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LAVORO E DIGNITÁ

Dal film di Amelio al discorso del Papa
martedì 1 ottobre 2013 di Giovanna D’Arbitrio

Argomenti: Opinioni, riflessioni


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La settimana scorsa ho visto il film “L’Intrepido” di Gianni Amelio che racconta la storia di Antonio Pane (Antonio Albanese) il quale si guadagna da vivere facendo “il rimpiazzo”, cioè sostituendo lavoratori di ogni genere in mestieri umili o strambi, spesso usuranti, per poche ore o qualche giorno: un personaggio insomma che impersona la quintessenza della precarietà.

Egli vive tuttavia la sua penosa situazione con ottimismo e con fiducia verso il prossimo, affrontando ogni giornata con un bel sorriso sul volto semplice, ingenuo, di una bontà un po’ stucchevole, talvolta poco credibile, irreale. E in effetti dove lo trovi oggi un uomo come lui, con pesanti problemi familiari, che sorride sempre malgrado una fatica che spezza la schiena? Dov’è la dignità del lavoro nella precarietà?

Intervistato, il regista ha definito il suo film “una commedia drammatica”, scaturita dall’osservazione del mondo che ci circonda e dell’Italia di oggi, raccontata “con la voglia di non incupirsi mai e con il desiderio di continuare ad aver fiducia del domani, del mondo che verrà, degli altri…E’ un film che vorrebbe respirare l’aria del tempo, ma certe volte trattiene il fiato perché l’aria è irrespirabile. Il protagonista riesce ad andare avanti fino a quando trova un’aria più respirabile e salutare”.

Lo stesso invito alla speranza sembra animare i discorsi di Papa Francesco che tuttavia più realisticamente affronta i problemi del nostro tempo denunciandone con chiarezza le cause.

In effetti, mentre tanti politici litigano senza senso di responsabilità e una pesante crisi minaccia il nostro Paese, tra disoccupati, cassintegrati, malati e carcerati il 22 ottobre 2013 il Pontefice ha lanciato un significativo messaggio al mondo dalla Sardegna, una terra dove miseria ed emarginazione diventano ogni giorno più preoccupanti.

A Cagliari tra migliaia di persone plaudenti è salito sul palco dove lo hanno accolto un pastore, un cassintegrato, un’imprenditrice, pronti a leggere le loro lettere, e una trentina di persone rappresentanti varie attività lavorative.

Dopo averli ascoltati, il Papa ha cominciato a leggere il suo discorso, ma dopo qualche minuto si è fermato e ha preferito parlare nel suo stile semplice e spontaneo, ricordando le esperienze del padre emigrato in Argentina con la famiglia costretta a sopportare la terribile crisi degli anni ’30.

Ha pertanto affermato : - Ho sentito nella mia infanzia parlare di questo tempo a casa. Io non l’ho visto, non ero ancora nato, ma ho sentito in casa parlare di questa sofferenza. La conosco bene. Devo dirvi coraggio, ma sono cosciente che devo fare il mio, perché questa parola coraggio non sia una bella parola di passaggio. Non sia solo il sorriso di un impiegato della Chiesa che viene e vi dice coraggio. Questo non lo voglio -.

Nel suo discorso ancora una volta ha condannato la globalizzazione che genera crisi e sofferenze in nome del dio denaro, un sistema economico senza etica e senza pietà verso i più deboli che vengono sacrificati in base alla “cultura dello scarto”.

Secondo Papa Francesco “si scartano i nonni e si scartano i giovani e noi dobbiamo dire no a questa cultura dello scarto. Dobbiamo dire che vogliamo un sistema giusto, un sistema che faccia andare avanti tutti. Non vogliamo questo sistema economico globalizzato che ci fa tanto male. Al centro devono essere l’uomo e la donna, non il denaro…… Ci sono persone che istintivamente consideriamo di meno e che invece ne hanno più bisogno: i più abbandonati, i malati, coloro che non hanno di che vivere, coloro che non conoscono Gesù, i giovani che sono in difficoltà, i giovani che non trovano lavoro “.

Egli ha poi messo in rilievo che finora è stato in due isole italiane: a Lampedusa ha visto la sofferenza dei rifugiati che rischiano la vita nella speranza di trovare dignità pane e salute, in Sardegna ha trovato una sofferenza che toglie ogni speranza e dignità per la mancanza di lavoro, per cui è necessaria la collaborazione leale da parte di tutti, con l’impegno dei responsabili delle istituzioni, per assicurare alle persone e alle famiglie i diritti fondamentali e far crescere una società più fraterna e solidale.

Parole che senz’altro colpiscono coloro che sono senza lavoro e tutti gli emarginati in genere, ma anche tanti genitori e nonni che dopo aver lavorato con dignità e onestà per un’intera vita, ora sono delusi per non aver potuto passare il testimone di tali valori a figli e nipoti, disoccupati, umiliati in lavori precari, spesso costretti a emigrare.

Abbandonando la lotta contro il “relativismo” condannato dal suo predecessore, Papa Francesco mostra una maggiore apertura mentale verso le problematiche attuali riscuotendo consensi con i suoi discorsi. Riuscirà davvero a trasformare quella parte delle alte sfere ecclesiastiche anch’essa abbarbicata a privilegi e potere da secoli? Speriamo di sì, poiché “non dobbiamo mai perdere la speranza” come Egli stesso afferma.