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Rubrica: CULTURA

La libertà ed i suoi limiti (Laterza, 2006)

IL PENSIERO LIBERALE DALL’ILLUMINISMO AL NOVECENTO

Prezioso saggio di Gaetano Filangieri
mercoledì 8 febbraio 2006

Argomenti: Politica
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Gaetano Filangieri

Corrado Ocone e Nadia Urbinati presentano nell’antologia La libertà ed i suoi limiti (Laterza, 2006) una accurata raccolta di testi del pensiero liberale. Si comincia con un prezioso saggio di Gaetano Filangieri (Scienza della legislazione, 1789), che nell’esporre la teoria della divisione dei poteri testimonia l’alto livello di approfondimento della cultura politica napoletana, autonoma rispetto all’esperienza britannica. E dopo il richiamo all’appello di Alfieri “contro la tirannide”, le pagine di Marco Minghetti sui rapporti tra Stato e partiti (1881) e sulle degenerazioni che questi ultimi possono provocare sono anche oggi una lettura molto utile. Altrettanto valida la denuncia di Gaetano Mosca sui rischi di eccessivi poteri del governo, sino ai più recenti scritti di Piero Calamandrei sui rischi che la libertà corre, se viene meno la legalità.

Guido De Ruggiero nella sua famosa Storia del liberalismo esalta le forze spirituali del liberalismo, quando in Italia ormai si stanno spegnendo le luci sulla libertà, come avvertiva Piero Gobetti, di cui viene riportato un estratto dalla “Rivoluzione liberale”. Sarà poi Benedetto Croce - dopo aver inizialmente sostenuto il fascismo sin dopo il delitto Matteotti, osserviamo - a enunciare la tesi della “religione della libertà” che per lunghi anni sarà un punto fermo per quanti in Italia anelano alla riconquista dei diritti politici. Interessanti e meno note le pagine di Salvemini in polemica con i comunisti che usano la libertà sul piano tattico ma hanno governato in Russia con la dittatura. E sarà Carlo Rosselli a precisare che “la libertà non è un mezzo tattico né un obiettivo provvisorio”.

Sul tormentato tema della laicità il libro riporta brani del discorso di Cavour (1861) nel quale fu rivendicata la “libera Chiesa” nel “libero Stato”, seguito dalle pagine di Jemolo (scritte nel secondo dopoguerra, l’A. della presente nota le studiò quando erano ancora bozze delle dispense universitarie) sulla coscienza laica dello Stato libero nel riconoscimento dei valori religiosi. Argomento ripreso da Bobbio a proposito della libertà “nella” e “della” scuola (1985). Sui problemi del ruolo delle istituzioni vengono riportati i concetti di Carlo Cattaneo sul rapporto tra federalismo e libertà (1864) e una lucida relazione di Sturzo (1921) sulla funzione che il sacerdote siciliano attribuiva alle regioni da istituire quale corpo intermedio tra cittadino e Stato, mentre sulla questione meridionale viene riportato un saggio di Guido Dorso.

Il “manifesto di Ventotene”, compilato da A. Spinelli ed E. Rossi, fa da apertura verso temi più vicini. Vengono poi riportate le parole di Beccaria sulle pene e di Francesco Ruffini sui diritti di libertà. Forse la parte più originale è quella sull’eguaglianza, nella quale un testo di F.S. Merlino (1891) spiega la giustizia come “libertà eguale”, un concetto di recente ripreso. Con Giovanni Amendola (1925) e Guido Calogero (1963) siamo a scritti che hanno preso atto del fenomeno inquietanti del fascismo, e quindi richiamano l’attenzione sull’esigenza di fondare una nuova democrazia sulla giustizia. Non possono naturalmente mancare i richiami al liberismo economico di un maestro come Einaudi (1931) e di Carlo Antori, 1959 (falsa alternanza tra liberismo e liberalismo) sino ad un articolo di Ernesto Rossi sul settimanale “Il Mondo” (1954), che sottolinea la difficoltà di garantire un equilibrio tra intervento statale ed economia di mercato. Infine un ritorno all’illuminismo, con uno scritto di Pietro Verri, quando si parlava della libertà congiunta alla felicità, la grande speranza ed illusione proprio della Carta fondativa degli Stati Uniti. Come si vede, un excursus che consente di riattingere le fonti autentiche di una libertà che - come reca il titolo del bel libro - trova in sé i suoi limiti, nella convinzione - sottolineata nell’introduzione di Ocone e Urbinati - del carattere pluralista e fallibilista del liberalismo.



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