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Rubrica: CULTURA

I quartieri ebraici di Napoli (Dante & Descartes editori, Napoli 2006)

GLI EBREI A NAPOLI

Nel cuore della città la presenza di una comunità millenaria
venerdì 19 settembre 2008

Argomenti: Mondo
Argomenti: Storia
Argomenti: Giancarlo Lacerenza

La comunità ebraica di Napoli è tra le più antiche d’Italia: i primi insediamenti risalirebbero al I secolo d. C. e si sarebbero protratti quasi senza interruzioni fino ai giorni nostri.

Un’interessante studio del prof. Giancarlo Lacerenza, docente di lingua e letteratura ebraica all’Istituto Orientale di Napoli, dal titolo I quartieri ebraici di Napoli, ha tracciato la storia della presenza ebraica a Napoli, individuando i loro principali insediamenti cittadini, che erano dislocati nel Vicus Iudaeorum all’Anticaglia, sull’altura di Monterone o di San Marcellino, nelle zone di Forcella e di Portanova.

Il Vicus Iudaeorum, nominato la prima volta in un documento del 1002, era un cardine dell’antica Neapolis, che collegava il decumano superiore alle mura settentrionali in prossimità di Porta San Gennaro. Qui molto probabilmente c’era una Sinagoga e potrebbero esservi stati ebrei già in età romana o tardoromana.

Dice il Celano a proposito: “… il vicolo oggi detto del Limoncello anticamente si chiamava dei Giudei, perché vi abitavano Giudei: e si disse ancora Spogliamorti perché qui dagli stessi Giudei si vendevano le spoglie di coloro che morivano negli ospedali …” Sembra che gli Ebrei non abbiano più abitato la zona dell’Anticaglia dopo il secolo XI. In un documento del 984 viene poi citata una sinagoga hebreorum presso l’altura del Monterone nelle adiacenze dell’antico Monastero dei Santi Marcellino e Pietro, diventato verso la fine del secolo XVI dei Santi Marcellino e Festo.

Fra i secoli X e XII la popolazione ebraica del quartiere era aumentata perchè in un documento del 1153 si parla dell’istituzione di una sinagoga. Inoltre verso la metà del secolo XIII, in età sveva, la giudecca di San Marcellino aveva già superato i limiti del Monterone e si era estesa fino alla Piazza di Portanova, indicata anche come Porta Iudaica, presso l’antica chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Sorgeva così la Giudecca di Portanova e con essa anche una nuova Sinagoga, forse la futura chiesa di Santa Caterina Spinacorona.

La Giudecca di Portanova è stata la più estesa delle giudecche napoletane, dove gli Ebrei avevano impiantato fin dal periodo svevo varie attività connesse alla lavorazione ed al commercio dei tessuti. Verso la metà del XV secolo, sotto la dominazione aragonese, che fu particolarmente favorevole agli Ebrei, la Giudecca di Portanova crebbe notevolmente estendendosi per un’intera strada, Via Giudecca Grande, che iniziava da Piazza Portanova e proseguiva fino alla chiesa di San Giovanni in Corte. Da un capo all’altro di Via Giudecca Grande vi erano poi alcuni insediamenti satellite, tra i quali una Giudechella, sita tra Via San Biagio ai Taffettanari e il Vico I San Vito ai Giubbonari.

La Giudecca di Forcella, che sembra non essere stata di lunga durata, risalirebbe al periodo normanno o svevo ed era situata presso Via Giudecca Vecchia al termine della quale era un Vico Giudechella, presso l’Ospedale di Santa Maria della Pace, un tempo palazzo di Sergianni Caracciolo.

Gli Ebrei furono espulsi dal regno di Napoli nel 1541, durante la dominazione spagnola, e vi tornarono soltanto due secoli dopo, richiamati dai Borbone, ma per un breve periodo dal 1740 al 1747, per stabilirsi poi definitivamente nel 1831, per interessamento della nota famiglia di banchieri tedeschi Rothschild, di origine ebrea.

I Rothschild avevano elargito un cospicuo prestito ai Borbone per poter sovvenzionare la spedizione austriaca che li aveva ricollocati sul trono nel 1821. Nel 1827 poi Carl Meyer von Rothschild, trasferendosi a Napoli, aveva aperto qui la prima filiale della banca Rothschild in Italia. Nel 1841 i Rothschild avevano acquistato la Villa Pignatelli che avevano occupato fino al 1860 per poi cederla nel 1867 ai Pignatelli Cortes d’Aragona. Per vari anni una sala della villa era stata adibita ad oratorio per gli Ebrei residenti e di passaggio a Napoli, per consentire loro di poter partecipare alle funzioni religiose.

L’attuale sede della comunità ebraica, con annessa Sinagoga, si trova in alcuni locali del palazzo Sessa, al n. 31 del vico Santa Maria a Cappella Vecchia, e fu inaugurata il 19 giugno del 1864, grazie all’appoggio dei Rothschild, che parteciparono sempre attivamente alla vita della comunità fino al 1900, anno della morte del barone Adolph Carl von Rothschild. Nel 1910 Dario Ascarelli, che era il presidente della comunità, lasciò un’ingente somma di denaro per consentire l’acquisto definitivo dei locali, operazione che fu finalizzata nel 1927. La comunità contava allora circa un migliaio di Ebrei, che si ridussero a poco più di 500 dopo il secondo conflitto mondiale, per attestarsi all’attuale numero di 160 unità, piuttosto esiguo se confrontato con i circa 20000 di Roma e i 10000 di Milano.

Il palazzo Sessa è ubicato sul luogo ove un tempo sorgeva il complesso monastico di Santa Maria a Cappella Vecchia, appartenuto ai Basiliani dal 1134 fino al XV secolo, poi ai Benedettini ed in seguito agli Olivetani.

Con la soppressione dell’abbazia nel 1788 una parte del complesso fu acquistato dal marchese Giuseppe Sessa e trasformato nel palazzo che fu la residenza cittadina di sir William Hamilton, ambasciatore inglese presso la corte dei Borbone dal 1764 al 1800, e di Emma Lyon, divenuta poi sua moglie ed anche amante di Lord Horace Nelson. Il palazzo fu frequentato nel 1787 da Johann Wolfgang Goethe, che descrisse con grande precisione il panorama che si ammirava dai suoi balconi, da uno dei quali nel 1791 il pittore Giovanni Battista Lusieri eseguì lo straordinario dipinto Napoli da Pizzofalcone, ora al Paul Getty’s Museum di Malibu in California.

Come già detto al primo piano di questo palazzo dal 1864 vi è la sede della comunità ebraica napoletana.

Superato l’ingresso dell’appartamento, alle pareti vi sono due lapidi di marmo, una a ricordo degli ebrei deportati da Napoli durante la seconda guerra mondiale e l’altra in memoria di Dario Ascarelli. Percorso un breve corridoio, sulla sinistra si apre la sala adibita a Sinagoga, dal greco synagogé, “assemblea, luogo di riunone”, traduzione del termine ebraico Beit Kenneset. Indossato il Kippah, caratteristico copricapo degli Ebrei maschi, si accede alla sala che consta di due ambienti rettangolari separati da un arco ed è orientata nella direzione di Gerusalemme, verso cui i fedeli si rivolgono durante la recita delle preghiere.

Secondo le regole della religione ebraica gli uomini devono pregare tre volte al giorno, al mattino, al pomeriggio e di sera, negli stessi momenti in cui, nel corso della giornata si svolgevano i sacrifici nel tempio, ormai sostituiti da secoli con la preghiera. L’orazione è quasi sempre collettiva e viene effettuata da un minimo di dieci fedeli maschi adulti.

Al centro della sala si trova la Bimàh, una pedana da cui l’officiante recita le preghiere e legge il rotolo della Toràh, il testo sacro della religione ebraica, corrispondente ai cinque libri del Pentateuco e contenente le istruzioni impartite da Dio al Popolo di Israele sul Monte Sinai. L’Aron Ha-Kodesh, ossia l’arca-armadio contenente i rotoli della Toràh, è incastrata nella parete orientale, rivolta verso Gerusalemme. Intorno alla Bimàh sono disposte alcune panche e sulla destra vi è un pulpito ligneo. Su di un soppalco è posizionato il matroneo, che separa le donne dagli uomini durante le funzioni religiose.

Troviamo inoltre le Menorah, i candelabri a sette o a nove braccia, importanti oggetti liturgici, sempre presenti in tutte le sinagoghe, che vengono accese il Venerdì sera per celebrare il Sabato, giorno sacro per il popolo ebraico. La Menorah, fiancheggiata da due rametti d’olivo, è raffigurata nello stemma ufficiale dello Stato di Israele.

Nella Sinagoga non vi sono immagini sacre, proibite dalla religione ebraica, mentre non può mancare la Maghen David (lo scudo di Davide), cioè la tipica stella a sei punte presente nella bandiera dello Stato di Israele, diventata ormai da più di un secolo il simbolo del Sionismo.

La visita della Sinagoga napoletana, saldo centro di riferimento per la piccola comunità locale, costituisce in definitiva non solo un motivo di curiosità per gli appassionati di storia della nostra città ma sicuramente una significativo esperienza di approfondimento della storia, della cultura e della religione di questo importante popolo.



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