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Rubrica: PASSATO E PRESENTE

FENOMELOGIA DI UN FENOMENO

Mario Monti è peggiore di Silvio Berlusconi?
lunedì 6 febbraio 2012

Argomenti: Attualità
Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Politica

La caduta del governo Berlusconi, nello scorso dicembre, ha suscitato in molti concittadini la gioia più sfrenata: caroselli di auto, trenini umani, cori da stadio hanno accompagnato il corteo che lo vedeva arrivare dal presidente Napolitano per consegnare le dimissioni.

Il suo successore, il Professor Monti, scelta mirata della Presidenza della Repubblica, con il suo stile sobrio e pacato, ha infuso nella maggioranza degli italiani una piacevole serenità ed orgoglio. Finita l’era del Bunga Bunga, l’impressione generale era di poter finalmente camminare di nuovo a testa alta, e risolvere gli atavici problemi del Bel Paese. Se il primo obiettivo è senza ombra di dubbio conseguito, iniziano ad emergere alcune perplessità sull’effettivo miglioramento che la penisola possa vivere grazie al cambio di premier.

È indiscutibile che un Consiglio di ministri composto da eminenti studiosi e professionisti sia migliore di uno composto da prostitute, analfabeti e ciarlatani d’ogni sorta. I conti pubblici e la struttura stessa dello Stato troveranno certamente un beneficio dall’azione del nuovo esecutivo; eppure, se ci si sofferma su alcune parole del Professore, se si analizzano certi atteggiamenti dei ministri in carica, un senso di inquietudine non può non attraversare i nostri pensieri.

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Mario Monti

Pochi giorni fa, in una nota trasmissione televisiva, Monti ha sostenuto che: “la ricchezza è un valore”. Recentissima è la sua affermazione per cui il posto fisso è “monotono” (le scuse postume e le correzioni non sembrano sincere e spontanee, ma irritanti e sarcastiche: “mi scuso se ho urtato delle sensibilità”). Aggiunge inoltre, se non bastasse: ”Se l’Italia è così, è perchè in passato c’è stato buonismo sociale”.

Poiché l’uomo ci ha abituato a dosare sapientemente le proprie parole, è opportuno interrogarci su quanto proferito così solennemente, e chiederci quale è l’obiettivo vero oltre il significato ovvio delle sue riflessioni.

L’obiezione primaria è filologica e linguistica. L’opposizione che nel corso degli anni ha denunciato le volgarità intellettuali – e non solo – di Berlusconi non ha commentato per niente questo assunto “ridicolo”, eccezion fatta per il comico Zoro nella trasmissione della Dandini.

I valori sono l’eguaglianza, la giustizia, il coraggio, la pazienza, la temperanza ecc; uno status economico non è un valore. Sarebbe come dire: la “geometria profuma”, o “un televisore è simpatico”. La confusione non è casuale ma è cercata per proporre un idea improponibile. La ricchezza viene associata, grazie a questa operazione linguistica, ad un mondo nel quale la stessa quasi sempre non trova posto, perchè figlia di una accumulazione capitalistica la cui veginità è tutta da dimostrare. La traslazione avviene per assolvere la ricchezza in quanto tale, senza interrogarsi sulle modalità con cui si è accumulata.

La controrisposta primaria a questa affermazione è che lo stesso Monti ha parlato di ricchezze frutto del lavoro, oneste, basate su solide basi; il ragionamento tuttavia non sembra giustificabile.

La ricchezza può essere uno status, un vantaggio, ma non può proporsi come un valore perchè non produce alcun effetto sulla comunità, ma avvantaggia solo chi la possiede. La formula liberale e paternalistica per cui richezza produce ricchezza non solo è priva di fondamento storico, ma nei pochi casi in cui effettivamente ha prodotto dei posti di lavoro, questi hanno sottratto benessere e diritti in altre zone del mondo, mettendo i lavoratori in competizione fra loro e privandoli di diritti fondamentali.

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Michael Martone

È nell’essenza stessa del capitalismo, in definitiva, essere amorale. Credere l’opposto significa sostenerlo, e sostenerlo vuol dire autorizzare lo sfruttamento di milioni di persone in Asia o in Africa.

Il contenuto più grave, tuttavia, è nell’implicita accusa rivolta a chi non è ricco. Se la ricchezza è un valore, allora la povertà è un disvalore, ed il povero una figura parassitaria, causa di malessere sociale. La sua condizione sembra anche predestinata. Egli è tale perchè inetto o incapace. La tradizione liberale a proposito è infinita: già Nietzsche sosteneva la differenza razziale fra i signori e gli schiavi; e non possono passare sotto silenzio le osservazioni di Gramsci a proposito della cultura liberale, la quale considera le classi sfruttate sempre come “moltitudine bambina”.

Dello stesso calibro sono le dichiarazioni del vice Ministro Michael Martone, pupillo di Sacconi e figlio di un professore universitario. Docente anch’egli dall’età di 29 anni – sicuramente per merito personali, beninteso – Martone ha apostrofato come “sfigati” coloro che non si laureano prima dei trentanni. L’approccio ideologico è lo stesso di Monti, e rivela la mentalità classista e fortemente reazionaria di questo governo delle banche, il cui capo, non va dimenticato, è membro della famosa commissione Trilaterale e partecipa alle riunioni della Bildelberg.

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Antonio Gramsci

Martone non è preciso nel suo parlare. I giovani che si laureano a trentanni sono spesso figli di abbienti senza alcun problema occupazionale, e possono “parcheggiarsi” all’università finchè vogliono, per poi ereditare dalla famiglia titoli e posizioni sociali. La loro collocazione sociale garantisce loro agganci e amici nella politica che conta, e quindi il problema del lavoro non si presenta tale.

Altri giovani invece si laureano a trentanni ma perchè lavorano e vivono nella precarietà. È la situazione oggettiva di molti ragazzi impossibilitati successivamente a sbocchi nel mercato occupazionale, perchè quest’ultimo è fondato sulla raccomandazione e non sul merito.

Martone dimentica di affermare che in Italia è inutile laurearsi a 23 anni, a meno che non si intenda andare a trovar lavoro all’estero, perchè questa prova di applicazione e di successo personale non viene premiata dal mercato. Il giovane laureato con brillanti voti, se non conosce qualche politicante in grando di offrigli un posto, ha le stesse chance di trovar lavoro laureandosi 10 anni dopo.

Il dramma dell’Italia resta infine la presenza della politica nella determinazione dell’economia.

Il voto di scambio è vincolante solo e soltanto se il mercato non funziona per merito, ma per raccomandazione. Il cancro del paese quindi non sembra poter esser estirpato da coloro i quali, da perfetti parassiti, vivono sul male stesso.

Un altro fattore si impone prepotentemente: la mobilità sociale. Il governo in carica chiede ai lavoratori flessibilità e capacità d’adattamento ispirandosi al mondo del mercato statunitense.

Ciò che viene omesso è che bisogna prima trasformare il mercato del lavoro rendendolo competitivo ed aperto; non si può chiedere mobilità in un mondo immobile. Queste considerazioni non sono certo malinterpretate o assenti nei pensieri del Prof. Monti; è proprio per tale motivo che l’insistenza sulla eliminazione delle tutele sociali (art. 18) non promette nulla di buono, ma lascia intendere ad uno smantellamento delle conquiste dei lavoratori degli anni ‘60-‘70.

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Libro di Nietzsche

La sinistra italiana risulta ancora più umiliata e terribilmente compromessa col potere di quando Berlusconi governava. Il silenzio e l’appoggio incondizionato, nonostante le finte manfrine, rivelano la totale accettazione di un modello economico e politico basato sul classismo. Il governo Monti ed i suoi ministri incarnano perfettamente l’ideologia liberista, esattamente come Berlusconi. Se Berlusconi però doveva comunque confrontarsi con il voto, e aveva contro una forte opposizione insieme alla quale dovevano per necessità elettorali concedere qualche richiesta, Monti non necessita di smorzare la sua politica economica perchè ineletto, e quindi è in definitiva più pericoloso del Cavaliere, più cinico nella sua perfetta eleganza e nella prosa scandita e colta. Egli appare come un killer con i guanti bianchi, mentre Berlusconi era più dozzinale e goliardico.

L’Italia di Monti è una Italia in cui tutto è fondato sul possesso del denaro, e dove le strutture che portavano il cittadino ad una eguaglianza almeno formale – la scuola e la sanità – verranno anch’esse piegate alla legge del mercato. Il ricco avrà a disposizione scuole e servizi di livello, il povero gli avanzi dello stato sociale. Poichè l’Italia vive perennemente in un ritardo culturale, la sensazione è di vedere applicato il modello tacheriano con 30 anni di ritardo, dimenticando il suo fallimento registrato già negli anni ’90 in ambito inglese.

La borghesia italiana sfoggerà con valore il suo denaro, perchè simbolo di potere e di privilegio, mentre il cittadino povero o meno abbiente, secondo l’ideologia montiana, non incarnerà alcun valore, ma dovrà rassegnarsi alla paternalisitica carità delle classi abbienti.



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