Rubrica: CULTURA

I pastori che dormono : Il presepe Antinori in viaggio da Aquila a Lanciano (Lanciano : Rocco Carabba, 2012)

IL RISVEGLIO DEI PASTORI in una singolare ricostruzione artistica

Sculture di persone e di animali che risalgono a fine Seicento, inizio Settecento.
sabato 1 giugno 2013

Argomenti: Folclore e Tradizioni Popolari
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Giacomo e Gaetano de Crecchio, a cura di

Se è vero che l’autentica cultura nasce dall’amore, dall’anima che ciascuno può dare al suo lavoro, possiamo comprendere meglio il significato della singolare operazione compiuta da Giacomo e Gaetano de Crecchio per risvegliare antichi pastori da lungo tempo dormienti tra anticaglie e bauli ma ridestati grazie alla cura ad essi prestata dai due tenaci studiosi abruzzesi (padre e figlio). Essi si sono infatti dedicati alla singolare prova, tanto ricca di significato, di fronte ad oggetti di indubbio rilievo simbolico, riuscendo nell’impresa di rendere nuovamente vivi quei segni di valori più alti, condensati in piccoli frammenti, grazie ad un disegno più ampio nella continuità di una storia vissuta non solo in senso religioso, ma con i sentimenti profondi che chiamano in causa eventi e credenze di più elevata dedizione.

Ed ora la pubblicazione, edita dalla rinnovata casa editrice Carabba – che a cavallo nel passaggio dal XIX al XX secolo rappresentò una coraggiosa azienda di elevata validità culturale nel cuore dell’Abruzzo – contiene le colorite e vivaci immagini dei pastori, nelle loro varie composizioni, accompagnate da una chiara spiegazione di come quelle figure di terracotta siano state osservate, ritoccate una per una, ricostituite quali punti integrati in un disegno tanto tradizionale quanto rinnovato nelle forme tecniche utilizzate.

Quelle sculture di persone e di animali risalgono a fine Seicento, inizio Settecento e sono rappresentazione di una più completa visione pittorica, ricostruite con solerte dedizione, grazie ad un gusto raffinato.

Quel “popolo immobile” è stato trasportato dapprima da Casa Antinori (l’Aquila) al convento di Sant’Antonio di Lanciano, dove adesso da vecchi bauli quelle singolari figure sono state recuperate grazie alla meticolosa fatica di G. e G. de Crecchio, la cui rispettiva formazione e cultura ha consentito di integrare amabilmente le metodologie messe in atto per giungere alla precisa collocazione di ciascuno di quei pastori.

Scorrendo le pagine della bella e raffinata pubblicazione, il lettore potrà constatare come quei reperti e quelle figure siano ora in grado di convivere con tutto l’insieme dei personaggi, ricondotti alla nostra osservazione dai due ricercatori che li hanno ricostituiti pezzo per pezzo, studiando e realizzando con metodo in grado di ricondurci a quell’evento eccezionale, riportandone in luce i protagonisti. Le fotografie consentono di far comprendere meglio l’intimità di ciascuna figura, nei suoi aspetti fisici e nei suoi risvolti di partecipazione alla vita collettiva attraverso il vario modo di coprirsi il capo e di rivolgersi a noi. Nel momento della loro scoperta quei pastori non erano ancora chiaramente presentabili, poi sono stati opportunamente “lavorati”, e così arricchiti sino a diventare appunto presentabili quali esperienze di una civiltà, quella civiltà dalla quale noi deriviamo, anche se spesso non lo dimostriamo.

Immagini dal libro

Particolarmente interessanti le figure femminili, da notare nelle specificità dei volti e degli atteggiamenti: sembianze ricche di significati e che trasmettono silenziosamente tradizioni memorabili, attraverso ritocchi fisici pratici, grazie ai quali distinguiamo volti, popoli e soprattutto origini. E il lettore, spostando l’attenzione sulle immagini, potrà osservare dimensioni e posa degli arti, nonché particolari dei singoli pastori, ma non distolga di volgere lo sguardo dagli occhi dei pastori e sui loro sguardi: scoprirà una interiorità che dal viso si spande all’intera figura, in ogni particolare, sì riflettere sul ruolo creativo dell’artista, o meglio degli artisti molteplici e sconosciuti che hanno dato vita a tanti singoli momenti di umanità.

Ne risulta un’opera d’arte, nel contempo segno di una profondità umana che ciascuno può riconoscere dagli atteggiamenti nella funzionalità insita nei diversi esemplari presenti: una complessa, rilevante, originale collezione. Prendono vigore infatti le diverse raffigurazioni umane, insieme alle pecore, ai cavalli, tutti aspetti molteplici di una realtà convissuta nella sua eccezionale esemplarità sì da restituire ai lettori-visitatori la possibilità di ammirare la simbolica rappresentazione. Se la pazienza di un ricercatore colto ed attento come Giacomo de Crecchio ha avviato la rinascita dei pastori, suo figlio Gaetano ha dimostrato e confermato le sue qualità nella tecnica della riproduzione fotografica, che esalta e potenzia i tratti caratteristici di ogni pastore. I tessuti di seta leggera che rivestono i tratti e poi rivelano le qualità di un artigianato storico di pregio. Il bue, l’asinello, la dama completano un panorama di straordinaria vivezza artistica ed espressione di un mondo. Appare persino un paggio, che completa il quadro con la “madonna” nella sua centralità, una memoria che viene da lontano e che unisce le giovinette, gli anziani, le tante grottesche figure, sino ad uno schiavo forzato, scolpito in piccoli mirabili particolari, in un alternarsi di volti sofferenti e nel contempo serafici, sino al limite del grottesco.

Tutti reperti preziosi che meritano di essere apprezzati, e ciascuno di essi contribuisce a meglio illuminare l’intero presepe: pastori quindi che sono esaltati dal loro assemblaggio unitario quando poi spostiamo l’occhio dal singolo oggetto all’insieme della rappresentazione. Anche un bove può accendere un pensiero, un barlume di un frastuono che acquista la sua forza nel congiungere tante diverse espressioni radicate nella natura, come nella storia religiosa, segni di una speranza, di un amore per il bello, esperienza di una continuità di valore storico profondo. E se possiamo ora ringraziare i de Crecchio per aver condotto a termine un lavoro così delicato viene adesso al lettore il desiderio di poter un giorno ammirare direttamente, in una degna collocazione – punto d’incontro tra le memorie del passato e la continuità significativa delle tante figure e dei loro gesti – quel “piccolo mondo”, ricostruito e rappresentato, con esemplare spessore morale, ancora prima che fisico, tanto da confermare come i segni della religione possano insegnare anche ai non credenti, come ha scritto recentemente il filosofo Alain de Botton (Del buon uso della religione).



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