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Teatro a Roma: IL DIVO GARRY al QUIRINO e IL GABBIANO all’ELISEO


venerdì 19 dicembre 2008 di Carlo Vallauri

Argomenti: Teatro


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TORNA NOËL COWARD CON "IL DIVO GARRY"

Al Quirino

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Il Divo Garry
9 dicembre 4 gennaio 2009
La Contrada Teatro Stabile di Trieste: Gianfranco Jannuzzo
con Paola Bonesi, Davide Calabrese, Sandra cosatto, Gualtiero Giorgini, Adriano Giraldi, Alberta Izzo, Maurizio Repetto, Danila Stalteri

Per lunghi decenni Noël Coward è stato uno dei commediografi più noti non solo in Inghilterra. La sua capacità di mostrare, con senso critico, gli ambienti scintillanti degli attori di teatro e la stessa società del tempo hanno fatto presa sul pubblico invitandolo a sorridere sulle vicende umane, le piccinerie, le convenzioni matrimoniali e personali, la varietà congiunta alla naturale difesa della propria persona nel mondo artistico.

A distanza di oltre mezzo secolo certi giochi, certe sottili arti della finzione e dell’apparire, messe in scena con sfrontata doppiezza in un rincorrersi di incontri, divertenti equivoci e smaccati travisamenti, possono sembrare ripetitivi di un palcoscenico fermo ad una età forse superata, ma mostrata nella sua autenticità in questa versione del “teatro la contrada” di Trieste alla quale Francesco Macedonio ha dato una vivacità da operetta avvalendosi di un grazioso senso ironico reso attendibile da una interpretazione sobria quanto elegante di Gianfranco Jannuzzo, Daniela Poggi e Sandra Cosatto, con gli altri affiatati interpreti.

E al critico la rilettura dell’intera commedia, offerta con il programma, nella traduzione di Masolino d’Amico offre l’occasione di apprezzare meglio la difficoltà di mettere oggi in scena caratteri e regole di un mondo dello spettacolo dalle maniere ormai diversificate nel variare dei costumi. Un dialogo scorrevole e non ristretto alle mere convenienze, al quale i protagonisti hanno saputo offrire il meglio delle proprie qualità, nei girotondi occasionali degli incontri e scontri, degli intrighi di letto, riuscendo così a soddisfare il caloroso pubblico.


LA POESIA DI CECHOV NELLE DISSOLVENZE DELLA VITA

All’Eliseo

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Il Gabbiano
2 | 14 dicembre 2008
PATRIZIA MILANI CARLO SIMONI MAURIZIO DONADONI

Il personaggio che dà il titolo a Il Gabbiano di Anton Cechov è un giovane che spera, come dichiara espressamente, in un mondo ove sia possibile realizzare la grande speranza di una universale comprensione. E così marca la distanza tra chi ricerca una condizione più alta di espressione della vita e coloro invece che accettano, sono costretti, ad accettare la realtà umana per come essa è. La poesia contrapposta alla prosa. Così si dipana lo svolgimento di un testo eccezionale sia nella evocazione di quel che è il contrasto tra le illusioni della gioventù e la meno poetica concretezza di esistenze tormentate e sottoposte ai ritmi pesanti di una continuità esistenziale non esaltante rispetto ai sogni giovanili.

Ma è quella Russia di fine ottocento, esattamente presentata dal maestro, con i suoi contrasti, lo svelamento di quelle situazioni in cui si trovano le famiglie benestanti, con i problemi delle tasse (e persino dei primi “contributi” per le pensioni, esattamente citati e da poco istituiti nell’impero degli zar), delle dissonanze familiari (che possono anche provocare prima tentativi poi effettivi suicidi), nel quadro di uno splendore avviato verso la decadenza. C’è in questo testo tutta la profondità cechoviana e nello stesso tempo il richiamo al baluginare delle attese che caratterizzano i giovani. Diviso tra la raffinata commedia di costume, con costanti accenni alle problematiche degli aspiranti artisti, e la tragedia finale, Il Gabbiano testimonia la grande stagione di autentica vivisezione dell’animo umano in una cornice descritta con sapiente costruzione scenica.

La regia di Marco Bernardi ha reso vivido e suggestivo uno spettacolo ricco di motivi, analizzati con vigore in tutti i suoi personaggi, maggiori e minori, Patrizia Milani, Carlo Simoni e Maurizio Donadoni hanno offerto le loro migliori doti nel rendere i personaggi dall’enfasi giovanilistica del primo atto alle più aspre prove che li attendono successivamente, in una compattezza stilistica che attrae ora per le luci aperte alle prospettive felici ora per la compiuta amarezza degli eventi, in un gioco definito “magico” e “malato” dello stesso regista.

Carlo Vallauri

 

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