In un paio di mesi sono andato tre volte a mangiare la pizza dai Fratelli La Bufola, a piazza Leonardo, Vomero.
Appena seduto, fin dalla prima volta mi ha intrigato il logo ammiccante “pizzaioli emigranti”.
Emigranti, dove? E perché? E così ho scoperto che i tre fratelli hanno avuto una vita molto interessante, piena di sacrifici e di soddisfazioni. Tre vite parallele, che si svolgono fra Europa e Stati Uniti. Sembra l’intreccio di un film. Peccato che nessuno ci abbia finora pensato.
- I fratelli Bufala
Ma quella parola emigrante nel ristorante pizzeria così ben messo, con luci discrete, ed enormi murales agresti, mi ha riportato di colpo a mezzo secolo fa, quando ebbi un’analoga - anche se breve - esperienza, proprio in un ristorante.
Era il 1958 e mi stavo preparando per la mia tesi sul socialismo in Svezia.
Andai a Stoccolma, trovai alloggio gratuito presso la famiglia Ankarkrona, con l’impegno di tenere sempre in vita la stufa a carbone.
Trovai lavoro presso il ristorante Tre Remmare, il cui proprietario era italiano. La mia qualifica era di “lavapentole” molto diversa da quella di lavapiatti. Era considerato un lavoro pesante e perciò meglio retribuito. Il vero maestro di vita e disciplina fu un austero cuoco tedesco: Era lui che a mezzanotte, quando ormai stavamo per finire il turno, che dava una sbirciata alle pentole grosse e piccole, che avevo sistemato in ordine sinusoidale, controllava che tutto fosse pronto per rimetterle al loro posto in ordine crescente.
Prima che i vari gamelloni si riempissero durante la giornata, avevo anche altre mansioni: pulire il pesce surgelato, prendere cassette di pasta e pomodori dalla cantina, pelare decine di chili di patate, pulire chili e chili di cipolle, sulle quali versai lacrime a rivoli.
“Cristo s’è fermato ad Eboli” fu il famoso romanzo di Carlo Levi, che scoprì un magnifico terribile mondo arcaico. E proprio ad Eboli nacquero Giuseppe, Antonio e Gennaro La Bufola.
Muore il padre, vendono l’azienda paterna, dove si produceva mozzarella di bufala, e vanno via, lontano. Sembrano i membri di un ordine religioso, alla conquista di nuovi fedeli.
Giuseppe va a New York, Antonio a Madrid, Gennaro a Parigi.
Come deve essere stata interessante la corrispondenza fra di loro. La descrizione dei luoghi, le persone che s’incontravano, l’amaro in bocca, la gioia delle prime affermazioni.
- Il del sito Fratelli Bufala
Ognuno si portava dentro il proprio sogno: tornare nella propria Terra.
E così è stato. Loro sono tornati qui, ma il loro nome è in tutto il mondo.
La pizza che ho mangiato stasera è stata, come al solito, molto buona.
Appena entrato, ho visto il pizzaiolo già indaffarato.
Si chiama Patrizio, Gli ho chiesto a che età ha deciso di fare il pizzaiolo. Mi ha risposto senza esitazione: A dieci anni. E’ nato a Fuorigrotta e da lì ha iniziato.
Dieci anni. E’ l’età in cui dei ragazzi ricevono la “chiamata” a farsi prete.
Lui ha avuto una “chiamata” ben diversa.
Patrizio è centoquindici chili di simpatia. Quando mi congratulo con lui per la pizza appena finita, dice che assolutamente devo assaggiare una tranche di una sua creazione. Obbedisco e provo. Pasta sottilissima, losanghe di provola, letto di basilico, olio di oliva speciale. A metà cottura, piccoli pomodorini tagliati in due, che non perdono la loro fragranza.
Bravo, Patrizio. Ne è fiero, lui ci tiene ad accontentare i suoi clienti e vuole che gli siano fedeli e non lo tradiscano. Annuisce tutto soddisfatto il suo amico Luca, addetto ai tavoli, che ormai lo segue sempre.
Patrizio, e come si chiama questa tua creatura? Risponde che non lo sa.
Tornando a casa, ho trovato il nome: la chiameremo PIZZANTIQUA..
E come il futuro ha un cuore antico, così la pizza di Patrizio ha un sapore antico.
Arturo Capasso