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UNA FAMIGLIA INFERNALE VISITATA DA BERNHARD


martedì 20 novembre 2007

Argomenti: Teatro


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La drammaturgia dello scrittore austriaco Thomas Bernard è ricca di intrecci familiari, di incursioni nel profondo dell’intimo personale. Non sorprenda allora che Ritter, Dene, Voss conduca all’inferno privato, dove due sorelle, figlie di un ricco industriale, nella grande casa dei genitori attendono il ritorno del fratello Voss, internato in manicomio.

Piero Maccarinelli ha affrontato l’ardua prova realizzata all’India per il Teatro di Roma, consapevole – per l’esperienza già fatta con altri testi (Prima della pensione e Riformatore del mondo) dello stesso autore – di quanto impegno richieda Bernhard per la complessità dei toni (non solo strettamente individuali e relativi ai personaggi in scena) che egli sa evocare con sapiente introspezione. Un linguaggio volutamente capace di incorporare ed esprimere tensioni che alla ribalta sembrano non apparire immediatamente ma che invece improvvisamente esplodono e rinviano a discorsi più ampi: in questo caso, si guardi sia ai frequenti richiami a Wittengestein (quasi raffigurato nel personaggio del fratello filosofo) come emerge in citazioni altrimenti non comprensibili sia alla musica e soprattutto al teatro come mondo a sé nel quale le due sorelle sono sia pure malamente inserite. Così il dialogo sfocia in scontri continui anche se, specie all’inizio, appaiono sottesi.

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Piero Maccarinelli

Nella prima scena le due sorelle si beccano tra loro, Dene (mirabilmente resa da Maria Paiato) preoccupata di far trovare al fratello – per il quale trascrive continuamente a macchina le sue elucubrazioni filosofiche – tutto a posto, in una dedizione al limite del parossismo, mentre Ritter (la più giovane, altrettanto da elogiare Manuela Mandrecchia) sembra più autonoma, pronta a riprendere il suo lavoro d’artista.

Nella seconda scena appare Voss (un Massimo Populizio, in un record di bravura nei continui movimenti, nei tik per le cose infime, indice della sua paurosa inquietudine, tutto reso con impagabile estro ironico) che si rivela ben più sconvolto nella mente di quanto le sorelle lasciassero trasparire. E a scatenarsi ancora nella terza scena, quando addirittura vengono meno tutti i freni inibitori: e il fratello vuol capovolgere (capovolgendo simbolicamente i ritratti dei genitori e degli altri parenti effigiati) ogni residua resistenza ai vecchi valori. Ormai il nero della famiglia con legami incestuosi ed, ancor peggio, è venuto fuori.

Un interno drammatico e sconvolgente che Bernhard offre nella tempestività delle successive rivelazioni di segreti destinati a rimanere tra le pareti di casa e che Maccarinelli sa condurre alla sua logica conclusione, quando ormai tutto è emerso, dai ricordi agli oggetti rovesciati e distrutti. Ecco: il feticismo degli oggetti – l’orrenda caratteristica del nostro tempo – viene denunciato con perspicace penetrazione psicologica nella mente dei protagonisti, con le loro riserve e dubbi, i loro capricci e le ipocrisie, in una sconfinata perdita di coscienze e di valori, espressione di una società già finita e che un certo decoro borghese induce a voler ancora proteggere.

Potente raffigurazione di un mondo chiuso, senza ulteriore destino se non fosse quel rifiorire di situazioni, sinfonie, metafore di un mondo esterno che continuerà a vivere, malgrado le cadute e le debolezze della ricca famiglia.

Abbiamo già riferito come la vibrante prestazione del regista (forse al suo spettacolo più intenso) e degli interpreti al massimo della loro qualità, sia biglietto da visita esemplare da porgere a Bernhard, dopo averlo mostrato in tutte le sfaccettature più riposte al pubblico attento ed ammirato. Le scene, adeguatamente di tipo asburgico, sono di Carmelo Giammello. cvallauri@yahoo.it

 

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