso si tratta di un pittore ormai quasi dimenticato, ma il suo dipinto ”Nerone a Baia” (1900, collezione privata) non si dimentica facilmente, perché ritrae l’imperatore con un’emblematica tigre, sullo sfondo di un paesaggio inquietante dominato dal Vesuvio.

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Smuglewicz, Veduta delle Terme di Tito (di Traiano) e della Domus Aurea

L’altro pittore citato nel sottotitolo, Francesco Smuglewicz, è più antico ed è autore di soggetti romani: in particolare ha raffigurato in un bell’acquerello la “Veduta dell’esedra delle Terme di Tito (in realtà di Traiano) e l’entrata delle stanze sotterranee della Domus Aurea” (1776, Varsavia, Museo Nazionale). In collaborazione con Marco Carlone e Vincenzo Brenna, ha realizzato un volume con le incisioni delle pitture della Domus Aurea, dopo aver ricopiato a matita gli originali in condizioni davvero improbe.

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Anche l’austriaco Franz Rösler (1864-1941), da non confondere con il nostro Ettore Roesler Franz, è ampiamente documentato nel volume con una serie di cartoline ispirate al romanzo Quo vadis? e conservate nel museo dedicato a Sienkiewicz a Oblęgorek, tra le quali voglio ricordare in particolare “Licia disegna il pesce”, perché fa riferimento a uno dei simboli del primo cristianesimo, che tanta curiosità suscita in Vinicio per il suo significato nascosto ai profani.

Il saggio prende in considerazione con tanto di numeri le varie edizioni del libro e la filmografia relativa. Celeberrimo è stato il film, diretto da Mervyn LeRoy, con Deborah Kerr e Robert Taylor come protagonisti e Peter Ustinov nel ruolo di Nerone. Sono tutti film che, pur dando di Nerone un’immagine non sempre veritiera, hanno contribuito ad accrescere il suo mito. Attori come Ettore Petrolini, Alberto Sordi, Klaus Maria Brandauer, oltre al già citato Peter Ustinov, tingono di tetra ironia il ritratto del despota incendiario che si è via via trasformato in un vero divo cinematografico.

Il volume termina con l’interessante postfazione di Luigi Marinelli, della Sapienza Università di Roma, che ci fa conoscere alcune curiosità sul tema, tra cui la composizione in dialetto romanesco “Quo vadise?” (1900), di Giggi Pizzirani, e la pubblicità della Magnesia San Pellegrino con disegni ispirati allo stesso bestseller.