Enrico Bernard, dopo aver presentato in Bing Bang l’implosione psicologica nelle sedi centrali del capitalismo, mette di fronte in Holy Money (teatro dell’Orologio) un capitalista in carne ed ossa e una giovane ribelle che minaccia di ucciderlo in nome di principi negatori della ricchezza accumulata attraverso lo sfruttamento del lavoro altrui.
L’uomo è ormai un vecchietto che vive isolato, attento ai suoi piccoli problemi della vita quotidiana (il cibo, il riposo), mentre di ora in ora si accrescono i suoi profitti. La donna si presenta come se proponesse ulteriori investimenti e, all’improvviso, tira fuori la pistola. Il suo interlocutore è sorpreso dalla minaccia, ma non tanto da rinunciare ad esporre le sue “ragioni” legate a tradizioni e concezioni economiche. Ne viene fuori non un delitto, ma un confronto di argomentazioni, che sfocerà nel trionfo dei sentimenti rispetto all’ideologia tanto sbandierata.
Il testo serrato e coinciso apre a frequenti colpi di scena, e rinnova quella inesauribile contrapposizione che accompagna la stessa storia degli esseri umani, cogliendo aspetti di grande attualità politica e quindi tenendo vivo l’interesse dello spettatori sino ad un epilogo non previsto, una - se andiamo al fondo - non sorprendente, giacché l’intenzione dell’autore è di “fare teatro” non progettazioni sociali.
Ottimo lo spettacolo, diretto da Sebastiano Tringali che è anche l’efficace interprete assieme alla convincente Licinia Lentini, entrambi in gran forma nel rendere i rispettivi personaggi, lui sornione e suadente, lei prestante nell’impersonificare una volontà di rottura. Scene e costumi di Riccardo Perrino.