a cura di
Silvana Carletti (Dir.Resp.)
Carlo Vallauri Giovanna D'Arbitrio
Odino Grubessi
Luciano De Vita (Editore)
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LDVRoma
Ritorna il film d’autore con “Henry” di Alessandro Piva, un giovane regista che ha già ricevuto premi ed affermazioni di grande prestigio: (Davide di Donatello e Ciak d’oro nel 2000; tre candidature ai Nastri d’argento 2004; Menzione speciale Giuria al Festival di Venezia 2011).
La pellicola è un ritratto duro e spietato del mondo della droga nella nostra città ove bande di spacciatori si contendono il primato.
Chiediamo al regista se è stato difficile girare le scene a Roma, impresa che Carlo Verdone ha definito “un incubo”..
Ci risponde che ha preferito zone centrali a quelle periferiche e che, comunque, il film è basato soprattutto sui personaggi, diversi tra loro e provenienti da varie regioni : un mix di dialetti che rende la storia più veritiera.
Tratto liberamente dal romanzo di Giovanni Mastrangelo, il film ci offre una visione drammatica di un problema attuale e difficilmente risolvibile, dal momento che la corruzione è diffusa dappertutto, anche negli ambienti meno sospettabili.
Piva ci dice poi che il film ha avuto un costo contenuto e che si è potuto realizzare grazie al contributo dei Beni Culturali ,della Bianca film e al suo personale, ma che ci sono voluti tre anni per l’uscita, dal momento che si tratta di una pellicola non commerciale e certamente non riservata al grosso pubblico.
Gli chiediamo se il suo è un “thriller noir”; ci risponde che si tratta di una storia dark ambientato in una Roma dalle mille sfaccettature ove ognuno si sente non romano, un immigrato nella stessa sua città.
Aggiunge poi che il cast è stato scelto spesso per caso, secondo l’intuizione del regista; si tratta, comunque di attori di grosso spessore: da Carolina Crescentini, a Claudio Gioè, a Pietro De Silva, a Paolo Sassanelli, a Michele Riondino, ad Alfonso Santagata che hanno dato il meglio di sè.
Gli domandiamo se condivide con noi l’aspetto umoristico di alcune scene e di alcuni personaggi. Ci risponde che sicuramente, come nella vita, nel film le persone sono veritiere, con il loro modo di essere e di esprimersi e che tutto ciò fa parte della realtà quotidiana.
Terminiamo con le parole dello stesso regista a conclusione del nostro incontro:
Henry è un film incosciente e piratesco, dal punto di vista artistico, come da quello produttivo, in barba alle regole di chi giudica il cinema con il telecomando in mano. Il plot di genere è solo lo spioncino, oltre la porta c’è la vera questione: capire dove stiamo andando e saperlo raccontare. Henry vuole scassinare le serrature, uscire dalla stanzetta nella quale, a parte rare e felici fughe, si è fatto rinchiudere da tempo il cinema italiano.