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I GEMELLI VENEZIANI ACCENDONO IL PUBBLICO LAUDENTE DEL "QUIRINO"


mercoledì 25 febbraio 2009 di Carlo Vallauri

Argomenti: Teatro


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Tra le opere di Goldoni I due gemelli veneziani s’impone per la gamma di persone, maschere, sensibilità coinvolte nel presentare una vicenda appunto di gemelli che si ricollega a tradizioni di commedie d’altri tempi.

Così adesso Massimo Dapporto, nel rappresentare al Quirino un testo tanto ricco e intricato di scandali, emozioni, sorprese, equivoci e scoperte, ha avuto modo di esprimere al meglio le qualità sue personali nel doppio ruolo di Zanetto e Tonino: una comicità apparentemente non graffiante ma sempre tesa a rivelare caratteri, aspirazioni, incertezze, sentimenti snocciolati con semplicità classica. Fraintendimenti, confusione di parti, innamoramenti s’intrecciano in un susseguirsi di pessimismi e giochi che deliziano il pubblico.

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Al successo dello spettacolo Antonio Calenda ha dato un essenziale slancio con la misura esemplare dei tempi, in un gioco costante di sorprese e ripicche. Altrettanto valido il contributo degli altri interpreti, tutti da elogiare per la prestanza vivace offerta, da Alessandra Raichi (Rosamunda) a Giovanna Centamore (Colombina)), da Osvaldo Ruggeri (Balanzone) a Francesco Gusmitto (Brighella). L’atmosfera fluida e leggera arricchisce la serata in una scorrevole limpidità di accenti, pause, accensioni che il pubblico ha mostrato di gradire particolarmente.

ALTRI SPETTACOLI DI FEBBRAIO SEGNALATI A ROMA

Alla Sala Umberto Nicola Pistoia (anche regista), Paolo Triestino e Crescenza Guarnieri hanno rappresentato lo spettacolo di Gianni Clementi Gesù, Giuseppe e Maria che offre un panorama di una Italia speranzosa di riscatto nel periodo del dopoguerra. Un dialogo brillante che consente allo spettatore di entrare in una sagrestia di Pozzuoli che riproduce in macrocosmo il clima di quei tempi, dando di essi una visione realistica, bizzarra e gustosa, lontana da stereotipi, descrivendo gli umori, i toni e lo stile musicale di quell’epoca non allegra ma neppure melalconico. La commedia ci restituisce la tempra di un tempo velato da una sensibilità amara ma vissuta con passione.

Al Teatro Manzoni un Neil Simon dei tempi d’oro, riproposto con garbo ed ironia da Gianfranco D’Angelo e Ivana Monti (un duetto già collaudato come abbiamo scritto la scorsa stagione per uno spettacolo nello stesso teatro): «Un giardino di aranci fatti in casa». È il grande sceneggiatore di Hollywood che dopo tanti anni vede arrivare in casa l’inaspettata figlia, a suo tempo abbandonata. Sarà la donna che adesso condivide con lui le sue faticose giornate (una Ivana sempre in gran forma) a chiarire come vanno rese convergenti le sensibilità così diversa dal padre e dalla figlia, resa questa con proprietà da Simona D’Angelo: il sangue non mente né nella finzione né sulla scena. Spettacolo gradevole accolto in grande successo dal pubblico numeroso.

CARLO VALLAURI

 

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