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LA LEGGE DI LIDIA POËT.

LA STORIA DELLA PRIMA AVVOCATA ITALIANA
sabato 18 febbraio 2023 di Patrizia Cantatore



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Dal 14 febbraio è disponibile la prima serie italiana su Lidia Poët, una delle più interessanti proposte dal portale quest’anno.

Si tratta della vera storia della prima donna laureata in Giurisprudenza il 17 giugno 1881 dopo aver discusso una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne, nei due anni seguenti svolse pratica legale a Pinerolo presso l’ufficio dell’avvocato e senatore Cesare Bertea assistendo alle sessioni dei tribunali. Svolto il praticantato, superò in modo brillante, con il voto di 45/50, l’esame di abilitazione alla professione forense e chiese l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino.

La sua richiesta venne osteggiata dagli avvocati Desiderato Chiaves, ex ministro dell’interno e da Federico Spantigati che, per protesta, si dimisero dall’ordine dopo che l’istanza venne messa ai voti e accolta. Favorevoli all’iscrizione il presidente Saverio Francesco Vegezzi e altri quattro consiglieri, i quali precisarono che “a norma delle leggi civili italiane le donne sono cittadini come gli uomini.” Fu così che il 9 agosto 1883 Lidia Poët divenne la prima donna ammessa all’esercizio dell’avvocatura ottenendo l’iscrizione all’Albo degli Avvocati di Torino. Il procuratore generale del Regno mise in dubbio la legittimità dell’iscrizione e impugnò la decisione ricorrendo alla Corte d’Appello di Torino.

L’11 novembre 1883 la Corte di Appello accolse la richiesta del procuratore e ordinò la cancellazione dall’albo. Il 28 novembre Lidia Poët presentò un ricorso articolato presso la Corte di Cassazione, la quale, con sentenza del 18 aprile 1884, confermò la decisione della Corte d’Appello, dichiarando che “La donna non può esercitare l’avvocatura”, e sostenendo che la professione forense doveva essere qualificata come un “ufficio pubblico”, il che comportava una ovvia esclusione, dato che l’ammissione delle donne agli uffici pubblici doveva essere esplicitamente prevista dalla legge.

Questo non la fermerà, continuerà ad esercitare con il fratello Giovanni Enrico finché potrà iscriversi all’Albo alla veneranda età di 65 anni. Un personaggio storico la cui memoria era rimasta sconosciuta al grande pubblico, una donna, che come altre nella storia del nostro paese, determinò quell’avanzamento inarrestabile che porterà le donne al voto nel 1946, alla partecipazione ai concorsi in magistratura dal 9 febbraio 1963 ed altre possibilità di autodeterminazione.

La serie, prodotta da Groenlandia (fondata da Matteo Rovere e Sidney Sibilia) da un’idea di Guido Iuculano e Davide Orsini, è scritta insieme a Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo ed è declinata in uno spirito moderno e vivace pur essendo una serie con episodi di casi gialli da risolvere e in costume. L’ambientazione ottocentesca appare realistica, i bellissimi costumi sembrano cuciti sui corpi dei protagonisti e ne costituiscono e delineano anche il carattere. Gli arredi, le luci, le molte ombre al lume di candela o alla luce nebbiosa e avvolgente della città, dei suoi caffé, delle sue fumerie di oppio, del cimitero monumentale, del Tribunale, delle piazze e dei vicoli, ricostruiscono in modo falsamente reale ma credibile la Torino dell’epoca, la città più moderna d’Italia. Le musiche rock, contemporanee che accompagnano le immagini stupiscono ma rappresentano perfettamente le azioni che accompagnano.

La regia di Matteo Rovere e Letizia Lamartire sceglie primi piani di grande bellezza che sembrano riproporre le scene di vita ritratte dai dipinti dei macchiaioli o dei romantici come Corot o Morisot, animandoli, arricchendoli di sfondi, primi piani ravvicinati che si soffermano su particolari di fascino e ipnotici. In questa ricca cornice si svolgono le vicende de La legge di Lidia Poët, interpretata dalla brava Matilda De Angelis la quale riesce a delineare questo personaggio senza alcun riferimento. Lidia Poët è un’eroina nel senso classico del termine, un personaggio caparbio e positivo con cui immedesimarsi, non è solo bello ma giusto, così come è esaltante osservarla vincere ogni enigma in base alle sue tesi.

La De Angelis è determinata nella sua interpretazione, riesce ad infondere un tono misurato alla nostra eroina, grande orgoglio, dignità ma anche piccole fughe, sbavature previste e sottolineate da microespressioni, sguardi di complicità, l’alzata di un sopracciglio o una smorfia comica di presa in giro, che contrasta con la facciata che sostiene per poter esistere nel mondo di uomini che la ostacola, con una credibilità che ne consacra il talento. Funziona talmente bene nel ruolo che riusciamo a credere di intravedere il carattere di questo personaggio storico, riuscendo a giustificarne anche il ruolo fiction di investigatrice.

Nel cast anche Pier Luigi Pasino nel ruolo del fratello Giovanni Enrico, Sara Lazzaro nel ruolo della cognata Teresa Barberis, Eduardo Scarpetta nel ruolo di Jacopo Barberis giornalista, Dario Aita nel ruolo di Andrea Caracciolo, commerciante e amante di Lidia, Sinead Tornhill nel ruolo della nipote Marianna Poët, tutti molto preparati e convincenti nei ruoli.

La serie di sei puntate ha sia una trama che segue le vicende di Lidia, sia un caso da risolvere, riuscendo a coinvolgere in modo mai banale, puntando sul tema del femminismo con spirito rabbioso come quello della sua protagonista, impossibile da contenere, che ricorda alle donne di oggi, quanto lunga è stata la marcia verso la parità, per lo meno riconosciuta in Costituzione. Un modo per sottolineare come la giustizia di oggi è altra cosa rispetto al passato, dove il processo penale veniva costruito più sulla base di un pregiudizio o una confessione estorta, piuttosto che su delle vere prove scientifiche.

Una serie che alza l’asticella delle aspettative rispetto ai numerosi prodotti sia dei portali che della tv di Stato le cui ultime fiction non hanno convinto nonostante siano tratte da romanzi seriali di grande successo.

 

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