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Teatro - FAUST SI MISURA CON MEFISTOFELE


lunedì 10 dicembre 2007 di Carlo Vallauri

Argomenti: Teatro


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Glauco Mauri e Roberto Sturno al Quirino

UN VIRTUOSO SPETTACOLO DRAMMATICO

Solo un artista come Glauco Mauri ha la cultura, la conoscenza teatrale e la capacità attoriale per portare in scena il Faust riproducendo nei caratteri salienti, come è riuscito in questa edizione rappresentata a Roma al Quirino, grazie al comune impegno con Roberto Sturno.

I due valenti protagonisti si sono alternati nei ruoli dell’anziano studioso e del diabolico Mefistofele, in una composizione ardita per scelte spettacolari e originalità d’impianto e realizzazione.

Nel programma di sala – di raro livello scientifico e informativo grazie soprattutto allo scritto impareggiabile di Claudio Magris, ricco di confronti e osservazioni – si spiega bene (come ormai sono in poche compagnie a fare) il rilievo che l’opera di Johann Wolfang Goethe ha assunto nel clima in cui venne scritta, nelle varie versioni, e poi ha rivestito nelle epoche successive.

Il contrasto di fondo ha un suo motivo, eterno ed inestinguibile, tra due concezioni, del tutto contrapposte, del male e del bene, e il sommo poeta tedesco seppe infondere quel senso autentico del dilemma tra opzioni che continuamente ogni generazione si trova ad affrontare.

Il testo – nell’ottima traduzione-adattamento di Dario Del Corno e dello stesso Mauri – sottolinea il prezzo (in sacrificio e comportamento) che ciascuno è chiamato a pagare per vivere sé stesso, le proprie condizioni e per salvarsi. Anzi quest’ultimo aspetto viene esaltato nella seconda parte (il “doctor Faust” con la rappresentazione del potere, l’orgoglio della scienza, la spinta irrefrenabile dei mille diavoli che divorano la coscienza e lottano per trascinarla nella profondità dell’infernale buio. Donne e argenti contro la coscienza: Faust non può dubitare, al fondo, anche se è sospinto a cedere. E quante maggiori sono le tentazioni tanto più il mondo materiale prende il sopravvento sullo spirito individuale.

I richiami agli spettacoli faustiani di Strehler servono a collocare l’attuale messa in scena in una operosa dedizione ad una lettura consona alla realtà del pubblico contemporaneo (e proprio il saggio di Magris ne offre le precise e chiare coordinate). Ed è sul palcoscenico che tutti questi elementi rielaborati trovano i loro punti di fuoco, nella interpretazione esemplare di Mauri, nell’attentissima, sorvegliata, prudente immedesimazione di Sturno nella duplicità dei ruoli, ai quali si accompagnano, con fine risalto, Dora Romani (sia come Marta Bauci sia nella raffigurazione dell’Angoscia) e Cristina Arrone (la dolce Margherita e la suadente Elena). Altrettanto curate le scene (Mauro Carosi), come i costumi (Odette Nicoletti) e le musiche (Germano Mazzocchetti), senza scordare i movimenti scenici di Hal Yamanuchi,

Il pubblico romano ha avuto l’occasione di assistere ad uno spettacolo che ha unito grande visibilità e piena concordanza nella delicata arte drammatica.

CARLO VALLAURI

 

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