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Rubrica: EVENTI


Mattia Preti tra Caravaggio e Luca Giordano


lunedì 1 luglio 2013 di Achille della Ragione

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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La più grande esposizione sul Cavaliere calabrese, alias Mattia Preti, si terrà presso la reggia di Venaria dal 16 maggio al 15 settembre a cura di Vittorio Sgarbi e Keith Sciberras.

La mostra copre anche il periodo maltese, ritenuto più modesto dalla critica e quasi completamente sconosciuto agli appassionati, una fase durata quasi 40 anni, dal 1661 al 1693, perché l’artista non riuscendo a reggere il confronto col Giordano, si ritirò nella “Piccola isola dalla grande storia” dove, coadiuvato da una fiorente bottega, continuò la sua attività, inviando opere in tutta Europa per committenti anche di alto rango.

Primo grande interprete della pittura barocca che viene a interrompere definitivamente alla metà del secolo, il corso del naturalismo napoletano, è Mattia Preti (fig. 1) (Taverna 1613-Malta 1699), detto il Cavalier calabrese perché Cavaliere di Malta dal 1642. Dopo un primo soggiorno a Napoli si stabilì a Roma (1630-1656), compì viaggi in Italia settentrionale ( a Modena nel 1652-1653 dipinse cupola e coro di San Biagio). A Roma dove lasciò molte opere (affreschi in San Carlo ai Catinari, 1642, e in Sant’Andrea della Valle, 1651), Mattia Preti fu direttamente partecipe di quel felice momento di fervore innovativo, di incontro-scontro di tendenze e di idee e che accompagna il primo fiore del barocco romano. Esperienza ben presente nella sua arte, che è stata definita “geniale trasposizione in campo barocco dei principi formali del caravaggismo”. Il Preti si avvale infatti degli effetti di luce particolare e radente, ma li applica in funzione dinamica a composizioni affollate di personaggi in continuo movimento su fondali di cielo tempestoso o di scenografie architettoniche in un ricchissimo repertorio di variazioni luministiche, lampanti nella “Resurrezione di Lazzaro” (fig. 2) conservata a Roma nella Galleria Nazionale di Arte Antica o nel “Convito di Baldassarre” (fig. 3) e nel “Convito di Assalonne (fig. 4) del Museo di Capodimonte, che dedica un’intera sala al sommo pittore.

La fase napoletana è la più pregnante del suo percorso artistico, ricca di capolavori, mentre la gamma cromatica della sua tavolozza, come in passato era capitato ad Artemisia, vira vigorosamente verso colori rossiccio bruni, cianotici, con volti sofferenti ai limiti dell’anossia.

In passato si credeva che il suo soggiorno all’ombra del Vesuvio fosse durato solo 4 anni, viceversa copre dal 22 marzo 1653, data indicata su una polizza di pagamento, al settembre del 1661, quando si trasferisce definitivamente a Malta, dopo esserci stato 3 mesi nel 1659, per favorire l’accettazione della sua pratica come Cavaliere di Grazia.

Appena nell’”Isola dei Cavalieri” fu subito attivo nella decorazione della co-cattedrale di San Giovanni Battista a La Valletta, per la quale aveva già inviato da Napoli alcune tele: intorno al 1656 il “San Giorgio con il drago”(fig. 5), un “San Francesco Saverio” nel 1658, per la cappella d’Aragona e nel 1659 un “Martirio di Santa Caterina” (fig. 6) per la chiesa della nazione italiana.

Numerose sono le opere da ricordare eseguite durante gli anni napoletani, tra queste spiccano il grandioso soffitto cassettonato (figg. 7-8) con “Storie di San Pietro Celestino e Santa Caterina” nella chiesa di San Pietro a Maiella e soprattutto il ciclo di affreschi sulle porte di Napoli con il drammatico groviglio di corpi, provocato dalla peste del 1656, un documento impressionante, di cui purtroppo è rimasta una labile traccia, sotto una coltre di sudiciume, nella decorazione di Porta San Gennaro (fig. 9), fortunatamente ci sono giunti due splendidi bozzetti (figg. 10-11) preparatori, dai colori squillanti, conservati nella sala Preti della pinacoteca napoletana.

E ci sia permesso citare una nostra scoperta: una chicca preziosa custodita nella sacrestia della chiesa di San Francesco d’Assisi a Forio d’Ischia. Si tratta di una spettacolare “Pietà” (fig. 12), dai colori lividi e cianotici, da assegnare senza ombra di dubbio a quel gigante del secolo d’oro che fu Mattia Preti. In passato la critica si è distrattamente occupata del dipinto foriano adombrando l’ipotesi che potesse trattarsi di una copia; ma sia le figure femminili che il volto del Cristo mostrano una morbidezza di tocco ed una preziosità materica che, vanamente potremmo pretendere dalla mano di un copista, anche se molto abile. Se vogliamo invece vedere una copia di questa tela autografa, dobbiamo recarci al Prado, dove potremo ammirare lo stesso soggetto, ma di minore qualità, replicato da uno dei più noti allievi ed imitatori del Preti: lo spagnolo Pedro Nugnez de Villacencio. Quanto siamo ricchi e spreconi noi napoletani! Conserviamo chiusa e non visitabile una tela di uno dei grandi maestri del Seicento europeo, mentre all’estero, in uno dei più celebri musei del mondo, espongono la copia.

Passiamo ora ad esaminare la fase maltese del Preti, la quale richiede una visita extra mostra, costituita dal grandioso impianto decorativo della co-cattedrale di San Giovanni Battista a La Valletta, premettendo che ci farà da bussola l’esaustivo studio dell’architetto Costanzo, il quale ha dedicato all’argomento un corposo capitolo nel suo monumentale volume” Pittura tra Malta e Napoli nel segno del Barocco”.

Questo ciclo di affreschi (figg. 13-17)rappresenta l’apice della sua maturazione figurativa, memore delle esperienze romane e napoletane. La tematica ricorrente è in linea con le indicazioni della rappresentazione sacra post-tridentina. L’agiografia giovannea illustra con cura l’apoteosi dell’ordine che sconfigge l’eresia, in una corale apoteosi della religione controriformista.

Gli scenari neoveneti rappresentano lo sfondo ideale nelle Storie di San Giovanni, rivisitate secondo un gusto decorativo ispirato alla luminosità veronesiana, con l’inserimento di echi caravaggeschi e stilemi caraccioleschi nella definizione volumetrica delle figure.

A questo sommo capolavoro si affianca una vasta produzione di tele a carattere religioso, in gran parte presenti in mostra, come l’”Eterno Padre” (fig. 18), il “Battesimo di Cristo” (fig. 19) e l’”Incredulità di San Tommaso” (fig. 20), normalmente conservate Museo Nazionale di Belle Arti. Ricordiamo inoltre il “San Giorgio e il drago” (fig. 21), realizzato nel 1678 nella Basilica di San Giorgio, a Victoria, il pregiatissimo “Matrimonio mistico di S. Caterina” (fig. 22) nella cappella d’Italia della co-cattedrale ed infine tra le ultimissime opere “La guarigione del padre di San Publio” (fig. 23) della cattedrale di San Paolo a Mdina ed il “San Pietro Penitente” (fig. 24) del Museo del Collegio Wignancourt a Rabat.

E concludiamo sottolineando quanto l’influenza del Preti si estenderà ad un valido gruppo di pittori locali, tra cui Giacchino Loretta e Giovanni Paolo Chiesa, attivi nella sua bottega, mentre al suo decorativismo si accosteranno Giuseppe Arena, Carlo Gimach e Gian Nicola Buhagiar.

P.S.

Bibliografia

- Della Ragione A. – Il Secolo d’oro della Pittura Napoletana (10 volumi) 1998-2001.
- Della Ragione A.- Ischia Sacra. Guida alle chiese. Napoli 2005.
- Costanzo S.- Pittura tra Malta e Napoli nel segno del Barocco. Napoli 2011.
- Della Ragione A.- La pittura del Seicento napoletano (Repertorio fotografico a colori). Tomi 1-2- Napoli 2011.