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Una passeggiata nel parco, un incontro casuale, la riscoperta di avvenimenti storici.

La storia di un volontario del Parco degli Acquedotti incontrato per caso, la cui vita avventurosa ci ha stimolato a raccontarla
venerdì 23 settembre 2022 di Luciano De Vita

Argomenti: Interviste
Argomenti: Storia
Argomenti: Natura


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È una bella giornata di gennaio a Roma, l’aria è fresca, ma c’è un bel solicello e il cielo è azzurro. Il figlio che vive all’estero ci è venuto a trovare.

Il parco degli Acquedotti ci accoglie per una lunga passeggiata nel verde della campagna romana, la città è al di là e non si vede, mentre il panorama è aperto sulla campagna nella zona di rispetto dell’Appia Antica che si scorge in lontananza. Le arcate degli acquedotti si defilano maestose nella bella luce pomeridiana, in contrasto con il verde dei prati.

Il parco è molto bello e invita a camminare sui sentieri che si snodano lungo i manufatti romani antichi, parte dei quali sono ancora in uso. Il ruscello del fosso dell’acqua Mariana scorre placido formando un grazioso isolotto pieno di calle. Molti alberi lungo il sentiero riportano ben visibile il cartello con il nome della pianta. Si arriva in fondo al casale Sellaretto dove tra alti pini marittimi si schiude la vista dei castelli Romani, si distingue da Monte Compatri a Frascati a Rocca di Papa a Monte Cavo fino a ovest a Castel Gandolfo.

Infine uscendo vediamo un signore in bicicletta con un cartellino dell’Associazione Volontari Parco Acquedotti. Lo fermiamo per congratularci per come questo parco è tenuto bene, infatti tra l’altro non abbiamo trovato mondezza abbandonata, come succede in tanti altri parchi romani.

Abbiamo così conosciuto questo giovanotto del ’30, originario di Vico Equense, vicino a Sorrento, con il quale siamo entrati subito in empatia. Chiacchiera, chiacchiera ci ha raccontato molte interessanti avventure della sua vita. Gli abbiamo pertanto chiesto di rincontrarci ancora per raccogliere più sistematicamente alcuni episodi vissuti durante la guerra, che ci hanno permesso di ricostruire alcuni momenti storici che vogliamo qui raccontare, assieme alle altre storie di questa vita vissuta da questo volontario che dedica parte del suo tempo di pensionato alla cura del Parco.

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Maresciallo Badoglio

Forse non tutti ricordano come sono andate le cose a Napoli e dintorni dopo l’8 settembre 1943 (Data dell’armistizio con gli alleati firmato dal Maresciallo Badoglio, Presidente del Consiglio dal 25 luglio 1943, recatosi a Brindisi assieme alla famiglia reale).

In estrema sintesi, appena diffusasi la notizia dell’armistizio, la guarnigione tedesca al comando del colonnello Schall, offesa dal tradimento ai loro danni, dal 13 settembre assunse i pieni poteri sulla città e dintorni. Fu proclamata la legge marziale, con il coprifuoco dalle 8 di sera alle 6 di mattina e fu requisita l’annona. Fu imposta anche l’evacuazione della fascia costiera e soprattutto la chiamata al servizio obbligatorio di lavoro degli uomini oltre i 17 anni. La riduzione delle razioni alimentari scatenò nella popolazione l’assalto ai negozi e lo sviluppo del mercato nero, con le conseguenze immaginabili di persecuzioni e rastrellamenti, nonché una massa di profughi in cerca di un posto dove rifugiarsi.

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Contro i panzer tedeschi!
Le 4 giornate di Napoli 28 settembre – 1° ottobre 1943

Verso la fine del mese apparve in vista a largo la flotta americana, bloccata in mare aperto da uno sbarramento minato. I napoletani ignari di tale impedimento cominciarono (28 settembre) ad organizzare attentati alle truppe tedesche nelle zona del Vomero, sperando in un rapido aiuto da parte degli alleati. Le feroci rappresaglie tedesche non si fecero attendere, con rastrellamenti punitivi e sparando all’impazzata, ma la popolazione cominciò ad organizzarsi in un Comitato Partigiano sotto la guida del giovane ufficiale Vincenzo Stimolo ed altri civili che riuscì temporaneamente a mettere sotto scacco i tedeschi. Erano iniziate così le “4 giornate di Napoli 28/settembre – 1° ottobre” che finirono con la cacciata delle truppe tedesche da parte dei partigiani e della intera popolazione napoletana, spalleggiati alla fine dalle truppe alleate nel frattempo sbarcate. Il sacrificio di vite umane non fu piccolo, oltre 300 tra combattenti e civili e altrettanti feriti, per cui Napoli ha avuto una medaglia d’oro più 4 alla memoria, 6 d’argento e 3 di bronzo.

Ma cosa succedeva ad un ragazzo tredicenne, terzo di sette figli, sulla costiera sorrentina?

“La fame imperava, la mattina si usciva alla ricerca di qualcosa da fare per sfamarmi io stesso e portare qualcosa in famiglia.” Settembre, è ancora estate “Raccoglievamo granchi e ricci per gli ufficiali tedeschi che risiedevano negli alberghi della costiera requisiti e gustavano queste prelibatezze del luogo. La notte poi andavo ad impastare il pane delle razioni, presso il fornaio detto Gino Zozzo, per via della puzza del locale di lavoro dove si ammollava lo stoccafisso, quando c’era”.

C’erano anche tanti sfollati che arrivavano sulla costiera affamati da Napoli e dintorni. La solidarietà tra poveracci scattava naturalmente. “E presso Gino lo Zozzo la pasta di pane racimolata dalle razioni la stendevamo sulle lunghe teglie e con qualche pomodorino, un filo d’olio e un pizzico d’origano si facevano delle lunghe pizze per sfamare i profughi”.

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La pizza a metro di Vico Equense

Questa è la storia della nascita a Vico Equense della “pizza a metro” che il nostro amico Lucio ci ha raccontato di avere vissuto personalmente.

Marzo 1944: gli americani si sono acquartierati in tutta l’area nell’entroterra del golfo di Napoli e nella città stessa, dove le gesta dei tanti scugnizzi sono state raccontate in tanti film del primo dopoguerra. “Sulla costiera sorrentina scorrazzavano gli americani sulle straduzze impervie con i loro gipponi e noi ragazzi ci davamo da fare per racimolare il pasto quotidiano”.

Il 18 e fino al 29 marzo del ’44, il Vesuvio entrò in una violenta fase di eruzione con esplosioni, colate laviche ed enormi nubi di cenere e lapilli, che spinte dal vento sommergevano varie zone. La lava invase vari paesi prevalentemente nel versante settentrionale (Massa di Somma e San Sebastiano in particolare). Il giorno 22 la nube eruttiva raggiunse l’altezza di cinque chilometri, la cenere e lapilli incandescenti si riversarono prevalentemente nel versante sud orientale, in particolare ricoprendo di cenere bollente e danneggiando ben 88 bombardieri americani i stanza nel campo nei pressi di San Giuseppe Vesuviano: una strage di aerei maggiore di quelle inferte dai tedeschi nei combattimenti.

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L’eruzione vista dal mare.
(Foto dal sito www.meteoweb.eu)

La cenere, fortunatamente non così calda, e il pulviscolo raggiunsero per molti giorni anche la costiera sorrentina, riducendo fortemente la visibilità e rendendo irriconoscibili le strade già impervie per le rapide salite e discese.

“I gipponi americani andavano continuamente fuori strada con pericolo di cadere a mare, anche perché scivolavano sulle rotaie del tranvetto che poi hanno tolto…. Insomma avevano difficoltà a muoversi lungo la penisola di Sorrento.”

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Un B-25 sepolto dalla cenere del Vesuvio il 23 marzo 1944
Presso il campo di volo nei pressi di Terzigno. Foto NARA (Foto dal sito www.meteoweb.eu)

Ecco allora Lucio e i suoi amici che si ingegnano a trovare una soluzione per aiutarli e si propongono di fare loro da guida per quelle strade che conoscevano a menadito.

“Salivo sul grande parafango della jeep, tenendomi con una mano sul montante del parabrezza, e indicavo con l’altro braccio quando dovevano andare dritti o svoltare: keep to left, keep to right, e talvolta aggiungevo qualche parolaccia in napoletano.”

I soldati presero in simpatia questi ragazzi e si facevano guidare con fiducia e li cominciarono a chiamare con il nomignolo “left and right boys”. Così il nostro amico Lucio e i suoi amici si guadagnavano qualcosa da mangiare mentre il vulcano impazzava. “Come compenso ci davano una scatola di formaggio o altri alimenti. Ricordo ancora il nome di un sergente con cui avevo fatto amicizia: John Sapienza, certamente di origine italiana che parlava solo qualche parola di un dialetto italiano” “Mio father teneva una big farm che faceva lo wine”. “Ma ero io che cercavo invece ansiosamente di imparare l’inglese”.

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Una Jeep del 1944

Bene, questo episodio raccontato da Lucio dei “left and right boys” mi sembra inedito, non avendo trovato nessuna citazione in merito a queste prodezze dei giovani scugnizzi sorrentini.

Alla fine del ’45, finita la guerra, cosa poteva fare il nostro Lucio, per il quale la carriera scolastica con la guerra e la fame non era stata certo la priorità? Ebbene occorre avere carattere ed essere intraprendenti, così ci si fa strada nella vita! Quando è tornata la normalità, si trovava qualche lavoro stagionale negli alberghi di Sorrento e dintorni, oppure occorreva emigrare.

“Anche io sono emigrato in Svizzera, nell’Engadina, a fare le stagioni negli alberghi, quando andava bene d’estate e d’inverno. Facevo il cameriere e lì ho imparato a parlare il romancio”. Poi agli inizi degli anni ’50 sono andato a fare il cameriere a Londra, ma il permesso di soggiorno durava 4-6 mesi, quindi andavo e venivo. Poi ho fatto un corso come assaggiatore di vini nel Dorset, così ho fatto carriera da cameriere semplice a sommelier. Facevo d’inverno anche il muratore e poi intorno al ‘55 sono stato nel Kent in un ristorante inglese, dove servivano la tomato suppe, la kidney pie e altre pietanze locali. Lì io ho portato la cortesia italiana, mettevo un vasetto di fiori sul tavolo dei clienti, il pane e servivo il vino … ho fatto mettere il pianoforte e si organizzavano serate per famiglie”.

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Lucio con il figlio dell’autore

Lucio e le ragazze inglesi come erano? “Beh, io cercavo di uscire con le ragazze soprattutto per imparare la lingua…. Sono andato anche a scuola di inglese, ma il professore un giorno mi ha chiamato e in un italiano stentato mi ha testualmente detto: Lucio prima de mparare inglese devi mparare tua lingua!”

“Mi sono stabilito a Roma nel ’60, perché ho avuto un’offerta di lavoro all’hotel Ambasciatori di via Veneto, come addetto al room-service. Quella che sarebbe divenuta mia moglie (l’avevo conosciuta in Inghilterra) è venuta a Roma anche lei a lavorare sempre nel settore alberghiero. Ci siamo sposati e abbiamo messo su famiglia e fatto due figli. Abbiamo comprato casa al Tuscolano e da allora siamo in questa zona, a ridosso del parco”.

Lucio coltiva da anni una passione, quella dell’archeologia in particolare da quando visitò le terme romane a Bath, all’epoca in cui viveva in Inghilterra, ma già da ragazzo aveva avuto modo di osservare i resti di una villa romana a Vico Equense.

“Sono volontario qui nel Parco da 3/4 anni, ma prima ero con il GAR (Gruppo Archeologico Romano) e andavo nella zona dei Monti della Tolfa a dare una pulita alle tombe etrusche. Non solo, ma noi del GAR collaboravamo con il WWF, in particolare salvavamo i tritoni che vivevano nelle tombe che erano piene d’acqua”.

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Volontari del al lavoro
Dal sito dell’Associazione Volontari per la Tutela e la Conservazione del Parco degli Acquedotti (www.parcoacquedotti.it)

“Qui al parco degli Acquedotti, invece, noi volontari ci prendiamo cura del Parco…. abbiamo anche allestito un piccolo orto botanico che curo insieme agli altri volontari dell’Associazione www.parcoacquedotti.it”.

Ecco questa è in breve la storia di una persona che si è fatta da sé e si è sempre impegnata. Nel conoscerla ci ha dato lo spunto per ricordare fatti e momenti magari dimenticati e forse non noti, per cui vogliamo ringraziare Lucio di tutto cuore per la sua disponibilità e il suo impegno nel parco.