https://www.traditionrolex.com/30 Una nuova traduzione del capolavoro di Joyce.-Scena Illustrata WEB


Rubrica: LETTURE CONSIGLIATE

ULISSE – trad. di Enrico Terrinoni con Carlo Bigazzi. (Editore Newton Compton)

Una nuova traduzione del capolavoro di Joyce.

ULISSE TRA NOI
martedì 17 aprile 2012

Argomenti: Letteratura e filosofia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Enrico Terrinoni con Carlo Bigazzi

Una nuova traduzione dell’Ulisse di Joyce arricchisce da qualche mese gli scaffali delle librerie italiane. La notizia è fra le più gradite perchè fino al 31 dicembre 2011, a causa di severissimi diritti d’autore, il lettore italiano ha potuto godere della monumentale opera soltanto attraverso l’edizione Mondadori, di circa 50 anni fa. Come si può immaginare, la versione precedente si presta ad essere temporalmente troppo distante dal linguaggio attuale ed eccessivamente collocata in un terreno dove l’aulicità toscaneggiante della rèse linguistiche – secondo alcuni criteri dell’epoca - appare essere requisito necessario per un’opera così grandiosamente famosa e importante - ancor più essenziale di una eventuale aderenza al testo.

La prima edizione, curata da De Angelis e con la supervisione di Giorgio Melchiori, uno dei maggiori studiosi italiani di letteratura inglese, non può esser certo liquidata superficialmente: nonostante proponga una lettura, lo si è appena detto, desiderosa di offrire il testo dell’Irlandese più aderente alle aspettative psicologiche dell’epoca (Joyce autore elitario e troppo complesso per le masse) che alla reale esistenza dello stesso (Joyce intellettuale socialisteggiante, ironico e materialista), essa resta una pietra miliare nel mondo degli studi joyciani. Perchè allora la necessità di una nuova traduzione? La risposta è scritta proprio nei limiti della precedente – ma non solo. L’Ulisse della NewtonCompton, a cura del Prof. Enrico Terrinoni e con il supporto del Prof. Carlo Bigazzi, si pone almeno tre obiettivi, in qualche modo rivoluzionari per le sfide affrontate.

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James Joyce

Primo fra tutti, ricollocare il testo dell’Ulisse nel suo linguaggio originale, ovvero ricondurre la prosa nella realtà della vita quotidiana. L’operazione, sia chiaro, non è certo soggettiva nè arbitraria: Joyce è autore complicato, ma non aulico; la scrittura è ricca di parolacce, ambivalenze, espressioni comprensibili soltanto a chi ha vissuto a Dublino, ed i due traduttori hanno camminato per diversi anni nelle stesse strade attraversate da James Joyce. Lo scrittore gioca con la lingua, la quale è solamente per un verso l’inglese, mentre per l’altro è l’irlandese del popolo, della Dublino operaia e lavoratrice. Questa ambiguità semantica è cardine dell’opera perchè traccia due catatteristiche del testo: la profonda comicità legata ai doppi sensi e la volontà di essere rivolta alla gente, e non alle elite. Tentare di rendere la scrittura nella propria dimensione popolare ha sostenuto Terrinoni nel ribadire un altro aspetto fondamentale del testo, fortemente bramato da Joyce stesso ma troppe volte omesso, ovvero l’intrinseca democraticità.

Uomo dalle idee socialiste, il Dublinese ha subito un destino paradossale: vedere l’opera ammantata da un’aura di indecifrabile mistero, che la portava ad essere sospetta ai più, incomprensibile, mentre il suo intento era esattamente l’opposto – ovvero aiutare le persone a cogliere ed accettare la complessità della vita con un testo sì difficile, ma accessibile a tutti. Il terzo obiettivo “rivoluzionario” del lavoro di Terrinoni - studioso ormai affermato in ambito nazionale e non solo - è conseguenza diretta dei primi due, ovvero riconsegnare al lettore l’Ulisse, affinchè ...lo legga. Questa ovvietà non è poi tale, se si pensa che un libro di tali dimensioni spesso è presente in ogni libreria degna di tal nome, ma non viene mai aperto, causa quel timore reverenziale di cui si diceva sopra. La casa editrice ha sostenuto con un prezzo incredibilmente conveniente codesta aspirazione, ed a tre mesi dall’uscita si può registrare già un incredibile successo di critica e pubblico.

Pochi mesi fa, ho deciso di cimentarmi nella lettura e nella sfida, dopo aver in passato impietosamente perso la scommessa con me stesso, e di testare personalmente se l’operazione portata avanti dai traduttori fosse realmente capace di appassionare un semplice lettore ad un testo così complesso. Ebbene, posso dichiarare con assoluta onestà intellettuale che la lettura dell’Ulisse, non solo ha confermato i vantaggi linguistici della nuova traduzione, ma ha rivelato la bellezza di un’opera mai noiosa o poco leggibile. Al contrario, l’Ulisse, nella versione di Terrinoni, edito dalla NewtonCompton, “rischia” di conseguire l’obiettivo anelato da Joyce, ma svanito nel corso del secolo passato. Strapparla da una interpretazione settaria e ultraspecialistica e riconsegnarla al mondo dei vivi mi è apparsa, dopo la lettura, non solo l’esatto fine a cui l’opera tende, ma soprattutto l’auspicio più grande per chi crede nel potere della letteratura. Un apparato critico di notevole spessore aiuta ad addentrarsi nei meandri dei riferimenti eruditi del testo, arricchendo di un godimento ulteriore la comprensione intellettuale dell’opera. L’Ulisse – insieme a pochi altri libri – cambia radicalmente l’esistenza di chi lo legge. Appena sfogliata l’ultima pagina, la persona non è più la medesima che qualche settimana antecedente aveva iniziato a leggere le prime righe. Un libro-vita, il quale, similmente al suo protagonista ci porta a viaggiare dentro la nostra anima fino a scoprire personalità, umori, verità e dolori prima latenti o rimossi, e ci aiuta ad affrontarli. Dopo la lettura si è inevitabilmente più onesti con se stessi e democratici con gli altri. Certamente, come la vita, è spesso difficile e complicato, ma è un ostacolo che non spaventa, bensì aiuta a coglierne tutta la drammaticità – ed a sopportarla.

Le interpretazioni e gli studi critici dell’opera joyciana superano ormai quelle riguardanti i testi sacri; sarebbe irriguardoso da parte mia quindi proporre una analisi dei contenuti che possa offrire un minimo quadro generale delle vicende dell’ebreo Bloom, di Dedalus, di Molly e di tanti altri personaggi.

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Enrico Terrinoni

Possiamo però soffermarci su un fattore interessante, a mio avviso: tutta la storia si svolge nell’arco di un giorno, ed è segnata da azioni e riflessioni normalissime, giornaliere. Il tempo dell’attualità assorbe il futuro nella convinzione che l’immanenza quotidiana sia la vera dimensione dell’essere umano, ma poi sembra cedere ad un passato tragico che la veste di un abito di ricordi negandole possibilità di scelta e speranza. Eppure, sebbene il passato non si dimentica di questa “maglia” di emozioni con cui vestire i personaggi - e sembra spesso condurli nella loro vita a suo piacimento - l’esistenza interiore dei protagonisti resta grandiosamente destinata a guidare il proprio riscatto nel tempo del Presente, e quindi a poter vivere una redenzione immanente e possibile qui e ora. La prova di ciò è nelle struggenti parole finali di Molly, nel famoso monologo conclusivo. “Sì, ò detto sì lo voglio Sì”: oltre ad essere rivolte a se stessa ed al pensiero del marito, sembrano esser gridate alla vita. Travagliata, inutile a volte, certamente generosa con pochi: ma vale comunque ancora la pena di dirle Sì, ancora sì, lo voglio Sì.

Mi sembra una ragione abbastanza convincente per avvicinarsi ad una delle più grandi opere della letteratura mondiale, ed augurare a tutti una buona lettura.



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